A livello mondiale, denuncia Unicef, un adolescente su 7 ha un problema di salute mentale diagnosticato. Solo nei tre anni della pandemia, ricorda la Società italiana di psichiatria (Sip), le diagnosi di disturbi psichici sono aumentate del 30 per cento. E i sintomi depressivi hanno riguardato 1 persona su 3. E nonostante questo quadro, ormai purtroppo noto e ribadito in occasione della Giornata mondiale della salute mentale, le istituzioni italiane non hanno aumentato gli investimenti. Anzi, i fondi diminuiscono ogni anno. “Siamo di fronte a un depauperamento continuo dei servizi pubblici”, è la protesta di Emi Bondi, presidente degli psichiatri. “L’obiettivo del 10% della spesa del Fondo Sanitario dedicata alla salute mentale, indicato dall’Europa, è lontanissimo, ma lo è anche lo standard minimo del 5% di spesa”. L’Italia, infatti, se si guardano le ultime rilevazioni disponibili, è passata dal 3,8% del 2018 al 2,75% del 2020. “Una carenza che rischia di compromettere gravemente tutto il sistema”.
I dati – Per cercare di capire meglio quello che vivono le persone, sono importanti gli studi e le ricerche sul campo. Che producono numeri e dati utili per riuscire a contestualizzare una situazione in forte evoluzione, soprattutto per quanto riguarda la consapevolezza dei singoli. Il 9 ottobre, ad esempio, sono stati diffusi i risultati dello studio “L’era del disagio”, realizzato da Inc Non Profit Lab, in collaborazione con Astraricerche e con il patrocinio di Rai per la Sosteniblità. Dal loro lavoro è emerso che sei persone su dieci, in Italia, dicono di convivere con un disagio psicologico. Se poi si analizza questo 60 per cento, si scopre che sono in numero maggiore donne (65%) e il 75% sono giovani della generazione Z (di cui l’81% sono ragazze). Lo studio ha quindi cercato di analizzare i disagi pià ricorrenti. Il primo è il disturbo del sonno (32%). Seguono: varie forme d’ansia (31,9%); stati di apatia (15%); attacchi di panico (12,3%); depressione (11,5%) e i disturbi dell’alimentazione (8,2%). A preoccupare, secondo quanto riporta la ricerca, è la cura “fai da te”. La maggior parte delle persone, il 29,4%, “ha cercato le risorse per farcela dentro sé stesso“. Non manca chi ha assunto prodotti e farmaci senza prescrizione (27,6%). A essersi rivolto “al medico generico” è il 22,9% degli italiani. Il 22,1% ha ricevuto l’aiuto di uno specialista”. Preoccupa particolarmente la generazione Z: in Italia, specifica lo studio, il 10,8% dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni “assume psicofarmaci senza prescrizione medica“. Lo farebbero per diverse motivazioni: “per dormire, per dimagrire, per essere più performanti negli studi”. Ed è proprio tra gli studenti che la percentuale di chi usa psicofarmaci sale al 18%. In generale, a “minacciare” maggiormente il benessere psicologico risulta essere “il forte stress da lavoro o da disoccupazione”. A seguire: “il bullismo e la violenza fisica e verbale”.
A questi numeri si sommano quelli diffusi dal Fondo delle Nazioni unite per l’infanzia, secondo cui i disturbi mentali diagnosticati nel mondo riguardano un adolescente su 7. Non solo. L’Unicef, nell’ultimo report diffuso, parla anche del delicatissimo tema del suicidio che risulta essere, nel mondo, la quarta causa principale di morte tra chi ha tra i 15 e i 19 anni. Quasi 46mila adolescenti muoiono a causa di un suicidio ogni anno, ovvero più di uno ogni 11 minuti.
Crescono i disagi, ma non gli investimenti – Gli esperti e i dati concordano su un punto: si riscontra un aumento negli ultimi anni di depressione e patologie psichiche. Una crescita dovuta anche a una maggiore attenzione e sensibilità sul tema. Gli specialisti della Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (Sinpia) proprio in queste ore hanno rilanciato l’allarme disagio fra i minori: negli ultimi anni l’aumento delle visite neuropsichiatriche infantili urgenti è stato “esponenziale”, segnalano, sollecitando la necessità di prevenzione, diagnosi precoce e cure tempestive. “Bisogna intervenire in età evolutiva”, avvertono gli esperti.
Per Bondi, si tratta di una “policrisi” in cui “pandemia e guerra, inflazione e turbolenze sociali stanno facendo da detonatore al disagio mentale”. La situazione peggiora a livello strutturale: “Anche i Dipartimenti di Salute Mentale sono diminuiti, dai 183 del 2015 ai 141 del 2020. Si stima inoltre che entro il 2025 mancheranno all’appello altri mille psichiatri”. Eppure, ha dichiarato Bernardo Carpiniello, presidente del Consiglio delle Società Europee di Psichiatria, “l’Italia ha un plus incredibile: è l’unico Paese al mondo che ha abolito i manicomi e gli ospedali psichiatrici giudiziari. Ha un sistema assistenziale senza pari in Europa: 2,8 servizi territoriali per 100mila abitanti (media europea di 0,8), uno dei più bassi tassi di posti letto ospedalieri (circa 10 ogni 100mila abitanti), sette volte inferiore alla media dei paesi Ocse, la minor durata dei ricoveri (circa 10 giorni) e, soprattutto, il più basso tasso di ricoveri obbligatori con meno del 14% sul totale”. I lavoratori del settore sono però molto allarmati per la scarsità di investimenti, anche di fronte a un Pnrr che sul tema ha messo poco e niente. E intanto, la Federazione degli Ordini dei Medici (Fnomceo) ricorda che è necessario “sostenere economicamente” il settore e “garantire agli psichiatri la sicurezza sul lavoro. Una preoccupazione condivisa anche dalle associazioni: sempre secondo la ricerca di Inc Non Profit Lab “soltanto il 43% degli enti” ha avuto fondi pubblici e “appena il 3% li ha ritenuti adeguati alle proprie esigenze”.
La necessità di sensibilizzare sempre di più – A mancare è la consapevolezza della diffusione del fenomeno, a livello istituzionale e non solo. La presidente della Società italiana di psichiatria ha lanciato un appello: “Ai personaggi famosi chiedo di fare outing in presenza di problemi di salute mentale. Questo può infatti aiutare a vincere i pregiudizi e può fare da traino rispetto a tante persone che ancora hanno vergogna e reticenza a parlare dei propri disturbi. E’ assurdo che le persone oggi abbiano ancora paura di parlare di salute mentale ed ancora più grave è che ciò porti in vari casi a ritardare le cure”. Rompere l’omertà e spingere a prendere coscienza dei proprio disagi è la strada da seguire. E chi è noto o ha un ruolo di visibilità, se soffre di questo tipo di patologie, può fare la differenza: “Se riuscissero a parlarne apertamente, sarebbe un modo per dare coraggio a tante altre persone”. L’ultimo caso virtuoso è quello del cantante Fedez che, nei giorni scorsi, uscito dall’ospedale ha parlato dei propri problemi psicologici e ha invitato alle donazioni di sangue. Proprio quell’invito ha spinto tanti a mettersi in coda per donare il proprio sangue. Un effetto che, ha concluso la presidente degli psichiatri, “sarebbe importante si replicasse anche rispetto al campo della salute mentale“. Perché per sostenere tutte e tutti, serve uno sforzo e una volontà collettivi.
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DIRITTI
Giornata mondiale della salute mentale: i disagi sono in crescita, soprattutto tra i più giovani. Ma mancano gli investimenti
A livello mondiale, denuncia Unicef, un adolescente su 7 ha un problema di salute mentale diagnosticato. Solo nei tre anni della pandemia, ricorda la Società italiana di psichiatria (Sip), le diagnosi di disturbi psichici sono aumentate del 30 per cento. E i sintomi depressivi hanno riguardato 1 persona su 3. E nonostante questo quadro, ormai purtroppo noto e ribadito in occasione della Giornata mondiale della salute mentale, le istituzioni italiane non hanno aumentato gli investimenti. Anzi, i fondi diminuiscono ogni anno. “Siamo di fronte a un depauperamento continuo dei servizi pubblici”, è la protesta di Emi Bondi, presidente degli psichiatri. “L’obiettivo del 10% della spesa del Fondo Sanitario dedicata alla salute mentale, indicato dall’Europa, è lontanissimo, ma lo è anche lo standard minimo del 5% di spesa”. L’Italia, infatti, se si guardano le ultime rilevazioni disponibili, è passata dal 3,8% del 2018 al 2,75% del 2020. “Una carenza che rischia di compromettere gravemente tutto il sistema”.
I dati – Per cercare di capire meglio quello che vivono le persone, sono importanti gli studi e le ricerche sul campo. Che producono numeri e dati utili per riuscire a contestualizzare una situazione in forte evoluzione, soprattutto per quanto riguarda la consapevolezza dei singoli. Il 9 ottobre, ad esempio, sono stati diffusi i risultati dello studio “L’era del disagio”, realizzato da Inc Non Profit Lab, in collaborazione con Astraricerche e con il patrocinio di Rai per la Sosteniblità. Dal loro lavoro è emerso che sei persone su dieci, in Italia, dicono di convivere con un disagio psicologico. Se poi si analizza questo 60 per cento, si scopre che sono in numero maggiore donne (65%) e il 75% sono giovani della generazione Z (di cui l’81% sono ragazze). Lo studio ha quindi cercato di analizzare i disagi pià ricorrenti. Il primo è il disturbo del sonno (32%). Seguono: varie forme d’ansia (31,9%); stati di apatia (15%); attacchi di panico (12,3%); depressione (11,5%) e i disturbi dell’alimentazione (8,2%). A preoccupare, secondo quanto riporta la ricerca, è la cura “fai da te”. La maggior parte delle persone, il 29,4%, “ha cercato le risorse per farcela dentro sé stesso“. Non manca chi ha assunto prodotti e farmaci senza prescrizione (27,6%). A essersi rivolto “al medico generico” è il 22,9% degli italiani. Il 22,1% ha ricevuto l’aiuto di uno specialista”. Preoccupa particolarmente la generazione Z: in Italia, specifica lo studio, il 10,8% dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni “assume psicofarmaci senza prescrizione medica“. Lo farebbero per diverse motivazioni: “per dormire, per dimagrire, per essere più performanti negli studi”. Ed è proprio tra gli studenti che la percentuale di chi usa psicofarmaci sale al 18%. In generale, a “minacciare” maggiormente il benessere psicologico risulta essere “il forte stress da lavoro o da disoccupazione”. A seguire: “il bullismo e la violenza fisica e verbale”.
A questi numeri si sommano quelli diffusi dal Fondo delle Nazioni unite per l’infanzia, secondo cui i disturbi mentali diagnosticati nel mondo riguardano un adolescente su 7. Non solo. L’Unicef, nell’ultimo report diffuso, parla anche del delicatissimo tema del suicidio che risulta essere, nel mondo, la quarta causa principale di morte tra chi ha tra i 15 e i 19 anni. Quasi 46mila adolescenti muoiono a causa di un suicidio ogni anno, ovvero più di uno ogni 11 minuti.
Crescono i disagi, ma non gli investimenti – Gli esperti e i dati concordano su un punto: si riscontra un aumento negli ultimi anni di depressione e patologie psichiche. Una crescita dovuta anche a una maggiore attenzione e sensibilità sul tema. Gli specialisti della Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (Sinpia) proprio in queste ore hanno rilanciato l’allarme disagio fra i minori: negli ultimi anni l’aumento delle visite neuropsichiatriche infantili urgenti è stato “esponenziale”, segnalano, sollecitando la necessità di prevenzione, diagnosi precoce e cure tempestive. “Bisogna intervenire in età evolutiva”, avvertono gli esperti.
Per Bondi, si tratta di una “policrisi” in cui “pandemia e guerra, inflazione e turbolenze sociali stanno facendo da detonatore al disagio mentale”. La situazione peggiora a livello strutturale: “Anche i Dipartimenti di Salute Mentale sono diminuiti, dai 183 del 2015 ai 141 del 2020. Si stima inoltre che entro il 2025 mancheranno all’appello altri mille psichiatri”. Eppure, ha dichiarato Bernardo Carpiniello, presidente del Consiglio delle Società Europee di Psichiatria, “l’Italia ha un plus incredibile: è l’unico Paese al mondo che ha abolito i manicomi e gli ospedali psichiatrici giudiziari. Ha un sistema assistenziale senza pari in Europa: 2,8 servizi territoriali per 100mila abitanti (media europea di 0,8), uno dei più bassi tassi di posti letto ospedalieri (circa 10 ogni 100mila abitanti), sette volte inferiore alla media dei paesi Ocse, la minor durata dei ricoveri (circa 10 giorni) e, soprattutto, il più basso tasso di ricoveri obbligatori con meno del 14% sul totale”. I lavoratori del settore sono però molto allarmati per la scarsità di investimenti, anche di fronte a un Pnrr che sul tema ha messo poco e niente. E intanto, la Federazione degli Ordini dei Medici (Fnomceo) ricorda che è necessario “sostenere economicamente” il settore e “garantire agli psichiatri la sicurezza sul lavoro. Una preoccupazione condivisa anche dalle associazioni: sempre secondo la ricerca di Inc Non Profit Lab “soltanto il 43% degli enti” ha avuto fondi pubblici e “appena il 3% li ha ritenuti adeguati alle proprie esigenze”.
La necessità di sensibilizzare sempre di più – A mancare è la consapevolezza della diffusione del fenomeno, a livello istituzionale e non solo. La presidente della Società italiana di psichiatria ha lanciato un appello: “Ai personaggi famosi chiedo di fare outing in presenza di problemi di salute mentale. Questo può infatti aiutare a vincere i pregiudizi e può fare da traino rispetto a tante persone che ancora hanno vergogna e reticenza a parlare dei propri disturbi. E’ assurdo che le persone oggi abbiano ancora paura di parlare di salute mentale ed ancora più grave è che ciò porti in vari casi a ritardare le cure”. Rompere l’omertà e spingere a prendere coscienza dei proprio disagi è la strada da seguire. E chi è noto o ha un ruolo di visibilità, se soffre di questo tipo di patologie, può fare la differenza: “Se riuscissero a parlarne apertamente, sarebbe un modo per dare coraggio a tante altre persone”. L’ultimo caso virtuoso è quello del cantante Fedez che, nei giorni scorsi, uscito dall’ospedale ha parlato dei propri problemi psicologici e ha invitato alle donazioni di sangue. Proprio quell’invito ha spinto tanti a mettersi in coda per donare il proprio sangue. Un effetto che, ha concluso la presidente degli psichiatri, “sarebbe importante si replicasse anche rispetto al campo della salute mentale“. Perché per sostenere tutte e tutti, serve uno sforzo e una volontà collettivi.