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'Se un uomo non ha il coraggio di difendere le proprie idee, o non valgono nulla le idee o non vale nulla l'uomo' (Ezra W.Pound)

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Le mistificazioni della guerre (di Stelio W. Venceslai)






Le mistificazioni della guerre (di Stelio W. Venceslai)

Continuo a non capire certe dichiarazioni, ripetute fino alla noia, sui conflitti in corso. Non è questione di destra o di sinistra, di pacifisti o di guerrafondai. Gli è che usare e abusare di luoghi comuni è l’unico terreno comune in cui prosperano ignoranza, viltà e malafede. Ciò genera una confusione che non aiuta a capire.

Forse non ricordo bene un lontano episodio che mi fu raccontato a proposito di un sacerdote francese, fisicamente molto aitante, che poi divenne cardinale. Per non so quale ragione fu preso a schiaffi da un tale. Il sacerdote, memore degli insegnamenti del suo divino Maestro, non reagì e mostrò l’altra guancia. Quello insistette e lo schiaffeggiò di nuovo, irridendolo. A quel punto il sacerdote lo prese per la collottola e lo buttò nella Senna. Cristiano sì, ma non stupido.

Racconto questo apologo perché in esso ci sono tutti gli elementi per un’analisi del fenomeno: la provocazione, l’offesa, la pazienza, la ritorsione.

Prendiamo il caso russo. Che Putin abbia deliberatamente invaso l’Ucraina è un fatto. Che la politica ucraina precedente all’invasione sia stata una provocazione nei confronti della Russia, stupidamente vessando le popolazioni ucraine russo parlanti ai confini orientali del Paese, è altrettanto vero. Ma questo non giustifica la pretesa russa di fare l’angelo salvatore dei russofoni in tutto il mondo. Una pretesa eccessiva.

Il diritto degli Ucraini a difendersi è incontestabile. Altrettanto incontestabile è l’aiuto occidentale all’Ucraina. Ma lo è anche quello nordcoreano, cinese e iraniano alla Russia. Non è che l’aiuto occidentale è buono e quello orientale è cattivo. Queste sono categorie morali che non hanno nulla a che vedere con la guerra in corso.

La guerra è guerra. Storicamente si è fatta con le mani, con i bastoni, con le picche e le spade, con le bombe, i droni e i missili. La guerra ha come obiettivo la devastazione del nemico. Le sopraffazioni, le morti, le ferite, le sofferenze della gente, l’uccisione dei bambini, gli stupri e le violenze sono i demoni che accompagnano tutte le guerre. Non ci sono guerre pulite.

Non ci sono nemmeno guerre giuste o guerre ingiuste. Questa è una polemica vecchia da millenni che non ha mai portato a un giorno di pace. Si parla di guerra di conquista, di guerra di difesa, di guerra preventiva, di guerra di liberazione, ma sono tutti arzigogoli per dare una parvenza di legittimità alla guerra (che in verità non ne ha nessuna).

I bombardamenti sulle infrastrutture militari e civili, sugli edifici residenziali, sulle scuole e gli ospedali, seguono la stessa logica. Non sono legittimi, non sono umanitari, mirano a distruggere, a fiaccare la resistenza del nemico e a uccidere.

I bombardamenti a tappeto sulla Germania, durante la 2^ Guerra mondale, compresi quelli al fosforo, sull’indifesa città di Dresda, gremita di civili e di profughi, le stesse esplosioni nucleari a Hiroshima e Nagasaki, rispondevano alla medesima logica distruttiva. Non dobbiamo stupirci né dimenticare che fu Hitler, con la battaglia d’Inghilterra, al solito malamente aiutato da Mussolini, a cominciare la danza (v. Coventry, e prima di allora, in Spagna, a Guernica).

Dei bombardamenti massicci sull’Ucraina o sulla Striscia di Gaza possiamo dire tutto il male che vogliamo, ma perché in Germania e in Giappone (e anche in Italia), allora, andavano bene e in Ucraina e Gaza adesso no?

La stessa logica moralistica (pseudo pacifista) impera nella valutazione delle armi. Di difesa o di offesa Premesso che si può uccidere una persona con una mano sola e che qualunque oggetto può andar bene, le armi sono concepite per uccidere. Ogni distinzione è priva di senso. Ancor più priva di senso è se l’arma viene dai contendenti oppure da chi li aiuta. Un drone esplosivo iraniano ha lo stesso effetto mortale di un missile italiano o nordcoreano. Le sottigliezze sull’origine dell’arma non servono a nulla. Comprate un coltello a Milano e uccidete qualcuno a Rangoon. Il coltello funziona lo stesso se cambi continente. Sempre assassinio è.

Se sono offeso, se sono invaso, è legittimo reagire. Restringere la reazione all’esercizio della ritorsione solo sul proprio territorio è un’altra delle tesi senza fondamento dell’attuale pacifismo.

Tu mi puoi bombardare e distruggere ed io non posso fare altrettanto? Questo principio è mera follia. Bisognerebbe ricordarlo ai nostri agnelli pacifisti (Bonelli, Fratoianni, Conte). Per Putin la guerra in Ucraina è una guerra santa contro il nazismo (?) ma portare la guerra in Russia è terrorismo. Punti di vista No, sciocchezze generate dalla propaganda.

In Medioriente siamo sulla stessa linea assurda di pensiero.

Nessuno dubita che il capo di Hamas sia stato ucciso a Teheran da Israele, anche se Israele non lo ha mai ammesso. Nessuno dubita della legittimità di una ritorsione iraniana su Israele. La pressione internazionale è tale che forse l’Iran forse non reagirà se si raggiungerà un accordo a Gaza. Hamas, però, non vuole un accordo e neppure Netanyahu. Hanno ancora sete di sangue.

Tutti vediamo che Israele ha fallito sulla sua spedizione a Gaza: decine di migliaia di morti, soprattutto civili e bambini e Hamas continua a risorgere dalle sue rovine e dalle sue gallerie. I bombardamenti a Gaza, ormai, sono indiscriminati e continui. Non servono più a nulla. Solo ad uccidere, lo sport preferito dei “grandi”. A Gaza si uccide in massa: macelleria ebraica, neanche kosher.

C’è differenza con quello che fa la Russia in Ucraina I Palestinesi (e gli Israeliani) morti sono diversi da quelli Ucraini (e russi)?

La pace è un miraggio, da sempre. La guerra, invece, è una spaventosa realtà. Credevamo di averla rimossa, almeno in Europa. Le guerre jugoslave ci hanno risvegliato da un lungo sonno, ma abbiamo creduto che fosse solo un rigurgito del passato. Non è così. Non basta scrivere sulla costituzione che l’Italia ripudia la guerra ed eliminare il servizio di leva. Non basta far finta che le Olimpiadi siano un momento di pace.

Noi siamo già in guerra, tant’è vero che Putin ordina alla sua flotta di puntare i missili nucleari sulle coste europee, ma facciamo finta di nulla perché “noi siamo per la pace” (quella dei prepotenti e degli assassini). Le illusioni sono dure a morire e il pacifismo alimenta queste illusioni. Certe tesi stravaganti, certe interpretazioni di comodo, sono solo i travisamenti di una realtà funesta, peggio ancora se è di comodo, che ci travalica tutti.

La guerra è tornata nel cuore dell’Europa, con tutte le sue nefandezze.

Roma,14/08/2024

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

‘Il caso malandrino’: lettura (non troppo rilassante e distensiva) proposta per ferragosto

Tempo di Ferragosto: calura e letture, se possibile distensive. Un po’ di fantapolitica (non tanto fanta) fa bene allo spirito depresso.

In politica, la logica regge fino a un certo punto. Poi, sopravviene il ghiribizzo del destino, malandrino, appunto.

Prendiamo il caso America. Nella competizione fra i due vegliardi, Biden era chiaramente spacciato. Trump, come s’è visto, l’ha completamente sommerso. Biden annaspava, non reagiva, era un corpo agonizzante e Trump non ha neppure infierito troppo, tanto era evidente che nel dibattito televisivo il vincitore era lui. Tutti avremmo giurato che il prossimo Presidente degli Stati Uniti sarebbe stato Trump.

E invece è accaduto che in momento di resipiscenza Biden abbia buttato la spugna e indicato la Camela Harris come suo candidato alla presidenza. È cambiato tutto, imprevedibilmente. All’improvviso Trump è diventato un vecchio cialtrone, superato dagli eventi. I democratici hanno tirato un respiro di sollievo e sono cominciate cospicue donazioni per la Harris, le percentuali di consenso sono salite, la competizione, ringiovanita di parecchio, ha dato un’aria nuova alle prossime elezioni.

Trump, così sicuro e tronfio, ora si trova a battere, a fatica, una giovane donna di colore che lo sta spiazzando proprio negli Stati dove era più sicuro del suo elettorato. Il caso (o il buonsenso) ci ha messo la mano.

Ma la partita non è finita, neppure se vincesse la Harris. Trump non accetterebbe il risultato e contesterebbe le elezioni, come ha fatto in passato. Potrebbe dare un altro scossone grave alla democrazia americana, come quello di Capitol Hill.

Prendiamo il caso Iran. L’assassinio del capo di Hamas a Teheran ha umiliato la teocrazia che governa il Paese. Comprensibile una reazione violenta. L’hanno annunciata, denunciando la gravità del fatto avvenuto al Consiglio di Sicurezza delle N.U., e certamente si stanno preparando ad agire.

Israele prepara una reazione di risposta, terribile, come minaccia Netanyahu, e tutta Israele s’imbuca negli scantinati, aspettando la vendetta iraniana.

La diplomazia internazionale si mobilita per evitare un conflitto regionale che potrebbe essere il prodromo di una terza guerra mondiale che nessuno vuole. Intanto, gli Hezbollah continuano a lanciare missili dal Libano e a Gaza si continua a morire. Lo scenario è immutato in attesa dell’accelerazione iraniana. Ma l’Iran non si muove.

Il mondo comprende Teheran ma non vuole la guerra. Non la vogliono neppure i preti del regime iraniano. Sanno che possono attivare una cintura di fuoco su Israele (Hezbollah, Houthi, compagini scite di varia nazionalità, i servi sciocchi del regime). Possono distruggere buona parte delle installazioni strategiche d’Israele. Attorno all’Iran, però, c’è un’altra cintura di fuoco che, a parte gli Israeliani, potrebbe devastare totalmente l’Iran. È l’equilibrio del terrore. Si muoverà l’Iran o darà segni d’insolita moderazione?

In questo caso muterebbe lo scenario in Medio Oriente, magari sulla base di un cessate il fuoco a Gaza, il prezzo per il mancato intervento iraniano, e Teheran diventerebbe un interlocutore credibile. Diciamolo pure: Netanyahu ha perduto la guerra. Anche qui il caso potrebbe giocare un ruolo imprevedibile.

Prendiamo il caso Ucraina. La guerra si trascina da novecento giorni. Una guerra insensata voluta da uno squilibrato mal consigliato. Putin pensava a una passeggiata militare e ha cacciato la Russia in un vicolo cieco. Si è incaponito al punto da diventare tributario della Cina e cliente della Corea del Nord, visto che non ce la fa più con le risorse di una Russia esausta. Centinaia di migliaia di morti, dall’una e dall’altra parte, per un conato di grandezza retrò.

Si è visto e lo si vede ogni giorno cos’è la Russia: un esercito enorme e mal guidato e un’economia da terzo mondo. Non parliamo, poi, della loro marina da guerra, beffata, bombardata, affondata, rintanata a Sebastopoli. Non ce la fanno a battere gli Ucraini sostenuti dal decadente mondo occidentale.

Ora gli Ucraini sono all’attacco, in territorio russo, minacciando le centrali energetiche e nucleari. Il famoso esercito russo è stato colto di sorpresa. Fatica a reagire. Non sappiamo se la puntata offensiva ucraina sarà durevole o meno. Colpire la centrale che manda gas in Europa sarà un grave colpo per Urban, che di quel gas continua ad approvvigionarsi, nonostante le sanzioni europee.

Poi, c’è il problema della centrale nucleare nelle vicinanze di Kursk. Se l’occupano gli Ucraini siamo di fronte ad una situazione allo specchio, con i Russi a Zaporizhzhia.

Nel frattempo, per turare la falla a Novgorod e Kursk, Putin deve rallentare o fermare la sua lentissima e sanguinosa avanzata nel Donetz. Ha un bel bombardare le strutture civili ucraine, gridando allo scandalo e al terrorismo se l’Ucraina fa lo stesso in territorio russo. Può usare le bombe termobariche e minacciare quelle nucleari, ma il risultato è che sta perdendo la faccia: un disastro politico, specie se sarà costretto a contare, forse, sull’aiuto della Bielorussia. Altro che le spacconate di quell’imbecille di Medved, l’aquila zoppa del regime, che sosteneva che è ora di occupare tutta l’Ucraina!

Per Kiev l’idea sottostante è quella di scambiare terra russa con terra ucraina. Sarebbe una buona base negoziale per finirla.

C’è un’altra ipotesi, di fantapolitica, imponderabile: se sul territorio russo “liberato” si costituisse una qualunque autorità governativa “indigena”. A quel punto la dissidenza russa potrebbe ingenerare un conflitto civile che minerebbe alla base il potere di Putin.

La Russia non merita una guerra civile ma pace, democrazia, libertà e diritti civili. Forse un cambio di governo sarebbe auspicabile.

(di Stelio W. Venceslai – Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

L’autonomia differenziata (di Stelio W. Venceslai)






Nonostante i venti guerra si facciano sempre più forti e pericolosi, se tutto va bene e nessuno è tanto pazzo da accendere altri fuochi che porterebbero allo sterminio, l’estate in corso vedrà svolgersi un’altra battaglia in Italia, peraltro di gran lunga minore, sull’autonomia finanziaria delle Regioni.

Sono numerose le sollecitazioni che mi arrivano, da una parte o da un’altra, per una valutazione non di parte su questa iniziativa governativa, tanto cara alla Lega.

Diciamo subito che il dettato costituzionale è stato a suo tempo ampiamente violato quando il centrosinistra, con un colpo di mano, decise l’attuale assetto regionale.

Non a caso per far passare la riforma fu chiaramente detto che sarebbe stata indolore e non sarebbe costata una lira di allora, dichiarazione palesemente smentita dai fatti, com’è sotto gli occhi di tutti.

La riforma sarebbe stata l’occasione per abolire la stortura giuridica delle Regioni a statuto speciali, ingiustificate dopo decenni di pacifica unificazione italiana, concepite a seguito della guerra, male in Sicilia (con un Alta Corte di giustizia e la possibilità di formare addirittura un esercito regionale, poteri per fortuna mai esercitati), oppure per dirimere contrasti linguistici (in Alto Adige per gli allogeni di lingua tedesca), estendendo tale principio alla Val d’Aosta (per i pochissimi franco-parlanti), al Friuli Venezia Giulia per gli sloveno-parlanti, alla Sardegna, forse per ragioni insulari.

Queste regioni a statuto speciale sono un relitto del dopoguerra la cui differenziazione, rispetto al Paese, è solo in taluni casi linguistica. Il bilinguismo si sarebbe potuto rispettare senza problemi. Ma fu un’occasione perduta.

La riforma fu anche l’occasione per abolire le province, odiate perché “gestite” dai prefetti, d’origine umbertina e fascista.

Furono abolite, ma non si diedero le risorse necessarie e tutte le amministrazioni provinciali di allora rimasero in un vuoto (strade, istruzioni, sanità) che ha portato a un degrado tale che oggi si pensa di ricomporle, magari con strutture diverse. I prefetti odiati sono rimasti e i problemi si sono acuiti. Tra l’altro, una volta abolite, ne sono state istituite molte altre, in una contraddizione burocratica dissennata, tipica della costante ignoranza dei nostri legislatori.

L’evoluzione successiva ha visto talune regioni svilupparsi ed altre declinare. Le ragioni sono diverse: incapacità della classe dirigente, calo demografico, inefficienza delle strutture, mancanza di controlli centrali adeguati. In Calabria, ad esempio, sono quattordici anni che non si riesce ad avere un bilancio della sanità regionale. In Sicilia città come Agrigento sono rifornite di acqua due volte alla settimana, gli invasi sono vuoti e la siccità dilaga. Ovvio che la gente, per curarsi, vada al Nord. La sanità pubblica, nel Meridione, in pratica non esiste. Prolifera la sanità privata, spesso di marca mafiosa.

I Presidenti delle amministrazioni regionali (oggi si definiscono Governatori, come se fossimo negli Stati Uniti), scalpitano. Vogliono più poteri, soprattutto quelli delle regioni più ricche. Al contrario, quelli delle regioni più povere non ne vorrebbero di meno ma, invece di mettere a posto le loro finanze, vorrebbero che continuasse l’aiuto dello Stato.

In teoria, l’idea di mettere in concorrenza le regioni tra loro non è una cattiva idea. Confrontarsi sulla qualità dei servizi resi ai cittadini significa confrontarsi sull’efficienza e la capacità degli amministratori. Ovviamente le regioni più ricche, potendo disporre di più risorse, prevalgono su quelle più povere. Ma questo accade già da anni.

Invece di rimuovere queste difficoltà, l’iniziativa governativa rischia di codificarle e di accentuarle, relegando in una specie di ghetto le regioni più povere o con degli amministratori meno capaci.

L’opposizione sostiene che così si divide il Paese e che l’unità nazionale va in pezzi. Un’Italia spaccata i due non piace a nessuno e, forse, è solo un’esagerazione polemica, ma non è neppure una considerazione sbagliata.

Manca, però, il mea culpa che tutti i partiti, di maggioranza e di opposizione, dovrebbero recitare sulla qualità dei candidati proposti alle varie elezioni regionali. Se per ragioni di bacino elettorale si propone un candidato mezza calzetta e questi vince, i risultati saranno altrettanto miserevoli. Come sempre, non è tanto questione di risorse ma di uomini.

Così com’è concepita, l’autonomia differenziata consolida e rafforza le disparità esistenti e non rimuove le difficoltà che in questi anni sono emerse nella politica regionale.

La Lega, ben forte con eccellenti amministratori nel Settentrione del Paese, ha tutto l’interesse a spingere per l’attuazione dell’autonomia differenziata. Ma questo non è nell’interesse del Paese. Esistono troppi squilibri territoriali che vanno rimossi.

È invece nell’interesse del Paese accentuare i controlli (che difettano) perché l’impianto regionale migliori nel suo complesso, secondo priorità di buon senso. Va bene il ponte sullo Stretto, ma diamo acqua alla Sicilia, ripariamo le condutture, mettiamo sotto inchiesta gli amministratori incapaci, blocchiamo gli interessi degli acquaioli privati che lucrano sulle inefficienze regionali e sulla povera gente che fa la fila alle fontanelle, come se fossimo in Africa.

Le difficoltà si affrontano, non vanno esasperate. Il governo, se tale è nell’interesse di tutti, non può privilegiare solo una parte di quelli che lo sostengono.

Una bocciatura, molto probabile, al referendum, potrebbe avere un impatto politico devastante. Stupisce che la Meloni, così attenta a circumnavigare gli ostacoli, non abbia considerato questo progetto un grave errore di percorso da evitare.

 

 

Roma 07/08/2024

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

Miserabilia (Editoriale del nostro esperto di politica estera Stelio W. Venceslai)






Miserabilia (Editoriale del nostro esperto di politica estera Stelio W. Venceslai)

La Parola Che Non Muore

La situazione internazionale sta degenerando. Segnali di guerra si stanno diffondendo dal Medio Oriente.

Israele ha decapitato il vertice degli Hezbollah in Libano e di Hamas in Iran. Due azioni brillanti e fulminee, se vogliamo, in due giorni consecutivi, che hanno accelerato la crisi endemica di quella regione.

Nella lotta mortale fra Israele e Hamas ormai, da tempo, non ha più senso parlare di una morale della politica. Gli sgozzamenti dei bambini ebrei del 7ottobre e i dodici bambini drusi uccisi l‘altro giorno da un missile hezbollah nel Golan fanno il paio con gli assassinii mirati dei capi palestinesi. La ferocia regna sovrana in una rincorsa a chi è più feroce.

I tentativi più o meno sinceri di placare questa spirale di violenza sembrano del tutto inutili. La Corte internazionale di giustizia condanna all’arresto i responsabili, ma nessuno rispetta le sue decisioni. Hamas ed Israele sono ugualmente impuniti. Il Consiglio di sicurezza delle N. U. deplora e condanna, ma nessuno fa niente. Non parliamo, poi, dell’Unione europea.

Gli schieramenti tradizionali sono evidenti e le reciproche dichiarazioni volte ad abbassare la tensione, ormai, sono scontate e stucchevoli. Nessuno vuole la guerra totale, ma intanto l’Iran si prepara a reagire. Vendetta chiama vendetta, in una faida senza fine.

In concreto, però, le difese iraniane sono state ”bucate” in modo sorprendente. L’Iran ha chiesto ai Paesi finitimi di chiudere il loro spazio aereo agli Americani. L’attacco iraniano ad Israele, circa un mese fa, è fallito per l’intervento della flotta aerea americana. Chiudere lo spazio aereo agli Stati Uniti significa poter colpire direttamente Israele.

L’Iran colpirà e Israele reagirà. Un ping-pong di atrocità, ma l’Iran sa bene di essere più debole, anche se spalleggiato da Russia e Cina.

Erdogan minaccia d’intervenire contro Israele. Questo è un fatto nuovo nell’agitato quadrante mediorientale. È dubbio che possa farlo anche se è possibile che apra un altro fronte dalla Siria.

Mai come in questo momento gli Stati Uniti sono stati così impotenti. Il loro protetto, Netanyahu, fa di testa sua. Approfitta dell’impasse politico americano ma gli apprendisti stregoni fanno in genere disastri e una brutta fine. Israele non può combattere contro il mondo intero. Netanyahu conta sull’elezione di Trump per restare al potere e non finire in galera, ma se Trump non vincesse?

Difficilmente gli Stati Uniti abbandonerebbero Israele, ma Netanyahu dovrà andarsene. In fondo, non solo è ancora invischiato nella Striscia di Gaza ma è riuscito a coalizzare tutti i suoi nemici, arabi e non arabi, e ad isolare Israele tra il Golan, la Cisgiordania e Gaza.

Le prossime elezioni americane paralizzano ogni tentativo internazionale di placare gli animi. Può sembrare un paradosso, ma l’attuale debolezza americana è un sintomo palese dell’importanza del ruolo di Washington negli affari internazionali.

Washington può fermare la Turchia, può contrastare l’Iran tramite l’Arabia Saudita, può ammonire la Russia a non esagerare, visti i problemi che ha con le minoranze islamiche al suo interno e, soprattutto, può mettere un punto fermo alle dissennate ambizioni di Netanyahu. Senza gli Stati Uniti dietro Netanyahu è un pollo morto.

Ma gli Stati uniti, al momento, sono fuori gioco. Il Segretario di Stato Blinken fa l’escursionista tra le varie capitali arabe, rincorrendo una tregua impossibile e per la liberazione degli ostaggi che, ormai, com’era prevedibile, sono quasi tutti morti. Biden, dopo il gran ritiro, non ha più audience anche se ringalluzzito dal successo dello scambio con la Russia dei prigionieri politici. Nel frattempo, tutti sono liberi e sfrenati. Comunque andranno le elezioni a novembre, saranno tempi duri, dato che sia la Harris sia Trump (checché ne dica lui), sono digiuni di politica estera.

In più, se dovesse vincere la Harris, cosa non improbabile, sarebbe sepolta da una valanga di accuse di brogli da parte di Trump, che non ci sta a perdere, tale da scatenare davvero il rischio di una guerra civile in un Paese così fortemente spaccato in due. In un’eventualità di questo genere, per il comune cittadino americano Israele, Palestina, Iran, Venezuela, sarebbero davvero l’ultimo dei problemi.

E l’Italia, in un contesto così drammatico? Zero. Non possiamo far nulla. Non siamo neppure comprimari come la stessa Europa che, al solito, blatera la propria impotenza.

Ci dilettiamo di sciocchezze, tanto per far polemica e rumore. Per quanto possano sembrare importanti, l’imminenza di un conflitto mondiale le riduce solo a miserabilia. Ne cito qualcuna di a diletto di chi legge:

  • l’opposizione che a gran voce reclama un intervento diplomatico italiano “decisivo” in Medio Oriente (?). Truppe italiane (circa 1.200 uomini) sono in Libano per conto delle N. U. Se la situazione peggiora possiamo solo riportarli a casa;

  • il successo (?) della raccolta firme per un referendum contro la legge sull’autonomia differenziata. Bisognerà vedere, all’atto pratico, che ne pensa il popolo chiamato alle urne;

  • la polemica sul battesimo dell’aeroporto di Milano al nome di Berlusconi, una scelta inopportuna, inutile e divisiva, neppure condivisa dalla famiglia;

  • l’ingerenza del governo nella gestione RAI, lamentata dall’Unione europea, ma di inveterata tradizione politica italiana;

  • lo strappo di Grillo che rivendica la proprietà di 5Stelle, in polemica con Conte che, invece, ne vorrebbe fare un partito.

L’opposizione, come è giusto, fa il suo dovere. Un’opposizione che non è né politica (dove sono le idee per il futuro?) né ideologica. Dice no a tutto, e va pure bene, conscia che i quattrini non ci sono e che se fosse al governo farebbe più o meno le stesse cose. Non c’è un dibattito politico di grande ampiezza come non c’è neppure in Europa.

È triste constatare ancora una volta questa impotenza, aspettando Godot.

Roma, 1°/08/2024

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

L’intoppo (di Stelio W. Venceslai)






L’intoppo (di Stelio W. Venceslai)

 

 

 

Dopo il disastroso dibattito televisivo tra Biden e Trump era chiaro che Trump sarebbe finito alla Presidenza e Biden nello stanzino della roba vecchia. E già i servi dell’una o dell’altra parte si accingevano o a cantar vittoria o a cambiar bandiera.

Un ravvedimento operoso di Biden, ostinato come tutte le persone anziane ma con un briciolo di ragionevolezza, non so quanto imposta, ha rimesso le parti in gioco, rimescolando le carte. La decisione di ritirare la propria candidatura, indicando come sostituto la sua Vice Presidente, Kamala Devi Harris, riapre la corsa elettorale e ridà fiato al partito democratico.

Kamala Harris ha molte carte da giocare rispetto a Trump: è giovane, è donna, è di colore (madre di origine indiana, padre di origine giamaicana), è esperta di politica come Vice presidente di Biden, s’intende di leggi (è un’ex procuratrice generale della California) e, infine, è di gradevole aspetto. Messa a confronto con Trump, anziano, tronfio e discutibile, potrebbe essere una carta vincente.

Al momento Kamala Harris ha la simpatia della maggioranza dei delegati democratici. Non è ancora la candidata designata dal partito democratico ma quasi certamente lo sarà il 19 agosto, alla relativa Convention del partito. Tra l’altro, può utilizzare i fondi che gli sponsor avevano destinato a Biden, il che non guasta. Inoltre, sta già ricevendo altre sostanziose sovvenzioni personali.

Questa sua possibile candidatura fa paura a Trump, al punto da rimodellare la strategia elettorale che puntava sulla progressiva decozione intellettuale di Biden.

Adesso, il decotto è lui, Trump. Lottare contro un candidato femmina può essere un problema. Tutte le femministe americane tendenzialmente sono per lei. Non c’è mai stato, nella storia degli Stati Uniti un Presidente donna. Ciò può esercitare una forza d’attrazione importante.

Anche lei viene dal basso, come il candidato vice presidente di Trump, Vance. Ha un curriculum di tutto rispetto e, soprattutto, dopo quattro anni di vicepresidenza con Biden, ha le mani in pasta con il governo. Per la verità, non ha brillato troppo come numero due, ma l’occasione che le si presenta è tale che dovrà tirare fuori tutte le sue qualità. Insomma, per Trump e suoi sostenitori, vicini e lontani, è un grosso intoppo sul cammino verso la presidenza.

In verità, se la Kamela Devi Harris sarà la candidata dei democratici, la gara sarà indubbiamente appassionante. Fin da ora i sondaggi le assegnano un punteggio superiore a quello di Trump, una tendenza in aumento.

Il silenzio delle varie Cancellerie è impressionante.

Per quanto contestato sia il potere degli Stati Uniti nel mondo, ciò che accadrà a Washington si rifletterà su tutto il pianeta, ma nessuno ha idea, se mai dovesse prevalere Camela Harris, di cosa farà sul piano internazionale.

Di Trump sappiamo tutto. Ha detto che in due giorni fa la pace in Ucraina, che con Putin non ci sono problemi, che Kim è un brav’uomo, che l’Europa non esiste (pagassero prima e poi se ne parla) ed altre consimili piacevolezze. Lui è un rude uomo della frontiera che vuole barricata per bloccare gli emigranti, è contrario all’aborto ed è populista perché immensamente ricco. Lui è la salvezza dell’America, benedetto da Dio.

Non è fortuna, ma la protezione di Dio. La sua mano ha salvato Trump quella sera. È stata la mano di Dio (come per Maradona!)», è il commento del Rev. Nathaniel Thomas, delegato della Convenzione Nazionale Repubblicana e pastore del distretto di Washington, DC alla Convention di Milwaukee (riportato nell’articolo del New York Times di Michael C. Bender. Ma non basta: a Las Vegas, a gennaio, il raduno proTrump si è aperto con una preghiera di Jesus Marquez, un anziano di una chiesa locale, che ha citato le Scritture per dichiarare che Dio voleva che Trump tornasse alla Casa Bianca. E in South Carolina, a febbraio, Greg Rodermond, pastore della Crossroads Community Church, ha pregato Dio di intervenire contro gli oppositori politici di Trump, sostenendo che stavano “cercando di rubare, uccidere e distruggere la nostra America…Dio, crediamo che tu abbia scelto Donald Trump come strumento nelle tue mani per evitare che ciò succeda”.

Kamala Harris non è tutto questo. Probabilmente non ha l’aiuto di Dio. Diciamolo pure: è tutta da scoprire. Nel 2016 ha battuto nettamente i suoi concorrenti alle elezioni ed è stata la prima afro-asioamericana ad essere eletta al Senato. Ha un marito di religione ebraica ed è stata un giudice severo. Di politica internazionale ne sa quanto Trump, poco o nulla. Se dovesse vincere, che farà con l’Europa E con Israele?

È immaginabile che, almeno nei primi tempi, si adeguerà alla linea tenuta dall’amministrazione Biden.

Indubbiamente, ci sarà una svolta nei rapporti con Russia, Cina e India. La difesa di Taiwan resterà un punto fermo della politica americana nel Pacifico.

Con l’Europa avrà a che fare con la von der Leyen. Le due donne, probabilmente, si capiranno meglio che con Trump.

Con Israele i rapporti sono profondamente deteriorati per l’ostinazione del leader israeliano, solo contro tutti. La politica di Netanyahu, indirettamente, mira alla distruzione più di Israele che di Hamas. Forse si fermerà quando tutti gli ostaggi saranno morti, invece che liberati.

Queste valutazioni sono indubbiamente premature. Tuttavia, si ha la sensazione che spiri un’aria nuova a Washington. Queste elezioni presidenziali saranno decisive per l’America e non solo. Speriamo bene.

 

Roma, 24/07/2024

 

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

Né carne né pesce, solo burrata (di Stelio W. Venceslai)






Né carne né pesce, solo burrata (di Stelio W. Venceslai)

 

 

E così, dopo tanto ponderare, discutere e proporre, il topolino è uscito dalla montagna. Non ci piace il nuovo governo in prospettiva dell’Unione però ci piace la Von der Leyen.

Il governo sarà quello di sempre, la solita ammucchiata di centro-sinistra. Un fritto misto dove c’è di tutto purché non ci sia la destra. Non ci si può sporcare con gli eredi di Mussolini e di Hitler. Con quelli di Stalin, invece, sì. Punti di vista.

La Meloni ha un bel daffare per dire ai quattro venti che non è l’erede di nessuno. Sia come leader di FDI in Italia sia come leader del gruppo parlamentare europeo dei conservatori fa parte degli intoccabili. Esistono, ma se ne può fare a meno, finché è possibile. Con lui (o con lei) non mi cI siedo accanto e tanto meno ci posso governare. Non c’è che dire, il rigore morale dei politici è a prova di bomba.

La Meloni, però, è anche il Capo del governo italiano. Esce un po’ dagli schemi consueti. Si può fare a meno dell’Italia, Paese fondatore etc. etc.? No, non si può, bisogna trovare un sotterfugio. Tra l’altro, ha un bel bottino di voti che possono servire.

La soluzione facile facile c’è: non approvo il tuo governo (e tra l’altro non mi vuoi) però non ti voto contro. Mi astengo. Né carne né pesce, solo burrata. In cambio, però, mi dai qualcosa perché devi riconoscere che sono importante e necessario. Magari una Vice Presidenza con deleghe importanti.

Questo, oggi, è il ragionamento del nostro governo. La politica del ni. Forse non ci sono altre soluzioni, ma ciò mi disgusta. O sono con te o sono tuo avversario politico (non un nemico mortale). Se abbiamo dei punti di contrasto insolubili dovrei essere all’opposizione. Astenersi vuol dire pencolare tra il sì e il no, facendo pesare il mio voto secondo le convenienze. Mi ricorda i nostalgici del centro, sempre pronti a votare a destra o a sinistra in base al prezzo che veniva pagato. Non è una cosa seria.

L’Europa è, o dovrebbe essere, invece, una cosa seria e le politiche nazionali dovrebbero fare un passo indietro senza condizionare quelle europee. I partiti politici nazionali hanno per obiettivo principale le questioni di casa. Poco capiscono di quelle esterne. A ciò è delegato il governo dell’Unione. L’interesse comune dovrebbe essere la costruzione di un’identità europea che prescinda da quelle nazionali. Non interessi da parrocchia o da bottega, ma almeno da supermarket.

In Europa sta cambiando il vento, dopo decenni relativamente tranquilli. Soffiano turbini in Ucraina, cicloni in Medio Oriente, tornado in America. L’Unione europea oscilla sotto raffiche di un vento impetuoso. Si piega, si sfronda, resiste come può. Al suo interno crescono i malumori e le minoranze politiche. Una destra contraddittoria e confusa tra revisionismo, nostalgismo e liberalismo d’accatto si fa strada. Non si può non tenerne conto.

Un governo che nasca in base a preclusioni pseudo ideologiche è un errore, non è destinato a durare. Ma che significa, oggi, essere di destra o di sinistra Distinzioni ottocentesche.

Le questioni da dibattere sono sulle cose da fare Qual è il programma della von der Leyen? Il solito brodino della volta scorsa oppure ci sono cose nuove, interessanti.? Questo è il punto. Sul tuo programma decido se mi va bene o no, non sui compensi se sto zitto e non ti do fastidio più di tanto.

Del programma non sappiamo molto. Conosciamo, invece, tutti i difetti del sistema. È cresciuto in modo irregolare, come certi adolescenti con il fisico d’atleta e la voce ancora da bambino. Cosa pensa di fare la von der Leyen se sarà eletta Deve avere un pensiero suo, magari concordato con i suoi consiglieri e con i gruppi politici che potrebbero sostenerla, un programma che non miri alla stratosfera ma ai problemi essenziali di un’Europa forse post-Biden: sicurezza e politica estera. Non mi pare che, oltre a parlarne, ci siano progetti concreti.

L’estrema destra e l’estrema sinistra sono contrari perché le loro posizioni politiche sono filorusse? Anche questo è un problema e va affrontato. Sono così schizzinosi che non possono sedere gli uni accanto agli altri ma, poi, auspicano le stesse cose: la pace a tutti costi, le acquisizioni territoriali di Putin, la disfatta dell’Ucraina, l’accettazione dell’impotenza europea di fronte all’espansione russa nell’Europa orientale. Anche Chamberlain la pensava così, cercando di ammansire Hitler. Volere la pace a tutti i costi significò, allora, alla prova dei fatti, circa duecento milioni di vittime ed orrori indicibili.

Se la destra italiana ha delle carte da giocare su questi temi che lo faccia, a testa alta e con qualunque alleanza. Nei momenti più bui della storia del secolo scorso Churchill disse che si sarebbe alleato pure con il diavolo (alludendo all’Unione sovietica) pur di sconfiggere il nazismo.

L’astensione non giova, perpetua l’equivoco.

Nella radicalizzazione del contrasto politico attuale sono in gioco interessi fondamentali, non la nomina di Fitto a Commissario europeo. Putin vuole il riassetto del mondo a marca russa. A modo suo, potrebbe pure aver ragione. Ma a modo nostro?

Ecco, dalla Meloni vorrei chiarezza, non sotterfugi negoziali.

 

 

Roma, 17/07/2024

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Come se nulla fosse (di Stelio W. Venceslai)






Come se nulla fosse (di Stelio W. Venceslai)

 Si pensava che le elezioni europee potessero cambiare tutto. Non è stato così.

            Si pensava che l’opinione pubblica si stesse spostando a destra e potesse dare uno scossone al sistema comunitario. Lo spostamento c’è stato ma non nella misura  immaginata.

            Si pensava che l’Italia rientrasse finalmente in gioco, dato l’attivismo della Meloni, ma questo non è ancora avvenuto e forse non avverrà.

            Non basta scioccamente insistere sul fatto che  l’Italia è un Paese fondatore. Non è mica un titolo di merito. Fondatore lo è anche il Lussemburgo.

            L’Italia non è un Paese importante come la Francia o la Germania. E‘ un grande Paese fornitore e trasformatore, ma come politica zero. Rassegniamoci all’evidenza.

            La Meloni insiste sull’idea di patria e di nazione. Ha ragione, ma non le dà retta nessuno in Europa. Siamo una patria dimenticata e una nazione sconfitta dalla storia e dalla demografia.

            L’Unione europea è un affare franco-tedesco. Ci si siede al tavolo quando il menù è già stato composto. Non piace la pietanza Pazienza. O si trangugia o non si mangia.

            Il nuovo team europeo deciso dall’accordo franco-tedesco è lo stesso di ieri, con un pizzico di salsa piccante in più, ma dove non dà fastidio, come la estone Kallas agli Esteri e il portoghese Costa alla Presidenza del Consiglio europeo.

            Politicamente l’intesa Macron-Scholtz con i popolari, i socialisti e i liberali continua, una specie di centro sinistra europeo, immobile, come lo è stato prima delle elezioni. Il fatto è che i due, politicamente, sono dei morti viventi, battuti sonoramente dalle destre.

            Più che un disastro, per l’Italia questa è una complicazione  di governo.

            Forza Italia è nel gruppo dei popolari. Il PD, ovviamente, è nel gruppo socialista e, quindi, sono alleati nel governo europeo ma avversari nel governo italiano.

            Fratelli d’Italia, che è il partito di maggioranza nel governo italiano, è nel gruppo dei conservatori che è escluso dal governo europeo.

            Diciamolo pure: è un gran pasticcio. Il terzo pilastro della maggioranza governativa italiano è la Lega, filo-russa, di fatto alleata con il partito nazionalista ungherese, filo-russo, e con la destra francese, rappresentata dalla Le Pen, anch’essa filo-russa.

            Tre partiti alleati di governo in Italia ma su tre fronti opposti in Europa. E poi ci lamentiamo di non essere considerati?

            Se davvero volessimo significare qualcosa, dovremmo avere un gruppo Italia che non c’è. Le divisioni partitiche indeboliscono l’azione di qualunque Presidente del Consiglio italiano.

            La gestione von der Leyen, che l’Unione europea ripropone, con qualche leggera modifica, non è stata particolarmente brillante in passato e difficilmente lo sarà in futuro. Grandi voli ma poca sostanza politica.

            L’Europa occidentale è tra le debolissime mani americane e gli artigli di Putin. I nostri destini dipendono da Washington e da Mosca, non da Bruxelles. Servi dei Russi o degli Americani, sempre servi siamo e, probabilmente, anche in ritardo sulla storia.

            In Francia si profila un grande successo della destra con la Le Pen. In Inghilterra, invece, accade il contrario: scendono i conservatori e salgono i laburisti. Ma la vera incognita è l’America.

            Della Russia sappiamo tutto: un Paese povero che vive esportando le sue materie prime e che ha una sola industria: la guerra.

            Dell’America, al contrario, non riusciamo più a capire cosa farà. A parte i successi nello spazio, le canzonette e i film, ha registrato una serie impressionanti di disfatte dai tempi della guerra di Corea fino al conflitto israelo-palestinese. C’è, ma è un leone senza denti.

            L’Europa, volente o nolente, si è affidata all’America.

            Molti sembra che vogliano cambiare padrone, ma la sostanza è sempre la stessa: l’Europa non è in grado di reggersi da sola.

            A questo punto il nuovo governo dell’Unione è solo un orpello, indeciso fra la continuazione dell’ossequio a Washington o l’inizio di un asservimento al satrapo russo.

            Dal 1° luglio l’ungherese Orban sarà il maestro d’orchestra europeo. Non ama la von der Leyen ed è in rotta di collisione con la politica di acquiescenza americana ed ucraina dell’Unione. I fermenti francesi e delle varie anime della destra europea gli daranno una mano. Per fare che?

            In America c’è stato un dibattito fra i due contendenti alla Presidenza. Lui, Trump, un gallo battagliero e bugiardo. L’altro, Biden, poco più di un pollo lesso. Se questo è il meglio del continente, viva l’incontinenza!

            Se in America dovesse vincere Trump è evidente che per lui è più importante difendere Taiwan che l’Europa. Punti vista. Taiwan è monopolista dei semiconduttori a livello  mondiale con venticinque milioni di abitanti. Forse è la chiave del Pacifico.

            Però, l’Europa ha 250 milioni di abitanti ed è la chiave dell’Atlantico. Quanto potrebbe far comodo all’America di Trump la russificazione europea

            In mezzo ci siamo noi, tapini e rissosi. Una pena.

            D’altro canto, per ben due volte, nell’ultimo secolo, gli Americani sono stati costretti a intervenire negli endemici conflitti europei. Capisco che un Trump possa dire: basta. Se gli Europei non sono in grado di difendersi da soli, perché dovrebbero farlo gli Americani?

            Ecco, nel programma di governo che la von der Leyen presenterà all’Assemblea di Strasburgo mi piacerebbe sentire almeno la presa d’atto di questa situazione. Sarebbe già molto, ma non mi faccio illusioni.

Roma, 30/06/2024

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I grandi giochi comunitari (di Stelio W. Venceslai)






I grandi giochi comunitari (di Stelio W. Venceslai)

 

 

Le trattative per il nuovo governo dell’Unione sono ancora in alto mare. Tutti giurano sull’europeismo, tutti sono convinti che bisogna cambiare, tutti riconoscono che le elezioni europee hanno portato una ventata di novità ma, poi, le cose stanno così: la von der Leyen resta al suo posto, la coalizione che la sosteneva (popolari, liberali, socialisti e verdi), continua a sostenerla, la maltese Metsola resta al Parlamento europeo, un Portoghese dovrebbe andare alla politica estera (tanto non può far danno perché politica estera non ce n’è) e, per il resto, si discute.

La questione sembra chiusa ma non è così. In Parlamento questa soluzione non avrebbe vita lunga. Ecco perché si continua a negoziare. Nulla di nuovo, quindi, a fronte di tante dichiarazioni.

La novità del successo delle varie destre resta sullo sfondo. Non si capisce se avranno o no un ruolo nel nuovo assetto della Commissione.

In realtà, quando si parla di destra, si parla di un insieme di tendenze politiche che hanno un solo comun denominatore: il nazionalismo, con tinte più o meno accese. Per il resto, sono divise su tutto. Si profilano almeno quattro destre: quella dei conservatori, capeggiata dalla Meloni, quella di Orban (piuttosto discutibile quanto al rispetto dei diritti umani e tendenzialmente filoputiniana), la destra emergente della Le Pen (almeno fino ad ora decisamente antieuropeista) e, infine, il gruppo delle destre estreme, guidato da AfD, (Alternative fur Deutschland), che ha vinto le elezioni in Germania. Si va, quindi, dal conservatorismo liberale ai filo-russi, dai filo ucraini ai nostalgici delle SS, dai filopalestinesi ai filoisraeliani. Un mosaico interessante, ma di difficilissima composizione.

Con questo coacervo di destre, divise su alcuni temi fondamentali, la von der Leyen può fare un’alleanza Decisamente no.

Non solo i socialisti che la sostengono dicono: mai con la destra, ma anche dalla destra c’è un mai con i socialisti. Delle due l’una: o s’imbarcano le destre (ma quali?) e si sbarcano i socialisti (e i Verdi, che hanno subito una batosta elettorale, tranne che in Italia, grazie alla Salis)), oppure non se ne fa nulla.

Volendo dar retta all’elettorato, le destre dovrebbero entrare nella compagine del governo dell’Unione.  Se non lo si fa, l’esecutivo comunitario nasce azzoppato. Se entrano le destre ed esce la sinistra, l’Unione diventa automaticamente il simbolo del neofascismo, della restaurazione, della reazione, del militarismo guerrafondaio e così via. Conosciamo quello che direbbe l’opposizione e quale sarebbe la reazione  della Federazione russa.

La questione non è tanto dei socialisti, ma della Germania, il pezzo forte dell’Unione, che è guidata dai socialisti. È immaginabile che la Germania esca dal gioco? Evidentemente no. Il rebus è tutto qui. Il gioco è confuso e difficile.

La Meloni è in mezzo a questo bailamme. È l’unica ad avere la titolarità di un governo nazionale, almeno fin quando la Le Pen, se vincerà alle elezioni francesi di fine giugno, non potrà farne uno suo.

Le si prospettano alcune alternative.

La prima, fortemente improbabile, è che abbia la capacità di fondere le varie destre (almeno quelle numericamente più consistenti e meno isolazioniste), convogliandole nel gruppo dei conservatori, di cui è presidente. Sarebbe un bel colpo, annacquando i vari nazionalismi e presentando un gruppo unico di cui non si potrebbe non tener conto.

La seconda è che la Meloni entri fra i popolari europei, abbondonando i conservatori e facendo una scelta di campo molto difficile. Non ce la vedo in un governo comunitario accanto a Verdi con la Salis, guidata da un Fratoianni all’opposizione rigida in Italia. Inoltre, lascerebbe il campo delle destre residue alla Le Pen, un’ipotesi pericolosa.

La terza alternativa, che giudico più probabile, invece, è che la Meloni intenda giocare un ruolo di sostegno esterno all’esecutivo comunitario, ottenendo in cambio compensi sostanziosi per il suo Paese. Si parla di una Vice presidenza e di un Commissario “pesante”.

La Vice presidenza, a parer mio, è un orpello inutile se non si fa attenzione alle deleghe. Circola il nome di Letta, buono per tutte le minestre e, quindi, ininfluente. È una brava persona, intellettualmente capace ma politicamente un disastro. Meglio non pensarci.

Per il Commissario, circola il nome di Fitto. Ha fatto bene con il PNNR in Italia e potrebbe degnamente occuparsene in Europa. Politicamente, vedo un maggiore interesse per il nuovo Commissario alla difesa, un settore nuovo dove l’Italia potrebbe dare un’impronta importante, se si trova l’uomo adatto. Non idea di quanto sia valida la nostra attuale dirigenza militare, ma forse il nostro Ministro della difesa ha qualche carta da giocare.

Riassumendo, le prossime giornate saranno decisive con possibili colpi di scena, comunque sempre in attesa delle elezioni francesi di fine mese e dei risultati del duello televisivo Biden-Trump, dove forse si capirà in quale direzione potrebbe andare la politica statunitense se vincesse Trump.

 

 

Roma, 25/06/2024

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C’è qualcosa che non quadra (di Stelio W. Venceslai)






C’è qualcosa che non quadra (di Stelio W. Venceslai)

 

 

Dopo i successi internazionali di Borgo Egnazia, dove la Meloni ha brillato (tutti amici, tutti contenti, tutti d’accordo), il giorno dopo c’è stato l’inutile convegno a Zurigo sulla pace in Ucraina. Grande successo di pubblico ma il copione era scarso. Non ha convinto. È un po‘ grottesco parlare di pace fra due belligeranti e poi non invitare uno dei due. Ne è risultato un nulla e non poteva essere diversamente. La pace non si fa con gli assenti. I risultati si sono visti.

I soliti credenti hanno riaffermato le ragioni di Kiev, ma erano pochi, nonostante il vistoso numero dei presenti (92). Ma il numero, in questo caso, non fa né la forza né la ragione. I Paesi più importanti, invece, si sino defilati. Alludo a Sudafrica, India, Messico, Pakistan, Brasile e Arabia Saudita, tanto per citarne qualcuno. Se aggiungiamo che la Russia non era stata invitata e che la Cina pur invitata era assente, beh, diciamolo pure, è stato un flop notevole. Più dei due terzi dell’umanità o non erano d’accordo o non gliene importava nulla. A cosa è servito questo show? Solo al solito Zelenski per il refrain consueto: datemi soldi, datemi armi, noi combattiamo per voi.

Mancava il cartello: Scusate il disagio. Ma di disagio ce n’è, e molto. La nostra Meloni non poteva non andare, ma è stata una presenza inutile.

Il giorno successivo: incontro informale dei Capi di Stato e di Governo per decidere il da farsi in Europa dopo le elezioni.

Da quello che si capisce si ripropone la candidatura della von der Leyen con la solita coalizione di cinque anni fa: popolari, socialisti e liberali. Non hanno fatto molto ma fanno finta di poter fare di più. Dobbiamo credere a loro?

Sembra che non sia successo nulla, e invece è unanime considerazione che la Destra, in Europa, ha fatto più di un passo per crescere, però il sistema fa finta di niente. La Destra è cresciuta, non solo in Italia e in Ungheria, ma anche in Austria e in Germania e rischia di esplodere in Francia, con la Le Pen.

L’opinione pubblica europea è cambiata e qualcuno già grida allo scandalo del solito fascismo che ritorna, ma nessuno poi, concretamente, sembra tenerne conto.

Ma allora, abbiamo scherzato!

Prima di trasferirsi da Zurigo a Bruxelles la nostra Premier, mentre s’infilava l’ennesimo vestito, fra un aereo e un altro (deve viaggiare con un paio di bauli), ha detto cose serie: L’Italia deve avere il peso che le compete. Siamo d’accordo.

La Meloni parla di un Vicepresidente e di un Commissario “di peso”. Chi glieli dà, se non batte i pugni sul tavolo? La coalizione “nuova” che si profila non ha ben meritato né in passato né quanto ai risultati elettorali, però fa finta di niente. Il potere ce l’hanno e se lo spartiscono come vogliono. Così non va bene.

La Meloni, stavolta, deve farsi valere, altrimenti è inutile la sceneggiata. In questo momento è sulla cresta dell’onda. Posizione invidiabile e pericolosa al tempo stesso. Deve destreggiarsi fra il gruppo conservatore, di cui è responsabile, Orban e la Le Pen, in dirittura d’arrivo sul governo francese e i suoi buoni rapporti personali con la von der Leyen.

Forse pensa che stando all’opposizione, assieme ai compagni di cordata, può tirare il cappio alla von der Leyen quando vuole, come è riuscita a fare in Italia quando tutti stavano ammucchiati e timorosi sotto Draghi e lei era l’unica ad essere all’opposizione. Allora la cosa le ha giovato ed ha ricevuto anche la stima di Draghi ma, qui, in Europa, il cammino che si prospetta all’Italia è diverso. Mi viene un pensiero malizioso: immaginiamo che la Le Pen vinca a piene mani alle elezioni francesi (anche a Parigi, a sinistra, c’è la stessa confusione che a Roma. Dev’essere un male endemico). Pensate che, una volta raggiunto il potere, la Le Pen abbozzi sulle decisioni che si profilano a Bruxelles? Temo proprio di no.

Sarebbe stato più saggio per tutti gli Europei che si ritardasse una decisione di governo dell’Unione che potrebbe essere messa in discussione due giorni dopo da una Le Pen trionfante (e, aggiungo, da una Meloni al seguito).

Avrei preferito il contrario: una Meloni che s’impone e dietro, di supporto, la Le Pen, ma le cose non vanno così. Se un cambiamento c’è stato, in Europa, con queste elezioni, s’ha da vedere. Non è con la ripetizione del passato, con qualche premiuccio qua è là, che si potranno in tal modo affrontare i temi difficili che attendono l’Europa.

La scommessa europea è essenziale per il governo Meloni. Non può tornare a casa con le mani vuote. Già di guai all’interno ne ha parecchi, con le proposte del centro destra in dirittura d’arrivo sul premierato e sulle autonomie, tra loro contraddittorie (il premierato accentra e le autonomie decentrano) e prive di copertura finanziaria adeguata.

Ricordo che nel ’91, quando il centro sinistra fece il colpo di mano sull’attuazione cel Titolo V della Costituzione (le Regioni), autorevolmente si sostenne che questo adempimento non sarebbe costato una lira di allora!

Avevano ragione: è costato centinaia di miliardi e il futuro si prospetta peggiore. L’opposizione protesta, al solito, senza idee, la Schlein più il Conte de minimis. Ma la Schlein ha ottenuto un successo elettorale, Conte invece ha perduto. Sta dietro a tutti, anche a Forza Italia.

Grillo ha inchiodato il suo protetto con un commento mortale: ha portato più voti un Berlusconi morto che un Conte vivo.

Intanto, pensiamo all’Europa: che farà la Meloni?

 

Roma, 18/06/2024

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Le diversità italiane. (di Stelio W. Venceslai)






Le diversità italiane. (di Stelio W. Venceslai)

 

La Parola Che Non Muore

 

Chiuse le urne, analisi e commenti si moltiplicano, evidenziando questo o quel risultato: le Destre avanzano, i Verdi e i Liberali arretrano, il Centro che sostiene la von der Layen regge e addirittura cresce. Solo la Borsa ne ha sofferto e scende la quotazione dell’euro rispetto al dollaro.

A me sembra che queste elezioni abbiano dato una grossa scossa al sistema europeo. Niente di grave, ma tutti i governi nazionali sono in crisi, ad eccezione di Polonia e Italia.

Ciò fa si che il tradizionale asse franco-tedesco si sia indebolito assai.

In Francia Macron con uno scatto d’orgoglio, ha detto ai Francesi: “Preferite la La Pen a me in Europa Vediamo se la pensate così anche per la Francia”. Scioglie il Parlamento e indice nuove elezioni. Forse ce la farà, forse no, ma in questo momento il premier francese è debole, un uccellaccio con le ali spezzate.

In Germania vincono le destre, ma Scholz non reagisce come Macron. Fa finta di niente: il governo federale è una cosa e l’Europa un’altra. Qualcuno specula sulle antiche rivalità intertedesche (Sassonia, Baviera, Paesi ex anseatici), ma il Cancelliere resta in sella. È ammaccato anche lui, come Macron, ma spera di superare questo brutto momento senza la prova d’appello delle elezioni nazionali.

Emerge la Meloni, con 14 seggi in più e saldissima al governo, come l’unico leader europeo di taglia che, al momento, veleggia sul continente europeo, forte di più di due milioni e mezzo di voti personali. Per lei è un momento storico: in Europa è l’unico grande leader che ha vinto e si accinge a presiedere il G7 che le darà una grande visibilità sul piano mondiale. Una piccola Merkel? Forse, ma è presto per dirlo. Lo vedremo nei prossimi mesi. Come diversità italiana non è male e le prospettive sono interessanti.

Certo, i successi della Meloni (e dell’Italia) sul piano internazionale non compensano una mediocre gestione, fra incertezze, debolezze ed errori, nella politica interna. La mancanza di soldi rende tutto più difficile. Chiunque fosse al governo sarebbe costretto a fare le stesse cose.

Anche l’ascesa del PD merita un commento favorevole per almeno due ragioni: l’impegno personale premiato della Schlein, che si è spesa duramente nella campagna elettorale, e la riduzione pressoché a zero del suo più pericoloso concorrente, il Movimento di 5Stelle.

Poi, il PD cresce di 5 seggi rispetto ai suoi confratelli in Europa. Anche questa è una diversità.

Ma la diversità italiana più clamorosa è sui Verdi. Quasi scompaiono in Europa (hanno perso 19 seggi!) mentre in Italia fanno un balzo fino ad oltre il 7% dei consensi. È ben vero che hanno tirato dentro le loro fila la “pasionaria” italiana incatenata a Budapest, Ilaria Salis, il che ha portato loro molti voti, ma i Verdi italiani o sono in ritardo sull’Europa o sono in anticipo, comunque controcorrente.

La polarizzazione politica si accentua. In fondo, significa chiarezza e meno ricatti. Ne hanno fatto le spese i Dioscuri della politica italiana, i gemelli nell’arroganza Renzi e Calenda. Sono rimasti al di sotto del 4%, una percentuale che, se si fossero uniti, avrebbe arricchito il panorama politico italiano. Le grandi idee hanno bisogno di consensi, non di autocertificazioni gratuite o di personalismi. Di Renzi non si fida nessuno, di Calenda non si capisce dove voglia andare.

Il Movimento 5Stelle è alle corde e rischia di tornare da dove è venuto: dal nulla. La iattanza dell’avvocato del popolo, l’ineffabile Conte, che voleva risucchiare il PD è finita al contrario. Due milioni di voti perduti pesano. La Schlein ha svuotato 5Stelle con buona pace di tutti quelli che ci hanno creduto. Non è una perdita, anzi.

Anche la Lega si è ridimensionata di molto rispetto alle precedenti elezioni europee. Ha perso ben 14 seggi e se non fosse stato per l’”indipendente” Vannacci sarebbe scesa ancora di più nei consensi. Salvini grida vittoria ma alla Lega stanno affilando i coltelli.

Bene Forza Italia per Tajani: un piccolo miracolo all’ombra del successo della Meloni.

Quello che non va bene, invece, nei negoziati confusi che stanno cominciando a Bruxelles, è l’Europa. Si profila una ripetizione del recente passato: niente voli d’aquila, forse un ripensamento sul green, nessuna idea ardita di rovesciare l’esistente per nuovi e più ambiziosi obiettivi: difesa comune, politica estera, unione fiscale e così via.

La Meloni, nella sua posizione attuale, potrebbe giocare un ruolo decisivo ma è difficile che lo faccia. Dipende da chi e da come sarà consigliata. Eppure, avrebbe la forza per imporsi.

In conclusione, tanto rumore per nulla

I popoli europei hanno espresso tutte le loro preoccupazioni sull’avvenire. I nuovi eletti dovrebbero tenerne conto.

 

 

Roma, 11/06/2024

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

ELEZIONI EUROPEE PERCHE’ BISOGNA VOTARE – APPELLO DEL NOSTRO ESPERTO DI POLITICA ESTERA Stelio W. Venceslai






Perché bisogna votare (di Stelio W. Venceslai)

 

La Parola Che Non Muore

Non vorrei aver ingenerato degli equivoci, nella mia ultima nota, lamentando la bassissima qualità del dibattito politico italiano in occasione di queste elezioni europee.

Certo, se mandiamo al Parlamento ignoranti o sprovveduti oppure gente dal cervello fino ma che poi tornerà a casa a fare politica, francamente, non dobbiamo aspettarci grandi risultati.

Però, dobbiamo votare per un’infinità di ragioni. Ne ricorderò solo tre, che mi sembrano sufficienti.

La prima è che si tratta della sola occasione in cui l’elettore può dire quello che pensa, in un sistema elettorale proporzionale, non drogato da premi di maggioranza.

La seconda ragione è che, per quanto i nostri candidati possano essere criticabili, non sono peggiori degli altri. Forse, hanno solo un punto di forza in meno, essendo di un Paese che si perde in piccole beghe interne sempre alla ricerca dello scandalo per sputtanare qualcuno.

La terza ragione è che l’Unione europea, nonostante tutte le critiche che possiamo muoverle, siamo noi Europei, con tutte le nostre incongruenze. È lo specchio, forse un po’ appannato, del nostro sistema, ma è l’unico che abbiamo. Se lo specchio si rompesse sarebbe un disastro. I singoli Paesi europei varrebbero molto poco nel contesto internazionale che si sta delineando.

Il pianeta è affollato da potenze grandi e medie, tutte armate, minacciose e rampanti. Vogliono cambiare gli equilibri che si sono affermati dopo la 2^ Guerra mondiale. È naturale che ciò avvenga, non dobbiamo spaventarci, almeno finché non ci minacciano.

Gli Stati Uniti trionfanti e l’Unione sovietica, stremata ma vittoriosa, del 1945, non ci sono più. La situazione è profondamente cambiata. La decolonizzazione, che è stata la vera, grande conseguenza del secondo conflitto mondiale, ha dato spazio a nuove realtà.

Sono cambiati gli USA e la Russia, ma sono anche emersi la Cina e l’India, Israele e l’Iran, l’Indonesia, il Pakistan, il Brasile, le due Coree e Taiwan. Tutti armatissimi, molti con il nucleare, tutti vogliosi di interpetrare un ruolo decisivo sui destini del mondo. Il duopolio America-Russia è finito.

L’intesa franco-tedesca della prima generazione comunitaria è stata la risposta europea ai nuovi assetti mondiali che si stavano allora delineando. Una risposta economica importante, perché non politica, ma insufficiente. L’Unione europea è rimasta sulla scia di Schuman, di De Gasperi e di Adenauer, senza darsi una dimensione politica, cullata dalla dipendenza americana oliata dal Piano Marshall.

Il sogno è finito e all’orizzonte ci sono tempi di guerra, economica e militare. Se l’Unione europea non sarà in grado di reagire a queste sfide, non ci salveranno certo le case green o il MES o le politiche sull’immigrazione. Singolarmente, i Paesi dell’Unione valgono molto poco. Saranno pure ricchi rispetto agli altri, ma è una condizione che li rende preda, non partners.

Queste elezioni devono farci riflettere: l’Europa è necessaria, una conditio sine qua non della sussistenza della nostra cultura, della nostra civiltà, del nostro futuro. Possiamo lamentarci delle insufficienze e dei ritardi, possiamo litigare fra noi, non importa, ma l’unione dei popoli europei, pur nelle loro diversità, è un’esigenza essenziale.

Per questo votare è soprattutto un obbligo morale. Non ci sono alternative ad un’Europa debole e divisa se non un’Europa sorretta dal consenso dei popoli europei.

Quindi, diciamolo forte: siamo costretti a votare. Dobbiamo votare per il nostro interesse e per il nostro futuro. Ci saranno altri errori, altre difficoltà, molteplici ignoranze (non solo italiane), ma sono troppo grandi le sfide che ci attendono per far finta di nulla e andare al mare o ai laghi o ai monti oppure, con una scrollata di spalle, ripetere il solito luogo comune: “tanto, sono tutti uguali.”

Sin dall’inizio della guerra in Ucraina Putin ha messo in guardia l’Occidente, minacciandolo con il suo armamento nucleare. L’Unione europea e gli Stati Uniti con la NATO hanno fatto finta di niente, ritenendo che si tratti solo di propaganda e che il rischio di un conflitto nucleare sia troppo grande per tutti.

Le continue minacce russe sono il ricatto di chi si sente forte e impunibile. Un gioco molto rischioso con un’Europa debole e gli Stati Uniti con due vegliardi come candidati alle prossime elezioni presidenziali.

Almeno una dimostrazione di unità dei popoli europei potrebbe essere una risposta iniziale nei confronti di chi contesta, globalmente, il nostro modo di vivere. Dobbiamo pensare ai giorni che verranno.

Come mi scrive un vecchio e caro amico: “il futuro è il posto dove vivremo tutto il tempo che ci rimane”.

Roma, 07/06/2024

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Elezioni europee: una finzione democratica (di Stelio W. Venceslai)






Elezioni europee: una finzione democratica (di Stelio W. Venceslai)

La Parola Che Non Muore

Nella prima decade di giugno si andrà a votare per il rinnovo del Parlamento europeo. Da più parti si pronostica una maggioranza di centro-destra rispetto alla coalizione attuale. Si pronosticano grandi cambiamenti, indefiniti ma comunque trionfalistici per chi vincerà. Pur trattandosi di elezioni europee, almeno in Italia, si guarda alle possibili conseguenze di queste elezioni sugli schieramenti politici interni e, infatti, nei comizi elettorali, nelle interviste e nei talk-show di tutto si parla, a proposito e a sproposito, tranne che di temi europei.

            Che l’Unione europea debba cambiare è un po’ il pensiero di tutti. In che direzione debba andare, invece, c’è un vuoto assoluto.

Il rinnovo del Parlamento europeo è certamente un evento importante. Con legge proporzionale i popoli europei sono chiamati ad esprimere i loro candidati. Un esempio di democrazia unitaria. Il fatto è che il Parlamento conta poco o niente. Non se ne può non tener conto, ma influisce in minima parte sulle grandi opzioni comunitarie. Come diceva l’arguto Leo Longanesi, scomparso da tempo e che non ricorda più nessuno, al massimo il Parlamento può “parlarsi addosso.”

Chi decide, in parte, è la Commissione europea, ma solo in parte. Il suggello finale lo dà il Consiglio dei Ministri, previo un parere, obbligatorio ma non vincolante, del Parlamento.

La Commissione europea è composta da membri nominati dai Governi dell’Unione. Ogni Paese ha diritto ad avere un Commissario. Il Presidente della Commissione, poi, in base ad un suo giudizio, peraltro sollecitato dal Governo interessato, assegnerà i relativi portafogli e, cioè, le competenze dei singoli Commissari.

Il Parlamento non nomina nessuno. Al massimo, può esprimere il suo gradimento o la sua contrarietà. Quindi la funzione tradizionale dei Parlamenti, in Europa, praticamente è bloccata.

Chi governa realmente l’Unione sono gli Stati che ne fanno parte. In questo senso, le elezioni europee sono una finzione democratica perché, in Europa, gli eletti non possono nominare i Commissari (o Ministri) che governeranno.

La Commissione è quella che decide, ma solo in parte. Le proposte della Commissione sono rivolte al Consiglio dei Ministri degli Stati membri, che ha l’ultima parola. Aggiungo che, disgraziatamente, in virtù di una clausola scellerata introdotta tempo fa nei Trattati, il Consiglio decide all’un’unanimità. Basta un solo voto dissenziente perché si blocchi tutto.

Ne consegue che l’Unione europea dipende totalmente dagli Stati membri. Non ha alcuna autonomia politica. Se gli Stati non sono d’accordo e non vogliono, non si fa.

Allora, prendersela con la Comunità è prendersela con un obiettivo sbagliato. Del pari, illudersi che la presenza maggioritaria di questo o quel gruppo al Parlamento europeo possa preludere a un cambiamento è di un’ingenuità sconcertante. Stupisce che tante “teste” politiche in Europa prendano sul serio la cosa.

In tutto ciò che si dice sulle questioni europee, c’è un vuoto. Se il meccanismo decisionale non viene radicalmente riformato, le ambizioni, le presunzioni e le speranze sono solo un castello di carte. Chiacchiere vuote.  Se una riforma ci deve essere, deve partire proprio dalla revisione di questo meccanismo, altrimenti il giocattolo non funziona.

Lo vogliono davvero cambiare gli Stati? Questo è il punto fondamentale della questione europea.

Si è fatto un gran parlare di nazionalismo. Ma tutti gli Stati membri sono nazionalisti. Nessuno vuole cedere un briciolo della propria sovranità. Qualche miracolo è stato fatto, nella politica agricola, ad esempio, nella concorrenza, nella politica doganale, ma perché conveniva a tutti per varie ragioni. L’ultimo è stato quello dell’euro, peraltro contestato dai sognatori più incalliti della lira o del franco.

Ora si parla di un esercito comune. Già parlarne è un fatto positivo, ma non è affare da poco. Da uno studio recentemente effettuato occorrerebbe impegnare almeno il 5% del PIL europeo. Una cifra da capogiro. Se, invece, si accorpassero i capitoli di spesa militare di ogni Stato europeo in unico capitolo di spesa comunitario, l’Unione avrebbe un bilancio militare di poco inferiore a quello degli Stati Uniti e della Russia. Ma sarebbero disposti a questo gli Stati?

Nessuno, poi, affronta la questione NATO. Come si porrebbe un eventuale esercito europeo nei confronti della NATO? Una nuova organizzazione militare europea a parti uguali con Usa, Canada e Regno Unito? Avranno gli Stati membri il coraggio di prendere questa decisione?

Di queste cose si dovrebbe discutere, perché riguardano il destino di tutti, dell’Europa e dell’Occidente. La questione se la von der Layen vada bene ancora per un altro quinquennio è del tutto banale, come la questione se la tedesca AFD (neonazista) avrà più o meno voti che alle elezioni tedesche oppure quale sarà la composizione dei gruppi parlamentari a Strasburgo.

Peggio ancora, se la risposta della Meloni a De Luca sia stata preparata in anticipo. Se di questo vogliamo interessarci, allora è inutile andare a votare. Non siamo maturi per l’Europa che vorremmo.

 

Roma, 30/05/2024

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Le tragiche finzioni dell’Occidente (di Stelio W. Venceslai)






Le tragiche finzioni dell’Occidente

(di Stelio W. Venceslai)

A seguito dell’attività dei tribunali internazionali per i crimini di guerra di Norimberga e di Tokio, istituiti dopo la 2^ Guerra mondiale, la Comunità degli Stati ha cercato di regolarizzare la giurisdizione penale internazionale con l’istituzione di una Corte ad hoc.

La Corte penale internazionale dell’Aja è competente per i crimini internazionali più gravi come il genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra (crimina iuris gentium) e quelli di aggressione. Lo Statuto della Corte (Trattato di Roma del 17 luglio 1998, entrato in vigore il 1° luglio 2002), è stato sottoscritto da almeno 124 Stati (trai quali l’Italia) sui 193 membri delle Nazioni Unite. Altri 32 Stati hanno firmato ma non ratificato lo Statuto.

Cina, Israele, Russia, Stati Uniti e Sudan hanno dichiarato di non avere intenzione di ratificarlo. Come al solito, i grandi sono prepotenti e si sentono al di fuori delle leggi.

Francia e Regno Unito, due dei cinque membri del Consiglio di Sicurezza delle N.U., hanno invece aderito allo Statuto.

La Corte ha sanzionato gravemente sia Israele sia Hamas. Sono imputati di genocidio. Mi sembra giusto.

Ciò che è accaduto il 7 settembre ed è seguito dopo non può essere classificato altrimenti. I puristi del diritto possono distinguere fra le responsabilità di uno Stato e di un non Stato, fra genocidio ed eccidio, tra riconoscimento dell’autorità del tribunale penale internazionale e no, ma rimane la gravità di una condanna condivisa dalla maggior parte del mondo. Il resto sono sciocchezze diplomatiche.

La quasi totalità del mondo ha riconosciuto e condiviso la decisione della Corte. Sono fuori la Russia, peraltro condannata per altri motivi, la Cina, impenetrabile nelle sue decisioni, l’Europa occidentale, al solito prona ai desiderata americani e gli Stati Uniti. Non è una bella compagnia. La finzione: non ti riconosco e quindi non esisti, è una buffonata, tragica.

Perché siamo fuori? L’esigenza di una giustizia penale internazionale è avvertita da secoli. Tutti i “grandi” ne hanno paura. La sovranità è uno scudo per coprire gli eccidi, come quelli di Sebrenica o del Ruanda.

Il fronte europeo, poi, è largamente diviso. La decisione di Spagna, Norvegia e Irlanda ha rotto il fronte del diniego del riconoscimento di uno Stato palestinese. Cosa aspetta l’Italia

L’Unione europea comincia a balbettare di sanzioni contro Israele, se continua la sciagurata missione omicida di Netanyahu, che neppure gli Stati Uniti sono capaci di fermare.

Non possiamo nasconderci dietro sottigliezze diplomatiche di fronte ad una realtà che s’impone.

Gli ultimi massacri di civili compiuti dall’esercito israeliano non sono tragici errori, come sostiene Israele, ma massacri puri e semplici di una popolazione disperata, ridotta alla fame, deportata in luoghi dove si ammassano centinaia di migliaia di persone, cercando rifugio dall’implacabile presenza ossessiva dei bombardamenti israeliani. Questo è lo sterminio di un popolo.

I negoziati al Cairo sono una beffa, mentre la gente muore. Netanyahu vanta l’uccisione di due importanti capi palestinesi, ma a che prezzo? I morti palestinesi, le bare che tornano in Israele avvolte da drappo nazionale, sono davvero il giusto prezzo di questi “successi”?

I Palestinesi continuano a resistere e a rispondere, lanciando razzi sulle città israeliane. Ma come, non avevano spazzato tutto gli Israeliani?

Hanno conquistato Gaza e lì si combatte ancora. Si sono impossessati del 90% della Striscia di Gaza e non si riesce a risolvere la guerra Ma allora è stata tutta una farsa sanguinosa. Dov’è il colpo di maglio? Aspettiamo una piccola bomba nucleare?

L’illusione di un Grande Israele con le mani sporche di sangue, ormai, è solo nella testa di Netanyahu. Il mondo gli è contro. È partito dall’orrore del 7 settembre per aggiungerne altri ed ha isolato il suo Paese, emarginato dal contesto della società civile.

La complicità ambigua dell’Occidente con Israele non porta nulla di buono. Tutti vogliamo la pace e un assetto stabile almeno in quella parte del mondo, ma non la pace dei morti.

Le sanzioni europee contro Israele sono acqua fresca. In condizioni normali potrebbero essere un monito, ma non con Netanyahu. Nessuno capisce cosa abbia in testa, come sarà il dopo Gaza, come si potrà colmare l’abisso di odio e di desolazione di questa guerra. Figurarsi se teme le sanzioni europee! Non basta deplorare ciò che sta avvenendo, con questa lunga agonia di un popolo.

Se in Europa resta ancora un brivido di civiltà e di solidarietà umana, Netanyahu deve essere messo al bando. Non Israele, dove la maggior parte della popolazione piange i suoi morti per una guerra insensata. L’antisemitismo, l’anti ebraismo, gli odi razziali non c’entrano. Il complesso di colpa per i lager nazisti è passato da quasi un secolo. Non dobbiamo dimenticare ma neppure nasconderci dietro questo passato.

Israele ha il diritto di vivere ma non di uccidere i Palestinesi. La Palestina ha il diritto di vivere ma non di massacrare gli Ebrei. L’Europa (l’Italia), dovrebbero farsi portavoce di questa realtà. Se continua così, isolato dal mondo, Israele non potrà vivere a lungo, a dispetto della comunità internazionale e dell’aiuto degli Stati Uniti.

L’Europa non ha una politica estera sua, lo sappiamo, e il risultato è l’impotenza. Non è per questo che ci siamo uniti. L’emergenza ucraina e quella palestinese sono il banco di prova dell’esistenza reale, non apparente, dell’Europa occidentale.

 

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Cose serie e cose meno serie Editoriale di Stelio W. Venceslai






Cose serie e cose meno serie

Editoriale di Stelio W. Venceslai

Che nell’Italia repubblicana del 2024 una senatrice della Repubblica, insigne per storia ed età, si senta minacciata perché di origine ebrea è una cosa terribilmente seria. Dovrebbe far riflettere sulla deriva assurda cui ci sta portando il conflitto palestinese.

I vari movimenti universitari e studenteschi, in Italia, in Europa, nel mondo, sono tutti schierati contro Israele in favore dei Palestinesi. Sarebbe troppo semplice dire: non sanno quel che dicono, ma qualche dubbio mi viene.

A sentir loro, Israele è di destra, anzi fascista (l’anima di Himmler si rivolterebbe nella tomba), uno Stato oppressore e assassino. La cosa non mi turba: tutti gli Stati, in fondo, sono oppressori, qualcuno è anche “fascista”, anzi parecchi, a cominciare dalla Russia, la Cina, la Corea del Nord e tutti i regimi autoritari esistenti nel mondo. Piuttosto, perché definirli fascisti e non nazisti? Il fascismo ha fatto molti guai, è vero, ma il nazismo molti di più. Sarà perché i Tedeschi incutono sempre un certo timore e gli Italiani no.

La protesta pro Palestina si condensa in due o tre slogan: “Palestina free”, “Palestina dal fiume (il Giordano) al mare”, “Abbasso il sionismo” e così via. La gente capisce cosa significhino questi slogan?

Vediamo di chiarirci. L’odio contro gli Ebrei ha precedenti millenari. Il mondo ha sempre avuto bisogno di un nemico, L’Ebreo è il nemico ideale. Personalmente, non capisco perché uno che abbia una religione diversa dalla mia debba essere mio nemico. Ne abbiamo tante di differenze e non vedo perché quella religiosa sia essenziale, specie in un mondo laico come il nostro.

La Palestina non è uno Stato, forse lo diventerà, ma a furia di dirlo, da cinquant’anni e d’essere tutti (o quasi) d’accordo su questa possibilità, nessuno al mondo ha mai riconosciuto la Palestina come uno Stato, neppure i Paesi arabi, neppure l’Iran. Di conseguenza la Palestina, oggi, è un’espressione geografica, come diceva Metternich dell’Italia, ai tempi del Congresso di Vienna. C’è un vuoto politico, in Palestina, e un’Autorità palestinese fatiscente. Quindi, Palestina libera da che?

La risposta è semplice: dagli Israeliani, quindi dagli Ebrei, ergo dal Sionismo mondiale. Allora, Palestina libera significa fare uno Stato e buttar fuori gli Israeliani perché sono Ebrei.

Dire, anzi, gridare “Palestina dal fiume al mare”, se non altro, è più preciso. Poiché in Palestina, dal 1948, per volere della quasi totalità dei Paesi del mondo, c’è Israele, significa che Israele deve essere cancellato dalla faccia della terra. Più che uno slogan è una minaccia molto seria. Non c’è riuscito a cancellarli Hitler, che almeno era meglio organizzato. Ci si rende conto di ciò che auspicano i nostri studenti?

I più calmi si dichiarano anti semiti. Nulla da dire, ognuno può pensarla come vuole, ma sommessamente, mi vien fatto di pensare: Semiti lo sono anche gli Arabi. Lo sanno gli studenti e gli anti-israeliani?

Quando la senatrice Segre, oggi, si sente minacciata perché di religione ebraica, è perché l’ondata di antiebraismo che pervade le nostre Università è la stessa che nelle birrerie tedesche di quasi un secolo fa inneggiava a Hitler e al massacro degli Ebrei. L’equazione ebrei morti uguale a nazismo trionfante è sempre la stessa.

In conclusione, oggi, si è capovolta la ragione. Mettiamoci d’accordo: o gli Ebrei sono fascisti e i Palestinesi di Hamas sono dei democratici liberalsocialisti-, oppure i Palestinesi sono dei nazisti e gli Israeliani i soliti Ebrei da mettere al forno. Mi disturba financo scrivere di queste cose in questi termini.

Purtroppo, questo clamore anti-israeliano ha due gravi pecche d’origine: nessuno si è mosso per protestare contro il massacro degli Ebrei fatto da Hamas nell’eccidio del 14 ottobre 2023. Tutti zitti. Forse studiavano.

Nessuno si è mosso quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Silenzio composto. Un’ambiguità colpevole. Il cirillico è troppo difficile.

Intendiamoci, non voglio difendere Israele. Il massacro dei Palestinesi a Gaza e a Rafah grida vendetta al cospetto di Dio. Netanyahu è riuscito ad isolare Israele e a mettersi contro l’intera Comunità internazionale e perfino contro gli Stati Uniti, suoi tutori. Ma Netanyahu è un pazzo scatenato, non dissimile dal reuccio nordcoreano o dal piccolo Zar moscovita. Tira solo a campare per restare in sella su un fiume di sangue.

Lui vuole la morte di Hamas e Hamas vuole la morte degli Ebrei. Non c’è scampo. La ragione porterebbe a frenarli, ma tutti se ne guardano bene. Troppo complicato, che si scannino fra loro. Però, poi ci sono gli effetti interni, sulle politiche nazionali.

In Italia, ad esempio, l’imbarazzo è grandissimo. Il governo è filo israeliano, l’opposizione, più o meno, filo palestinese. Altrimenti, che opposizione è? I giovani attaccano la polizia e la polizia attacca, contenendoli, i giovani. Nella libertà d’espressione vigente in Italia, però, non si può essere filo israeliani, perché si è fascisti, termine usato e abusato fino alla noia. Povera senatrice Segre! Il mondo si è capovolto!

Poi scopriamo che i Palestinesi sono fascisti perché vogliono ammazzare gli Ebrei.

In questa confusione, grazie a Dio, abbiamo altre distrazioni: la guerricciola abbastanza stantia governo-magistratura, la visita della von der Layen in Italia che non incontra la Meloni, le dichiarazioni (superflue) di Landini, perennemente imbronciato, il caso Toti, il Liguria. Nulla, in realtà, di cui preoccuparsi. Acqua fresca, buona per i giornali.

A parte Gaza, invece, preoccupano l’invio di truppe estoni in Ucraina, il riarmo polacco, l’intento appena velato di Macon d’inviare contingenti francesi a Kiev. Queste sono cose serie, che ci toccano direttamente. Nessuno vuole la guerra, ma tutti ci si stanno preparando. Hanno un bel dire Crosetto e Tajani che nessun soldato italiano andrà in Ucraina, ma se la Nato alla fine fosse coinvolta nel conflitto, tirata invece per i capelli dalle provocazioni russe, anche gli Italiani dovrebbero fare la loro parte.

Il caso Toti è emblematico del malcostume politico esistente, ma perché stupirsi? Da secoli sappiamo che in politica è così: corruzione e affari, compiacenze mafiose e traffici lucrosi. Tutti gli schieramenti politici, governo e opposizione, sembra, sarebbero coinvolti in questo mercato. Altro che gridare a ogni piè sospinto: Dimissioni? E poi? Dimesso Toti abbiamo pulito tutto?

La magistratura avrà un bel lavoro da fare per sbrogliare una matassa che sembra assai complicata. Se dopo quattro anni d’indagini si è arrivati agli arresti ci sarà ben qualcosa di cui preoccuparsi.

La magistratura indaga e il palazzo trema.

 

 

Roma, 14/05/2024

 

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Aristide, detto il Grullo, elettore (di Stelio W. Venceslai)






Aristide, detto il Grullo, elettore (di Stelio W. Venceslai)

 

La preparazione alle elezioni europee procede, in Italia, con i consueti ammiccamenti sul tavolo dei concorrenti.

Primo atto: ognuno guarda nel piatto dell’altro. Si presenta o non si presenta Tutti, in primis, hanno risposto di no. Chi si presenta alle elezioni, se eletto, dovrebbe andare a votare e a lavorare al Parlamento di Strasburgo. Bella città, piena di storia, con buona cucina francese, crocevia d’Europa, vetrina dei Ventisette, però…

Tutte belle storie, ma l’Italia è l’Italia e io sto a casa mia. Ci saranno pure i miei avversari politici, ma chi se ne frega! Pasta e pizza: minimo comun denominatore, il vero collante politico.

Si proclama solennemente il principio che chi sarà eletto dovrà fare il parlamentare europeo. Non potrà avere due incarichi, uno in Europa e uno a casa. Giustissimo.

Risposta all’italiana, dopo lunga meditazione: se mi faccio eleggere e poi mi ritiro, può sostituirmi un altro. Che male c’è? Intanto, prendo voti. Io sono noto e l’altro meno o per nulla, ma agirà come mio rappresentante. E poi, più voti prendo io, più è forte il mio partito in Italia.

Orrore, gridano i puristi. Così si tradisce l’elettore che ha avuto fiducia in te! È una questione morale! Non si può truffare l’elettorato. Risposta: l’elettore ama me e non gliene importa nulla né dell’Europa né del mio sostituto. Fine del primo atto

Secondo atto: che farà, Conte, l’avvocato del popolo? Si presenta Quello aspira, da quando non è più Presidente del Consiglio. Se si candida alle europee prende un sacco di voti e spiazza il PD. Allora, candidiamo la Schlein. Non sarà “er mejo”, ma questa abbiamo e potrebbe stoppare Conte. Riflessione e tormento.

A decisione sofferta presa: votate Schlein. Prima di stampare i manifesti, i mugugni arrivano, fortissimi: il PD è un partito vero, non un’accozzaglia di sprovveduti come ce l’ha Conte. Non possiamo essere il partito della Schlein. Abbiamo una storia, noi, siamo il partito dei lavoratori, degli operai, dei contadini etc. etc. Siamo un partito di idee (?), mica un‘azienda personale, alla Berlusconi.

La Schlein è costretta a ripensarci. Sarà candidata, se insiste, ma come tutti. Il PD resterà trionfalmente il PD di sempre (ahimé!).

La Lega, dal canto suo, da tempo s’identifica con Salvini, un po’ contestato perché anche nelle zucche dei leghisti è entrato il verme della contestazione. Da partito secessionista è diventato nazionalista e di destra, sempre sotto la sigla Salvini. Adesso, rischia davvero d’andare sotto. Occorre ravvivare il simbolo. Che c’è di meglio di Vannacci, ”il generale”? Lo contestano tutti (o quasi). Quindi, gli fanno pubblicità e la pubblicità porta voti.

Imbarchiamolo. È un soggetto pericoloso, ma se lo imbarchiamo come indipendente, mica ci sporchiamo le mani. L’importante è che porti voti. Amen.

Forza Italia, da sempre è il partito Mediaset-Berlusconi. L’omaggio al defunto resta sui manifesti. Se ci mettessero Antonio, il nome di Tajani, non lo voterebbe nessuno. Ve l’immaginate “votate Antonio”? Sembrerebbe d’essere a Piedigrotta. Amen anche qui.

Chi resta

Renzi dice che non si candida, ma l’uomo è imprevedibile. In cuor suo aspira a fare il Presidente degli Stati Uniti o, almeno, l’Emiro. Ecco, la verità è che non ha mai pensato di fare il Pontefice. Troppo modesto. Però, gli piace correre. Quando c’è casino lui si ravviva. Quindi, non si può mai sapere. È il bello della diretta.

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Calenda giura che non è serio candidarsi per lasciare il posto a un altro, ma intanto si presenta anche lui. I voti sono voti e ne ha bisogno e, poi, la coerenza non è il suo forte. È come il pendolo, oscilla a destra e a sinistra. Aspetta un Galileo che lo inquadri.

Conte? Qui è il difficile: non riesce neppure a fare una lista decente di candidati. Ci si metterà anche lui? La cosa è ancora misteriosa. Vedremo.

Fratelli d’Italia, al suono dell’Inno di Mameli, compie la svolta di Pescara. Anche la Meloni si candida. Evviva! Trionferemo. Con un pizzico di civetteria (è pur sempre una donna) lei si concede al popolo: chiamatemi Giorgia. Va bene così, perché noi siamo vicini al popolo.

Insomma, non siamo alle elezioni europee ma a un concorso di bellezza. I principali leader di partito in Italia saranno candidati alle elezioni per Strasburgo. Ammirate lo slancio patriottico-europeista dei nostri politici. Poi, non ci andrà nessuno. E la truffa agli elettori? Non se ne parla più. Si presentano per l’Europa ma guardano all’Italia, ai fatti loro. E se fossero trombati? Non sogniamo, per carità!

Terzo atto: siamo tutti amici di vecchia data. Chiamami Elly, chiamami generale, chiamami Giorgia. Potremo votare così, per nome, come alla pallavolo: “Giorgia”, oppure “il generale”, e basterà, perché il voto è valido.

Questa confidenza mi dà fastidio, ma io sono dei vecchi tempi, quelli del Lei e quelli del Voi dei nostri nonni. Non mi piace questa confidenza. Finisce che mi fotografano accanto a un amico sconosciuto con un braccio sulla spalla. Poi si scopre che quello è un delinquente. Ma chi lo conosce? Mi dà del tu, ma ormai, alla meglio, nobilitiamoci, è il tu latino o lo you anglosassone.

Andiamo, andremo a votare. Elly o Giorgia Perché tutta questa baracca, alla fine, è un duello a due.

Quarto atto: parliamo di programmi: zero. La Schlein, con una felice intuizione, commentando l’assise di FdI a Pescara, ha detto che il programma di quel partito è Giorgia.

Lei non può dire lo stesso, purtroppo.

Il fatto è che nessuno, insisto, nessuno, ha in mente cosa vorrà fare o proporre a Strasburgo. Al solito, saranno al ricasco degli altri.

Aristide, detto il Grullo, elettore, voterà alla cieca, se voterà.

 

Roma, 30/04/2024

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La mossa di Conte di Stelio W Venceslai






La mossa di Conte

 

Foto Roberto Monaldo / LaPresse
28-06-2021 – Roma, Italia
Politica
Conferenza stampa di Giuseppe Conte
Nella foto Giuseppe Conte
Photo Roberto Monaldo / LaPresse
28-06-2021 Rome (Italy)
Press conference by Giuseppe Conte
In the pic Giuseppe Conte

            In questo clima d’indagini giudiziarie contro politici di varia estrazione, la mossa di Conte ha spiazzato tutti, bisogna riconoscerlo.

            Per quanto lo slogan onestà, onestà, gridato dai primi grillini, sia un po’ logoro, infatti, fa comunque ancora presa sull’opinione pubblica. Non ci crede nessuno, ma che un partito se ne faccia bandiera non può non far piacere, anche se a malincuore, trattandosi di 5stelle.

            La rottura di 5Stelle con il PD, una specie di fidanzamento un po’ rustico, visto che si trattava di un campo largo, avrà conseguenze non trascurabili negli assetti politici nazionali pre-elezioni europee.

            Ho sempre sostenuto che il PD, da almeno vent’anni, cerca aggregazioni composite perseguendo la vecchia concezione del Fronte popolare che non gli ha mai portato fortuna. La sua composizione è talmente variegata che riecheggia quella della perduta Democrazia cristiana e ne fa, in fondo, più un partito di centro che di sinistra. Il PD ha imbarcato di tutto, pur di non presentarsi da solo agli elettori: liste civiche, liste civetta, liste di comodo, formazioni avventurose od effimere, come le Sardine, cattolici progressisti e comunisti radicaleggianti e così via.

            Ciò alimenta la confusione tra gli elettori fedeli che quante più sigle vedono accoppiate al PD più ritengono che il loro partito sia grande.

            In realtà, e lo dimostrano i magri risultati elettorali conseguiti, questa operazione di mistificazione non è mai riuscita, tanto meno, ora, accoppiando 5stelle con il PD.

            La nuova Segreteria della Schlein, piena di buona volontà – bisogna riconoscerlo – non è riuscita né a contemperare le diverse anime del PD né a definire una solida alleanza con 5Stelle, la cui posizione attuale, nella sinistra, è ben più radicale.

            I fatti Puglia, dove diversi dirigenti del PD sembrano essere coinvolti in vari scandali sui quali indaga la magistratura, appannano tutto l’apparato locale mettendo in forse non solo il Comune di Bari ma, altresì, il governo regionale di Emiliano.

            Sono emerse numerose ambiguità delle quali ha profittato 5Stelle.

            La conseguenza è che il PD si trova ora confrontato su due fronti: a destra, con il governo della Meloni, come maggior partito d’opposizione e, a sinistra, con il partito di Conte, la cui palese ambizione è quella di rosicchiare consensi al PD e diventare il vero partito di opposizione governativa.

            La bandiera dell’onestà, in effetti, spiazza la Schlein in modo pericoloso. Ha un bel dire nel sostenere che la competizione PD-5Stelle favorisce il centrodestra – il che è certamente vero – ma a fronte di un rigurgito di onestà politica, e non solo, sbandierato da Conte, questa argomentazione è un’arma spuntata.

            In buona sostanza, le prossime elezioni regionali pugliesi, che si dava per scontato essere appannaggio della sinistra, sono in forse e, quasi certamente, vista la situazione attuale, potrebbe prevalere il centrodestra. Una sconfitta grave, per il PD, che perderebbe una regione importante.

            La posizione di Emiliano in Puglia sta diventando debole. Se la Regione, oltre al Comune di Bari, venisse commissariata, Emiliano, non avendo più nulla da fare, potrebbe unirsi ai critici della Schlein all’interno del PD, con l’opposizione blanda di Bonaccini e quella, più netta, di De Luca, il governatore campano. Tutto ciò potrebbe portare a un rimescolamento di carte in seno alla stessa Segreteria del PD.

            Se, poi, alle elezioni europee il PD non riuscisse a mantenere le posizioni a suo tempo acquisite, la situazione della Schlein sarebbe irrimediabilmente deteriorata, a tutto vantaggio dei suoi oppositori, interni ed esterni.

            Nel breve periodo, chi trae vantaggio da tutto ciò, almeno in prima battuta, è il partito di Conte che si presenta con una maggiore aggressività, portatore di una questione morale che non può non arrecargli consensi e nuove simpatie. L’elettorato è volatile e l’onestà fa ancora presa.

Sempre a breve termine, ne trae vantaggio poi il centro destra, che non può non rallegrarsi dei mali della sinistra, dilaniata da dissensi di vario genere e dall’allontanamento dello spettro della confluenza tra il PD e 5Stelle.

A medio-lungo periodo, invece, superato lo scoglio delle elezioni europee, il riassetto delle posizioni all’interno della politica italiana sarà tutto da vedere.

            Se i risultati elettorali saranno deludenti per il PD, sembra difficile che la Schlein possa continuare a restare in sella. Troppi errori e inutili battaglie contro i mulini a vento ma, soprattutto, per il fallimento dell’auspicato campo largo di bersaniana memoria.

            Una nuova Segreteria potrebbe ricucire i rapporti con Conte previa, però, quella pulizia di cadaveri eccellenti del vecchio PD che la Schlein non è riuscita a fare.

            Un Conte rafforzato e arrogante potrebbe anche imporre un cambio di passo al PD, ad esempio, per quanto concerne i fatti d’Ucraina o di Gaza oppure sulla fornitura di armi a Zelenski.

Conte infatti la pensa in altro modo, cercando di differenziarsi. Vuole la pace, ma quella la vorrebbero tutti. Allora cavalca l’onestà. Un tema pericoloso che, spesso, si ritorce contro i suoi fautori. In realtà rispetta la tradizione dell’antico movimento dei grillini che erano “contro” per principio a tutto. Adesso lui è “per” l’onestà. Purtroppo l’onestà non è una prerogativa politica. Dovrebbe essere un imperativo per tutti i politici, non solo morale.

Conte cavalca gli scontenti perché si è aperta una finestra di dissenso nei confronti della sinistra, da vent’anni al potere, ma che poco o nulla ha concluso. Aspira a raggruppare tutti i dissidenti per tornare ad essere il leader da contrapporre alla Meloni o chi per lei.

Da Presidente del Consiglio è stato così politicamente disinvolto da presiedere un governo giallo-verde e subito dopo un governo giallo-rosso come se fosse la cosa più naturale del mondo: un modello di coerenza politica. In realtà, gli va bene tutto pur di conseguire il potere, anche la bandiera dell’onestà, un aggancio importante per un partito di cui è palese l’assoluta inconsistenza politica.

Per Conte l’importante non è ciò che di volta propone quanto di stare sulla cresta dell’onda e, possibilmente, ora a destra ora a sinistra, far pesare il suo apporto, condizionando gli altri.

Ha avuto una volta per caso nelle mani il mestolo e cerca di riprenderselo, salvo non sapere come usarlo. Nel battage pubblicitario preelettorale va tutti bene. Ma dopo?

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