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I GIALLI DELL’ESTATE – IL DELITTO DELLA CONTESSA ALBERICA FILO DELLA TORRE di Gigi Di Fiore

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I GIALLI DELL’ESTATE – IL DELITTO DELLA CONTESSA ALBERICA FILO DELLA TORRE di Gigi Di Fiore –

 

Quel 10 luglio 1991, la contessa Alberica Filo della Torre avrebbe dovuto festeggiare 10 anni di matrimonio. I preparativi per la festa, nella bella villa nel quartiere dell’Olgiata a Roma, erano iniziati dal mattino. La contessa apparteneva a una famiglia illustre: discendente dei conti di Torre Santa Susanna, figlia della duchessa Anna del Pezzo di Caianello e del contrammiraglio Ettore della Torre di Santa Susanna. Ambienti aristocratici, una Roma dove la 42enne contessa, attraente, elegante, moglie del 48enne Pietro Mattei amministratore delegato della Vianini, era assai conosciuta. Per il ricevimento della sera, nella villa c’erano i camerieri, le baby sitter dei due figli Manfredi e Domitilla, 4 operai che montavano i tendoni nel giardino.
La contessa fece colazione, diede qualche disposizione ai camerieri. Poi, alle 8,30, tornò nella sua camera. Da quel momento, nessuno la vide più. Preoccupati, alle 9,15, la figlia Domitilla e una cameriera andarono a bussare alla sua camera. Nessuno rispose. Forzarono la porta e trovarono la donna senza vita, stesa a pancia in giù sulla moquette, con la testa insanguinata avvolta in un lenzuolo. Era stata colpita e poi strangolata. L’autopsia accerterà che la contessa era stata prima stordita con uno zoccolo e poi strangolata in un modo che ricordava la tecnica delle arti marziali filippine. Iniziarono le indagini, su più ipotesi: pista passionale, delitto legato a misteriosi segreti sui fondi neri del Sisde, trame occulte. Ma gli inquirenti fecero indagini frettolose, cercando troppo lontano ricorrendo a troppe fantasie su un delitto che incuriosiva tutta Roma e non solo.
Nessun testimone, tra i tanti presenti nella villa a quell’ora. Fu sospettato il marito della contessa ma senza un movente credibile. Vennero eseguiti alcuni esami del Dna su diverse persone, ma quelle prime analisi conclusero che le uniche tracce genetiche sul luogo del delitto appartenevano alla vittima. Si seguirono piste strampalate, in un’indagine che appariva senza fine.
Quando esplose lo scandalo dei fondi neri del Sisde, si pensò a segreti inconfessabili conosciuti dalla donna sull’amico Michele Finocchi, funzionario dei servizi, su cui si indagò. Pista fantasiosa e senza alcun riscontro. Si scandagliò anche la vita di Franklin Yung, un finanziere di Hong Kong che abitava vicino alla villa della contessa. Nulla di nulla, indagini al punto di partenza. Il buio. E allora, ancora: conti correnti svizzeri della famiglia passati al setaccio, una bambinaia da rintracciare in Australia. Sempre buio e fantasie.
Il marito della contessa, Pietro Mattei, non si rassegnò mai all’archiviazione dell’inchiesta. Era stato anche lui tra i primi sospettati, ma il suo alibi era di ferro: in quel momento era al lavoro. Nel 2007, Mattei chiese la riapertura dell’inchiesta, affidandosi all’avvocato Giuseppe Marazzita. Il fascicolo fu affidato al pm Francesca Loy, che annunciò: «Si ricomincia da zero». E si riascoltarono, finalmente, 10 bobine di intercettazioni mai tradotte, che si scoprì contenevano una rivelazione esplosiva: il cameriere filippino Manuel Winston Reyes, licenziato dalla contessa, faceva qualche ammissione sull’omicidio. Si rifecero le analisi del Dna sull’uomo e stavolta se ne trovarono riscontri sulla macchia di sangue trovata sul lenzuolo che avvolgeva la testa della vittima.
Già 20 anni prima, 6 testimoni avevano parlato di tensioni tra il cameriere e la contessa. «Chiese dei prestiti, poi fu licenziato a giugno 1991» aveva dichiarato già dopo il delitto la cameriera Remedios Ancheta. Beveva, non rispettava gli impegni lavorativi, pretendeva sempre anticipi: fu il quadro delineato da altri testimoni dell’epoca. Il filippino fu arrestato nel marzo del 2011 e confessò: «Mi sono tolto un peso» ammise in lacrime. Poi raccontò: «Non ho rubato nulla. Quella mattina mi presentai alla villa per parlare con la contessa, avevo bisogno di lavorare, dopo che mi aveva licenziato. Ci fu una discussione, mi feci coraggio con un bicchiere di whisky. Scappai passando da una finestra e attraversando il tetto». Poi rivelò: «Ho chiamato mia figlia con il nome di Alberica per espiare la colpa. A mia moglie Rowena raccontai del delitto, ma lei non mi ha mai creduto. Adesso sono pronto a scontare la pena. Ogni volta che sentivo parlare della contessa mi prendeva l’angoscia». Fu condannato a 16 anni con rito abbreviato.
«Giustizia è fatta» commentò Pietro Mattei, che con i figli si era opposto a ben tre archiviazioni. Il filippino rimase in carcere 10 anni, uscì nel 2021 per buona condotta e indulti. Pietro Mattei è morto nel gennaio 2020, aveva costituito con i figli la Fondazione Alberica Filo della Torre che ha per scopo l’impegno sulla verità nella giustizia. I delitti che danno corpo a racconti gialli hanno spesso bisogno di ricostruzioni fantasiose. Ma, sull’omicidio dell’Olgiata, la verità era a portata di mano dall’inizio. Forse era una verità troppo semplice. E per portare in carcere l’assassino ci sono voluti 20 anni.

FONTE:

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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