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“Io, criminologa precaria: dopo 25 anni la mia svolta su Nada” Cold case – Antonella Pesce Delfino: “Così ho trovato nuove prove”

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1996, L’OMICIDIO CELLA

“Io, criminologa precaria: dopo 25 anni la mia svolta su Nada”

Cold case – Antonella Pesce Delfino: “Così ho trovato nuove prove”

Nel 2018 Antonella Pesce Delfino era una studentessa del master in Criminologia di Genova. Il suo lavoro principale era lo stesso di oggi, all’Università di Bari. Ricercatrice? “Magari – dice con un sorriso – sono tecnico di laboratorio, mi occupo di genetica. Cercavo un argomento su cui scrivere la tesi ed è stato un amico giornalista a suggerirmi: perché non ti occupi di Nada Cella?”. Era il 6 maggio 1996. Nada, 25 anni, viene trovata in una pozza di sangue nello studio di Chiavari del commercialista Marco Soracco, il suo datore di lavoro e per anni principale sospettato. Sembra una storia uscita da un romanzo: la tesista che porta gli investigatori a risolvere il caso. Accade davvero.

E in questa storia, Antonella Pesce Delfino vestirebbe benissimo i panni di un personaggio: due lauree, Veterinaria e Psicologia, appassionata di moto, cavalli e tatuaggi, ricorda un po’ Lisbeth Salander, protagonista di Uomini che odiano le donne. È lei, nel 2018, ad aver consegnato agli inquirenti l’identità della presunta assassina: Anna Maria Cecere, ex spasimante di Soracco. Una figura presente fin dall’inizio della vicenda, ma inspiegabilmente trascurata. Nei giorni scorsi, la Procura di Genova ha iscritto la donna sul registro degli indagati con l’accusa di omicidio. E ha affidato una consulenza sul Dna a Emilio Giardina, perito del giallo di Yara Gambirasio.

Ma riavvolgiamo il nastro. Dopo pochi mesi di ricerche è già chiaro che per Pesce Delfino la tesi è diventata qualcos’altro. È ossessionata dalle falle nelle indagini, dall’ostinazione con cui per anni gli inquirenti hanno continuato a sospettare Soracco, l’uomo che aveva trovato il cadavere. Nel 2018 si presenta dall’allora procuratore di Genova, Francesco Cozzi. A corroborare la sua credibilità c’è la stima che ripongono in lei la madre di Nada, Silvana Smaniotto, e l’avvocato di famiglia, Sabrina Franzone. A dirla tutta, in quel momento, Pesce Delfino non ha in mano molto se non delle ottime intuizioni. Ha persino avvicinato Anna Lucia Cecere, con un sotterfugio: “Mi aveva dato l’impressione di una persona che aveva qualcosa da nascondere”. Ma come ci era arrivata? “Da una prima selezione di una rosa di personaggi interessanti. La mia attenzione è ricaduta su di lei quando ho scoperto che era l’unica donna mai indagata. C’erano tracce di Dna femminile sul corpo, ma nessuno aveva mai collegato le due cose”.

A fare il nome di Cecere, ex insegnante che oggi vive a Boves, in Piemonte, due testimoni, che quella mattina l’avevano vista uscire dal palazzo teatro dell’omicidio: una mendicante e una testimone anonima. Quest’ultima, rintracciata dai carabinieri, conosce sia la donna che Soracco. E riferisce di una gelosia patologica di lei. Ce n’è abbastanza per approfondire. Dettaglio non da poco: il fascicolo è in mano alla polizia, e i carabinieri lavorano per conto proprio. Il 28 maggio 1996 perquisiscono la casa della Cecere. Qui trovano 5 bottoni, molto particolari. Si legge nel verbale: “Base metallica incastonata”, “una stella a cinque punte” e la scritta “Great Seal of the State of Oklahoma”. Hanno provenienza militare, ma si trovano anche in giacche vintage ai mercatini. Un bottone identico era stato trovato vicino al corpo di Nada Cella. Cosa succede a quel punto? Viene fatto un confronto, ma solo fotografico. Il bottone sul luogo dell’omicidio aveva un pezzo mancante, forse rotto durante la colluttazione, e la pista viene scartata. Durante una conferenza stampa, il pm di Chiavari, Filippo Gebbia, bolla quelle ipotesi come fantasiose. E Cecere, indagata per omicidio, viene archiviata in pochi giorni.

Il verbale, ormai dimenticato, viene ritrovato dalla studentessa di Criminologia fra le 12mila pagine di un fascicolo che, nel frattempo, è andato in parte alluvionato. Ne ha avuto accesso dopo il colloquio con Cozzi. Il verbale del bottone è l’indizio che fornisce la spinta per rimettere in moto la macchina giudiziaria. A reggere la Procura di Genova c’è un nuovo procuratore, Francesco Pinto, che insieme alla pm Gabriella Dotto interroga Cecere e sente nuovamente Soracco e la madre Marisa Bacchioni. Anche loro due vengono indagati, per falsa testimonianza. La mamma di Soracco ripulì il pianerottolo dalle tracce di sangue. Uno degli episodi più famosi di una serie di errori che incombono sulle indagini. Convinti che fosse un incidente, i sanitari portarono Nada al pronto soccorso. Un poliziotto ne usò il computer. Per capire perché la pista della Cecere fu trascurata la Procura ha convocato anche due alti dirigenti della polizia dell’epoca, Giuseppe Gonan e Pasquale Zazzaro. C’è tempo per un ultimo, inquietante colpo di scena. A inizio 2021, Antonella Pesce Delfino riceve strani messaggi intimidatori proprio da Anna Lucia Cecere. Succede nello stesso pomeriggio in cui Procura e polizia riaprono le indagini. Chi l’ha avvertita? È una strana coincidenza che riporta le lancette al maggio del ’96, quando un giorno prima della perquisizione, Cecere viene intercettata mentre cerca un avvocato.

FONTE:

DI MARCO GRASSO
5 NOVEMBRE 2021

 



(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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