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NAPOLI. L’INCHIESTA

Affaire colombia, pm: “80 mln per d’alema&c.”

INDAGATO CON PROFUMO, EX AD DI LEONARDO – Il “lìder Massimo” perquisito con altri 3. Al centro due forniture di armi da 4 miliardi. L’accusa: “stecca del 2% (mai spartita) tra italiani e sudamericani”

DI VINCENZO IURILLO E VALERIA PACELLI

7 GIUGNO 2023

Corruzione internazionale aggravata, otto persone indagate, quattro di loro perquisite, tra cui l’ex premier Massimo D’Alema. Acquisiti le memorie informatiche di pc e smartphone, nonché agende e appunti. La svolta dell’inchiesta della Procura di Napoli sulle manovre di una compravendita (non conclusa) di armi in Colombia si concretizza ieri mattina, quando gli agenti della Digos bussano a casa dell’ex premier ed ex ministro degli Esteri Massimo D’Alema, dell’ex amministratore delegato di Leonardo Alessandro Profumo, dell’ex direttore generale della Divisione Navi Militari di Fincantieri Giuseppe Giordo e del mediatore Gherardo Gardo, indicato nel decreto di perquisizione come rappresentante italiano dello studio legale associato di Miami “Robert Allen Law”. È lo studio che fu segnalato da D’Alema per l’assistenza legale e di promozione, ma con il quale l’ex premier ha già spiegato di non aver avuto contratti di consulenza. Perché abbandonata la vita parlamentare nel 2013 D’Alema oggi questo fa: “Consulenza e assistenza a imprese italiane per investimenti all’estero”, ha spiegato in un’intervista al Corriere del 26 marzo 2022. Nel 2019 ha creato anche una società, la “Dl&M Advisor”, che non c’entra nulla con l’inchiesta napoletana e che nel 2022 ha chiuso il bilancio con un utile di 394mila euro (nell’anno precedente l’utile era di 581 mila euro). Fino a poco fa D’Alema ha collaborato pure con Ernst&Young (ma fu lui stesso a marzo 2022 a sospendere il rinnovo del contratto). Sul ruolo dell’ex premier in questa vicenda, Profumo è stato sentito in Commissione difesa al Senato nell’aprile 2022: “D’Alema non aveva alcun mandato formale o informale a trattare per conto di Leonardo”.

Nella partita degli affari in Colombia, D’Alema dice di aver solo “messo in contatto i soggetti”, da una parte dunque Leonardo e Fincantieri (per i quali ha ribadito di non aver mai lavorato), dall’altra i colombiani. Per la procura di Napoli però ci potrebbe essere qualcosa di più: i “soggetti indagati – è infatti scritto nel decreto di perquisizione – si sono a vario titolo adoperati quali promotori dell’iniziativa economica commerciale di vendita al Governo della Colombia di prodotti delle aziende italiane a partecipazione pubblica” ossia Leonardo per quel che riguarda gli aerei M346 e Fincantieri per “corvette, piccoli sommergibili e allestimento cantieri navali”. Affari che complessivamente valevano 4 miliardi di euro. D’Alema ha sempre detto che non avrebbe guadagnato niente dalla conclusione di queste forniture, ma la procura di Napoli sospetta che ci fossero invece 80 milioni da spartirsi “tra la parte colombiana” e “la parte italiana”.

Ognuno in questa storia, nell’impostazione accusatoria, ha un ruolo. Ci sono ad esempio due “consulenti (…) del ministero degli Esteri della Colombia”: Francesco Amato ed Emanuele Caruso che (anche questi indagati) “tramite Mazzotta Giancarlo”, un imprenditore salentino, si erano messi in contatto con D’Alema. E quest’ultimo per i pm si sarebbe posto come “mediatore informale” con i vertici delle società italiane, “ossia Profumo (…) e Giordo”. L’obiettivo – secondo la Polizia di Stato delegata a indagare – era giungere ad accordi con le autorità colombiane per forniture. Per arrivare a questo traguardo i consulenti Caruso e Amato secondo i pm si sarebbero resi disponibili a promettere e offrire a pubblici ufficiali colombiani circa 40 milioni di euro, la metà della provvigione (da 80 milioni), pari al 2 per cento delle commesse da 4 miliardi di euro. La torta, per la Digos, era da spartire tra Marta Lucia Ramirez (ex ministro degli esteri e vicepresidente della Colombia), German Monroy Ramirez e Francisco Joya Prieto (all’epoca entrambi delegati della seconda commissione del Senato della Colombia), e infine Edgardo Fierro Flores. Quest’ultimo, indicato come capo del gruppo di lavoro per la presentazione di opportunità in Colombia, è un ex paramilitare condannato a 40 anni e poi graziato. “Mi hanno detto che era un senatore”, disse a marzo 2022 D’Alema: non aveva cercato su Google chi fosse uno dei suoi interlocutori tanto che alla fine ammise “ho peccato di mancanza di cautela”.

Gli 80 milioni dunque per i pm erano da “ripartirsi tra la parte colombiana e la parte italiana attraverso il ricorso allo studio legale associato americano Rober Allen Law” “rappresentato in Italia e per la specifica trattativa da Umberto Bonavita e Gherardo Gardo (anche questi indagati, ndr)” e che avrebbe dovuto predisporre “la contrattualistica simulatoria e formalmente giustificativa della transazione finanziaria”. Alla fine non se ne fa nulla: “Non faceva infine seguito la formalizzazione dei contratti per l’intervenuta interruzione delle trattative a causa della mancata intesa sulla ulteriore distribuzione della predetta somma tra le singole persone fisiche costituenti la ‘parte italiana’ e la ‘parte colombiana’”, riporta il decreto di perquisizione.

Di questa vicenda tutto emerse quando sulla stampa vennero pubblicati gli audio di una video call di fine gennaio 2022 tra D’Alema, Fierro Flores quale emissario del governo colombiano e un’altra persona: “Siamo convinti che alla fine riceveremo tutti noi 80 milioni di euro”, è una delle frasi dette da D’Alema. Che poi in un’intervista spiegò: “Perché ho parlato degli 80 milioni? Per spiegare ai colombiani che l’unico modo per avere denaro era chiudere l’affare”. Il caso poi finisce in Procura a Napoli quando arriva un esposto dell’associazione ‘Assemblea Parlamentare del Mediterraneo’ presieduta dall’allora deputato di Italia Viva Gennaro Migliore. Si denuncia l’esistenza di un documento falso su carta intestata dell’Assemblea: una lettera che autorizzava i broker Caruso ed Amato ad accreditarsi con la Colombia per trattare la vendita di armi dall’Italia. I due sono appunto quelli che poi contattarono D’Alema.Alla fine l’inchiesta della procura di Napoli approda sull’ex premier e gli altri. Agli indagati ora viene contestata una corruzione “aggravata” perché il reato sarebbe stato commesso “ attraverso il contributo di un gruppo criminale organizzato” attivo in diversi Stati, tra cui Italia, Usa, Colombia. E ora da pc e cellulari i magistrati sperano di trovare le prove di questa presunta corruzione.

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(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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