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Attualità

Intervista al filosofo Salvatore Fiorellino: un’analisi del presente con uno sguardo al futuro

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Napoli– Abbiamo intervistato il prof. Salvatore Fiorellino per far un po’ il punto della situazione in questo periodo di smarrimento esistenziale. Il professor Fiorellino è nato a Napoli nel 1974, è laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi di Napoli, dove ha conseguito anche il Dottorato di ricerca in Religioni, Filosofie e Teorie di Salvezza: Modelli di Pensiero e loro Trasformazioni ed Interazioni. Abilitato all’insegnamento, e vincitore del concorso a cattedra 2016, attualmente insegna storia e filosofia presso il Liceo Vico di Napoli. Autore di romanzi a sfondo filosofico, quali “Un nuovo inizio”, Leone editore, “La casa nel bosco”, Bookroad (in corso di pubblicazione) e di poesie filosofiche: “Frammenti di un istante”, Nextbook, è articolista per la rivista RealInside magazine, per la quale si occupa di approfondimenti storico-filosofici.

Professor Fiorellino, che ne pensa di questo momento che stiamo vivendo?

Viviamo attualmente una situazione emergenziale, sotto tutti i punti di vista. Ogni mattina ci svegliamo con la consapevolezza di affrontare un giorno uguale agli altri. Ogni mattina, immancabilmente, nostro compagno di viaggio è l’orologio che corre in fretta o lentamente – a seconda dello stato d’animo direbbe Bergson – verso i nostri appuntamenti quotidiani. Tra questi rientra certamente l’appuntamento con il bollettino della Protezione civile. A me sembra che sia diventato uno spartiacque tra il prima e il dopo. Come se dopo le 18 iniziasse ogni volta non dico un nuovo giorno, ma una situazione nuova, che si riveste talvolta di speranza, talvolta di rassegnazione. Le TV sono quasi sempre accese e continuamente siamo martellati dagli spot che ci dicono di restare a casa. Le uscite sono scandite dalla “prassi” (spesa, visite mediche o altre necessità); manca del tutto la “teoria”, la voglia di farsi una passeggiata per il puro gusto di passeggiare. Questo però, a mio avviso, non vuol dire che siamo ridotti ad una vita che non abbia più alcuna relazione. Ci può essere tanta solidarietà nella scelta della separazione consapevole, per non essere appunto inconsapevoli portatori del virus. Le persone più deboli vanno protette, ad ogni costo. Ma ne parleremo dopo.

Pensa che in questa situazione le nostre debolezze, le nostre paure avranno il sopravvento?

Facciamo un esempio. Io vivo con i miei genitori: due persone anziane, di cui uno allettato in seguito ad un ictus avuto molti anni fa e dipendente per tutto dalle mie cure. Ebbene, io ho paura. Ho paura che quel filo fragile di equilibrio, frutto di tanti sacrifici, si possa rompere e possa poi accadere quel che nessuno vorrebbe. Questo non vuol dire che prima o poi non debba succedere. Viviamo, in un certo qual modo, assumendoci la morte che però, in quanto uomini, tentiamo di esorcizzare e di allontanare in ogni modo. Potrei citare altri casi, perché ci sono tantissime persone che guardano negli occhi la precarietà dell’esistenza. Il Coronavirus ha scoperchiato il vaso delle nostre finte sicurezze. Fino a ieri ci consideravamo prometeicamente padroni del mondo, mentre non siamo padroni di nulla, non possiamo fare nemmeno le cose più semplici, come uscire di casa, senza la preoccupazione di contrarre un virus letale per noi e i nostri cari. Dobbiamo smetterla di ritenerci onnipotenti: questo è un inganno, una mistificazione di una realtà che è ben diversa. Siamo fragili, come canne che vengono piegate dal vento. Una tremenda debolezza accompagna le giornate dei malati negli ospedali, dei medici e degli infermieri che li assistono, dei commessi nei negozi, di tutte le persone che lottano contro il virus, dei disperati che devono fare i conti con la fame – perché anche questo è un virus che si sta, purtroppo, diffondendo. Dobbiamo convivere con le nostre debolezze, ricordandoci che sono una parte fondamentale della nostra esistenza. Ospiti in un mondo che ci è ostile, dobbiamo imparare da questa debolezza. È chiaro che siamo terrorizzati. Questo però non vuol dire che dobbiamo essere distrutti o paralizzati dalla paura. Essa può, paradossalmente, diventare una risorsa, un’assunzione di responsabilità e di riscoperta della nostra umanità e della nostra fragilità.

 

La quarantena ci permette di riappropriarci del nostro tempo. Passiamo più tempo a fare cose che prima non facevamo. Che ne pensa al riguardo?

Ho notato che esiste una schiera di provetti cuochi – anche io mi sono cimentato in cucina, anche se gli effetti non hanno sempre corrisposto alle mie intenzioni. C’è chi ha ripreso l’hobby del modellismo, chi fa maratone di videogiochi, chi passa ore a guardare Film o serie TV, chi cerca conforto nella religione, e quelli – i più fortunati dal mio punto di vista – che leggono libri. Poi ci sono gli amanti dei social: c’è chi fa dirette, chi posta ancora più di prima coinvolgendo i follower in una sorta di Grande Fratello virtuale, c’è chi ha la soluzione a problemi di natura politico-economica o chi fa calcoli previsionali leggendo statistiche e modelli matematici. Insomma, stiamo mettendo in campo tutte le nostre risorse, ognuno coi mezzi che possiede, sicuramente per sentirci meno soli, ma anche per non farci vincere dalla noia. L’obiettivo è far sentire la nostra voce, combattere con una risata, con una riflessione, con una abilità pratica questo mostro che consuma, secondo dopo secondo, le giornate. Sicuramente non mancano momenti per riflettere, non solo sul Coronavirus e tutto ciò che lo riguarda, ma anche su noi stessi. Questo è sicuramente un bene: ogni attività che riguarda lo spirito – in senso laico o religioso – fa bene, fa crescere, ci rende migliori, ci rende più forti. In un diario di bordo ideale dovremmo scrivere quel che stiamo facendo: quando tutto sarà finito, sarebbe bello rileggere come abbiamo affrontato la crisi. Sono convinto che “oggi” siamo padroni del nostro tempo e possiamo decidere cosa vogliamo essere. È “ora” che possiamo e dobbiamo costruire le basi del domani, non quando il tempo ricomincerà a correre.

Siamo più o meno liberi? Saremo in futuro più o meno liberi?

Dobbiamo capire che cosa intendiamo con la parola libertà. Se vuol dire fare tutto quello che si vuole, questo è piuttosto egoismo. Credo che la libertà, un valore fondamentale della società moderna, sia solo un piatto della bilancia della società civile. L’altro deve essere la giustizia, così da avere tanta libertà quanta giustizia. Non vorrei entrare nel dibattito se i decreti che ci tengono in casa ledano la nostra libertà. A tal proposito, mi basta avanzare un quesito: uscire di casa ed essere, seppure in maniera inconsapevole, portatori del virus è un atto di libertà o di ingiustizia? La libertà deve essere-con-gli-altri o a-discapito-degli-altri? È evidente che, se questa misura dovesse rimanere anche dopo la fine dell’emergenza, si proporrebbe un problema enorme – è inutile negarlo. Ma non credo che si verificherà.  Finora abbiamo vissuto in una società che, almeno a parole, si beava nel vantare la libertas dicendi e la libertas actionis, ma anche questo era solo un inganno. In teoria tutti avevamo (abbiamo) la possibilità di viaggiare, di andare in giro, di dire qualsiasi cosa, di acquistare ogni ben di Dio ma, nella pratica, non era (è) affatto così. Questa è una libertà di scelta soltanto per pochi fortunati. Esiste, al contrario, una vita reale i cui protagonisti sono persone che vivono solo il sogno di una tale libertà. Persone che devono fare i conti con una realtà che è così ingiusta da togliere ogni presupposto di libertà. Io spero che, in futuro, ci siano paladini della giustizia sociale. È facile essere apostoli della libertà: chi non lo è. Ma siamo davvero disposti a cedere un po’ di quel che abbiamo per garantire agli altri almeno la possibilità di trasformare il sogno di libertà, da ipotesi improbabile, in possibilità realizzabile? Me lo auguro con tutto il cuore. Spero che concretamente i problemi degli altri diventino i nostri. Altrimenti saremo parolai che collaborano con il sistema che a parole si vuole abbattere. Ricordiamoci che, se la libertà si riduce a permettere alle persone di andare a votare, lasciandole poi “libere” di morire di fame, di morire senza cure mediche, di vivere senza futuro chiuse nel ghetto dell’ignoranza e della sopravvivenza, vuol dire che essa non è tale. È tirannia. Più subdola di tante altre, perché è riuscita a togliere la libertà del pensiero.

 

Quale sarà la società che uscirà da questa crisi?

Speriamo in una società che sia “cum-unitas”. Come “un insieme di unità”, dove l’accento va posto sul “cum”. Stiamo imparando che l’individualismo non ha più alcun senso, che più forte deve essere il senso di solidarietà che ci lega l’un l’altro. Solo il “cum”, l’insieme, potrà dare contenuto all’ “unitas”, e non vale il contrario. Il Coronavirus ha dimostrato il fallimento del regno dell’individuo – il Singolo, per fortuna, è una categoria ben più alta. Questo sia a qualsiasi livello: familiare, cittadino, nazionale, europeo, mondiale. Ho scritto che attualmente la crisi è la nostra condizione ontologica: siamo giudizio di noi stessi e degli altri, siamo separazione la quale è anche vicinanza. La crisi è un momento, una parentesi da cui ripartire. La società del domani deve far tesoro dei sacrifici che stiamo facendo per salvare noi stessi, per garantire un futuro all’umanità. Noi e gli altri. Noi insieme agli altri. Impariamo a mettere insieme, a condividere, a pensare al prossimo come un noi stessi. Kant affermava che bisognava trattare le persone come fini e mai come mezzi. Ecco, anche le istituzioni devono fare la loro parte, affinché ci sia realmente un post e non una riproposizione squilibrata dell’ante. La politica deve farsi carico delle disuguaglianze, deve trovare soluzioni che siano realmente e concretamente ambientaliste (perché la natura ci presenta spesso il conto dei danni che le procuriamo). Ambiente, lavoro, salute, educazione, ridistribuzione delle ricchezze: questo vuol dire comunità, dove il benessere di uno coincide con quello degli altri. In questo modo potremo immunizzarci da qualsiasi virus, da qualsiasi deriva tirannica. In questo modo potremo affrontare con un filo di speranza le sfide enormi che ci attendono.

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