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Affido. Iafrate: “Un intervento prezioso quando permette di recuperare la fiducia nei legami”

“Rilanciare l’affido familiare: l’interesse del minore nei percorsi di accoglienza”: di questo si è parlato in un convegno che si è svolto, il 14 giugno, all’Università Cattolica di Milano, promosso dal Centro di Ateneo Studi e ricerche sulla famiglia dell’Ateneo in collaborazione con il master “Affido e adozione e nuove sfide dell’accoglienza familiare: aspetti clinici, sociali e giuridici”, l’“Associazione Cometa” e “Famiglie per l’accoglienza”. Dopo il convegno abbiamo sentito Raffaella Iafrate, pro-rettrice dell’Università Cattolica e delegata del rettore per le pari opportunità dell’Ateneo.

(Foto Università Cattolica)

Quali difficoltà incontra oggi l’affido?

Uno dei motivi per cui abbiamo proprio scelto di parlare di rilancio dell’affido è perché siamo consapevoli che il clima culturale in cui ci troviamo oggi non è tra i più favorevoli, soprattutto dopo i casi di Bibbiano e altri interventi ultimamente sulla stampa che mettono in evidenza i limiti dell’affido. Come sempre, nell’attuazione di quelli che sono i buoni propositi, può succedere che ci sia qualche incidente di percorso, ma questo non toglie la bontà dello spirito della legge del 1983 sull’affido, che negli anni è stata rivista e riattualizzata. Da studiosa che lavora su questi temi dagli anni ’80, posso dire che ho visto grandissimi sforzi proprio per adeguare la risposta al bisogno dei minori e delle famiglie, alle esigenze del contesto, ai cambiamenti della società. Tra gli aspetti fondativi dell’affido, c’è il suo essere una forma di protezione dell’essere figlio, cioè il diritto fondamentale di una persona che ha bisogno di essere riconosciuta nella sua dimensione di appartenenza filiale, di appartenenza ad una stirpe, ad una generazione, ad un’etnia, quindi nel suo diritto alla vita, senza dimenticare che per essere figlio a tutti gli effetti c’è anche il diritto alla cura, ad essere accolti, educati, sostenuti. Possibilmente si spera che questo avvenga sempre all’interno della famiglia di origine, ma non sempre è fattibile, succede che a volte la famiglia, che ha messo al mondo, per tanti motivi, non sia in grado di riconoscere il diritto alla cura. Ed è lì che interviene il sociale, diciamo giustamente, perché il diritto all’essere figlio a tutti gli effetti è un diritto fondamentale della persona, è il “diritto più democratico” perché tutti siamo figli, quindi in qualche modo è una cosa che ci accomuna tutti come esseri umani. Quando questo non è riconosciuto e non è consentito fino in fondo, è giusto che il sociale se ne faccia carico.

L’affido risulta un intervento efficace?

Sì,

l’affido è una delle forme più preziose da questo punto di vista perché lavora su una famiglia che aiuta un’altra famiglia,

questa idea che non sia un sociale astratto che aiuta le persone a sentire dei legami o che aiuti a salvare il legame, ma sia un’altra famiglia che si mette a disposizione non solo del bambino, ma anche della sua famiglia e del recupero della valorizzazione delle sue origini – perché il bambino ha bisogno per la sua identità di poter sentire riconosciute tutte queste dimensioni – è sicuramente il cuore, potremmo dire l’aspetto fondante dell’affido che poi nel tempo si è sempre più sviluppato come un’idea di aiuto reciproco tra famiglie e di reciprocità nell’accoglienza: da un lato, infatti, c’è la famiglia affidataria, che dispone ovviamente di maggiori risorse e si fa carico di una carenza evidente nell’altra famiglia; dall’altro, l’esperienza ci ha anche mostrato come in fondo anche la famiglia d’origine è chiamata a un lavoro di accoglienza nei confronti della famiglia affidataria. Insomma, l’affido funziona nella misura in cui il contesto sociale nel quale si attua l’affido favorisce un’accoglienza reciproca perché per il bambino è fondamentale poter far conto su questa alleanza, magari non è immediata, è inevitabile, umanamente comprensibile che all’inizio ci possano essere diffidenze, ci possano essere resistenze, ma il lavoro da fare è proprio quello di ricostruire una fiducia.



Quanto è difficile creare il clima di fiducia

Il nostro convegno ha voluto dare voce e creare un ponte tra i numerosi protagonisti che affollano la complessa scena dell’affido, ovvero i minori, le famiglie, le associazioni, gli operatori sociali e le istituzioni, offrendo un luogo di confronto e dibattito pubblico per creare le condizioni perché ci sia questo clima comunitario di fiducia che garantisce la possibilità che l’affido funzioni.

Deve essere chiaro che l’obiettivo è il bene delle persone coinvolte,

quindi ci si fida del fatto che, dal tribunale all’operatore sociale e alla famiglia affidataria, tutti operino in vista di quell’obiettivo finale che è il bene del minore e della famiglia. Secondo me è stato bello nel convegno il tavolo di lavoro dove parlavano le associazioni familiari, le istituzioni, quindi il tribunale, la regione, il comune, il governo, in un clima non di reciproca diffidenza ma di fiducia, anche provando a capire il punto di vista degli altri. Come Università siamo stati testimoni di questo incontro e luogo dove si porta una riflessione scientifica, di ricerca, ma anche una sorta di terreno comune dove le persone che lavorano in questo settore si sono confrontate e hanno immaginato azioni concrete, superando anche la frammentazione.

Qual è l’obiettivo principale dell’affido?

In passato l’unico esito positivo dell’affido era considerato il ritorno del minore nella famiglia d’origine, sostenendo il bambino mentre si aiutava la famiglia a recuperare le sue energie: questo era lo spirito della legge iniziale, poi si è visto nel tempo che non sempre è possibile un rientro in famiglia, per la difficoltà di recupero della famiglia d’origine. Ci si è accorti che tra lo spirito della legge e i casi concreti ci sono anche delle distanze notevoli. Alcune ricerche, anche una che stiamo conducendo ancora adesso come Centro famiglia che ci ha visto intervistare ragazzi che sono stati in affido, ci mostrano che, anche laddove il ritorno nella famiglia d’origine concreto non c’è stato, l’affido ha funzionato, se si riscontra, ad esempio, che queste persone in qualche modo hanno portato in salvo la fiducia nei legami, che poteva essere molto minacciata da una esperienza familiare segnata da traumi, violenze, trascuratezza. Non solo: molte persone che hanno fatto esperienza di affido diventano a loro volta famiglie affidatarie e questo è un segnale positivissimo. Il fatto di non ritornare concretamente nella famiglia d’origine non vuol dire non tornarci a livello simbolico, psichico, cioè l’affido funziona quando si fa recuperare il valore dell’appartenenza originaria, anche se questa è stata segnata da fragilità e fatiche. Se grazie all’affido emergono la possibilità di accedere almeno simbolicamente a chi ti ha dato la vita e il riconoscere – al di là di tutte le fragilità e di tutte le trascuratezze, anche e al di là di tutte le violenze che si possono subire nella propria famiglia d’origine – un bene all’origine nel fatto di aver ricevuto la vita, credo che l’affido meriti di essere portato avanti come un’occasione importante per le persone di recuperare la fiducia.

Professoressa, secondo lei come si può rilanciare l’affido rispetto a tantissima pubblicità negativa sui media dopo i fatti di Bibbiano?

Bisogna ricominciare, forse come un tempo si faceva, con delle campagne di pubblicizzazione, che sottolineino il valore dell’affido e lo facciano anche conoscere, perché la cosa un po’ paradossale è che dopo 40 anni, come dimostrano anche le ricerche, a livello di popolazione generale sull’affido c’è ancora una visione del tutto inadeguata, insufficiente, spesso stereotipata con delle polarizzazioni: c’è chi dice che un bambino non si toglie mai alla sua famiglia e dietro c’è soltanto un giro di affari sporchi; e c’è chi pensa che si fanno cose belle per i minori, ma con pochissima cognizione di causa. Tra l’altro, non c’è consapevolezza di quelle che sono le varie forme innovative e anche un po’ più leggere dell’affido: in pochi sanno della possibilità di avere degli affidi part-time, degli affidi per le vacanze e weekend, degli affidi cosiddetti culturali. A Milano, ad esempio, ci sono famiglie che prendono dei bambini che hanno meno opportunità per portarli a un museo o per sostenerli in percorsi a teatro. Oppure l’affido di minori non accompagnati o l’affido di neonati, un’altra esperienza importantissima che spesso non viene conosciuta. In questo caso, il bambino nel momento in cui non viene riconosciuto alla nascita, anziché andare in un istituto in attesa di adozione, viene dato a una famiglia che lo accoglie. Ancora, quando finisce l’affido ufficiale a 18 anni spesso non si sa che esistono delle forme di accompagnamento alla transizione all’età adulta con famiglie che seguono i ragazzi nel percorso post scolastico o li aiutano a introdursi nel mondo del lavoro. A volte anche la non conoscenza fa sì che ci sia pregiudizio e non si incentivi l’apertura all’’accoglienza. Far conoscere esperienze concrete aiuta un rilancio della fiducia da un punto di vista mediatico e può anche aprire a un’idea di accoglienza famiglie che magari a livello di valori sono assolutamente predisposte ma non riescono a trovare il “grilletto” che attiva l’azione.

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Fare Pasqua in Mongolia, dove tutto concorre a recuperare la freschezza della fede

La Settimana Santa è vissuta in Mongolia come un tempo veramente forte, speciale, unico. Per almeno due anni i catecumeni adulti si sono preparati a questo momento, il passaggio fondamentale della loro vita. Accompagnarli in questo cammino aiuta noi missionari a rivivere lo stupore e la radicalità di questo mistero. In questo senso l’essere qui con questi fratelli e sorelle che desiderano accogliere liberamente nella loro vita la morte e risurrezione di Cristo ci sprona a fare nostra la celebrazione, a viverla con intensità e rinnovata consapevolezza.

La Domenica di Passione vede le nostre comunità agitare esili rametti di conifere (palme e ulivi sono troppo lontani), che stanno appena riprendendosi dal lungo inverno. Le modeste processioni – sempre svolte solo all’interno degli spazi riconosciuti dalle autorità – sono spesso sferzate da venti freddi e polverosi. Qui la primavera è la stagione più difficile, con improvvisi sbalzi di temperatura, gli armenti indeboliti e le persone provate nel corpo. Il mistero della nostra rigenerazione avviene nel momento più critico del ciclo naturale, quasi come se Nostro Signore avesse scelto proprio questa stagione per raggiungere il punto più basso della nostra povera umanità.

La celebrazione della Messa Crismale anticipata al martedì rappresenta un importante appuntamento per i sacerdoti che giungono anche dalle postazioni più lontane. Rinnovano le promesse sacerdotali in una cattedrale con pochi fedeli e alcune religiose. Poi sostiamo per una breve riflessione sul mistero del sacerdozio ordinato e consumiamo gioiosamente il pranzo. Il rientro nelle parrocchie deve avvenire in tempi ristretti, per evitare i rischi delle strade ancora ghiacciate.

(Foto SIR)

Ogni parrocchia vive il Triduo Santo curando bene le liturgie e ospitando il vescovo, che cerca di farsi presente almeno nelle comunità della capitale. Arriva la notte santa. Il fuoco scoppietta all’interno dell’alare tradizionale, simbolo della famiglia. Tutt’intorno il traffico congesto e le luci intermittenti della città, per lo più ignara di quanto sta accadendo. La cattedrale a forma di ger (la tenda mongola) è avvolta nel buio, che si dirada all’ingresso della processione con il cero e le candele dei fedeli. L’exsultet è cantato in lingua mongola; con le sue immagini poetiche, ricorda le composizioni liriche della tradizione locale. Da lì a poco i catecumeni si avvicineranno al fonte battesimale e vestiranno il bianco della vita nuova; qualcuno arriva con il deel (abito tradizionale) fatto apposta per l’occasione. Qualche lacrima di commozione, molto contegno e tanta gioia, anche senza grandi manifestazioni esteriori.

Vissuti così, i giorni santi della Pasqua sono una vera benedizione anche per chi ha già camminato più a lungo nella fede.

Tutto concorre a ricuperare la freschezza della fede. Il lunedì dell’Angelo ci troviamo con i missionari e le missionarie a Khandgait, nei boschi appena fuori Ulaanbaatar, dove la Prefettura Apostolica ha una casa di spiritualità. Celebriamo in una piccola cappella tutta in legno, scaldata dal giorno prima per l’occasione. Qualche anno nevica abbondantemente, altre volte brilla il sole primaverile. Ciascuno di noi si sente profondamente cambiato dall’esperienza dei giorni precedenti e lodiamo il Risorto per i nuovi membri della comunità che sono rinati a vita nuova nelle acque del battesimo. Nelle orecchie e nel cuore la domanda di Gesù dopo aver lavato i piedi ai suoi: “Capite quello che ho fatto per voi?” (cfr. Gv 13,12). Non capiremo mai fino in fondo, ma i giorni della Pasqua ci aiutano proprio in questo ritornare sempre e di nuovo alla dimensione sorgiva della nostra fede. E a riaccendere quel fuoco che bruciava nel petto dei discepoli di Emmaus, disposti ora a muovere gioiosamente i loro passi verso il mondo in attesa dell’annuncio che ha cambiato la storia.

(*) cardinale e prefetto apostolico di Ulan Bator

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8 marzo: recuperare il significato della festa delle donne

L’8 marzo è diventato un giorno per divertirsi nei locali e ricevere mimose. Il solito risvolto consumistico di quella che dovrebbe essere una commemorazione riflessiva. Si, perché c’è tanto da riflettere su quello che nel 1908 accadde ad un gruppo di operaie newyorkesi della fabbrica tessile Cotton. Esse protestarono contro le dure condizioni in cui erano costrette a lavorare fino a quando, l’8 marzo appunto, lo sciopero fu fermato dal proprietario della fabbrica, Mr. Johnson, che bloccò tutte le uscite per impedire alle donne di scappare e appiccò il fuoco. Le 129 operaie rinchiuse all’interno dello stabilimento perirono arse dalle fiamme.
Alcuni ritengono che, in realtà, questo episodio non sia mai avvenuto; fatto sta che già nel 1909 fu celebrato negli USA il Women’s Day. Grande sostenitrice di tale dedicazione fu Rosa Luxemburg, ebrea socialista perseguitata ed uccisa dai tedeschi, che vedeva nell’8 marzo il simbolo delle vessazioni che la donna aveva dovuto subire nel corso dei secoli. La prima celebrazione internazionale si ebbe nel 1911, quando si tennero numerose manifestazioni anche  in Europa. In Italia si deve, invece, aspettare il 1922 per dare il giusto rilievo all’evento, la cui celebrazione fu però sospesa durante la seconda guerra mondiale e ripresa nel 1945, per volere dell’Unione Donne Italiane che riconobbero il suo simbolo nella mimosa, fiore semplice ma bellissimo come il gentil sesso. Le femministe italiane dovettero combattere a lungo per vedere riconosciuti i propri diritti: nel 1946 ottennero il diritto al voto ma ancora nel 1972 furono oggetto di massacro. Esse erano scese in Campo de’ Fiori a Roma con lo scopo di riappropriarsi dell’intero processo della maternità che, per loro, non doveva appartenere allo Stato o alla Chiesa. Tali donne, favorevoli quindi all’aborto, furono colpite duramente dalla polizia. Tre anni dopo l’ONU riconobbe ufficialmente la Giornata Internazionale della Donna, in cui si commemora anche l’incidente, avvenuto nella fabbrica Triangle di New York il 25 marzo 1911, che causò 146 vittime – soprattutto donne. L’evento ebbe una forte eco tanto che da allora si vararono nuove leggi riguardo la sicurezza sul lavoro.
Molte donne oggi non si riconoscono nell’8 marzo proprio per il suo lato effimero. È necessario riappropriarsi di questa giornata, farla diventare nuovamente un momento di riflessione, non di divisione fra sessi ma di unione per tutti coloro che rifiutano la sopraffazione e la violenza.

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Giornata del malato. Don Angelelli: “Recuperare la dimensione relazionale della cura ripensando il sistema sanitario”

“’Non è bene che l’uomo sia solo’. Curare il malato curando le relazioni” è il tema del Messaggio di Papa Francesco in occasione della XXXII Giornata mondiale del malato che ricorre l’11 febbraio, memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes. Ne parliamo con don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei.

Quest’anno il Papa si sofferma sull’importanza delle relazioni, attribuendo ad esse un valore terapeutico. Perché questa sottolineatura

Credo sia una delle eredità del Covid, evento sanitario che ha coinvolto le popolazioni ma avuto molti effetti collaterali, tra cui quello che è passato alla storia come isolamento sociale. Il distanziamento, pur necessario per il contenimento dei contagi, ha di fatto costituito una grave violenza alle nostre vite. Per questo Francesco si rende conto che esiste una ferita da sanare proprio nelle relazioni, dimensione insita nel cuore di ogni persona. Con il Covid si è scoperto quello che almeno noi dal punto di vista sanitario sapevamo:

la componente relazionale è componente di cura a tutti gli effetti.

foto SIR/Marco Calvarese

Il Papa parla di relazioni del malato “con Dio, con gli altri – familiari, amici, operatori sanitari – con il creato, con sé stesso”. Quindi invita a prendersi cura della persona malata nella sua inscindibile totalità di componenti fisico-biologica, emotiva, ma anche spirituale.

È proprio così. Secondo la magnifica definizione del card. Sgreccia,

la persona è una totalità unificata di corpo, mente e spirito.

Ma in questi decenni il sistema di cura ha perso di vista questa totalità e si è concentrato quasi esclusivamente sulla dimensione biologica, sul corpo, sulla patologia da combattere. Ma la patologia non esiste a prescindere dalla persona. Quindi un sistema di cura integrale, come vuole essere il sistema di cura, deve prendere in carico anche la dimensione psichica e spirituale. Luca Argentero, nella terza serie della fiction “Doc – Nelle tue mani” in onda in questi giorni, parlando in una scena con un suo specializzando, fa dire al suo personaggio, il dottor Fanti:

“Se noi curiamo solo il corpo della persona, la curiamo al 50%”.

Io sono perfettamente d’accordo. Occorre recuperare l’asse portante della cura che è la relazione.

Il Papa mette in guardia dalle cure ridotte e mere prestazioni sanitarie e sottolinea il bisogno di una vicinanza piena di compassione e tenerezza sul modello del Buon samaritano, capace di “rallentare il passo e farsi prossimo”. Affermazione bellissima e ricca di significato, ma poco praticabile: come si fa oggi a rallentare il passo in ospedali e ambulatori dove l’attività è scandita da ritmi frenetici?

Ci troviamo a fare i conti con un importante scollamento tra l’erogazione delle prestazioni e la cura. In alcuni casi riusciamo a curare i pazienti, in molti casi anche a guarirli, ma non riusciamo a farli sentire curati. La persona riceve la prestazione, ma non si sente curata, perché quest’ultima dimensione appartiene al tema delle relazioni. Non abbiamo tempo, perché il sistema è compresso sul concetto di prestazione. Non a caso rileviamo una grande fatica, anche professionale, da parte dei curanti – medici e infermieri – profondamente insoddisfatti perché si sentono “distributori di prestazioni” mentre sono nati per relazionarsi con il paziente e avviare un percorso di cura. Argentero cita anche una mia affermazione: “Noi siamo persone che curano persone”. Insomma,

occorre recuperare la dimensione umano-relazionale della cura.

Bisogna andare verso un sistema che permetta questo, ma occorre avere un numero sufficiente di curanti che si possano relazionare con un numero adeguato di pazienti.

Sono invece davanti agli occhi di tutti le immagini di Pronto soccorso congestionati, file d’attesa interminabili, cronica carenza di medici e infermieri costretti a turni massacranti, risorse finanziarie inadeguate… Oltre al modello di cura è in crisi il rapporto di fiducia medico-paziente, come dimostrano la medicina difensiva e le continue aggressioni ai sanitari.

Questo è il nodo fondamentale. Abbiamo un servizio sanitario che funziona, e funziona bene. Eroga molte prestazioni. Potrebbe funzionare meglio? Certo, ci sono delle distorsioni, lo sappiamo, però si tratta di un sistema che fondamentalmente tiene, ma la sfiducia che si è creata nasce dal fatto che è stata umiliata la dimensione relazionale. Abbiamo da poco celebrato i 45 anni del Ssn, e lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha affermato che è un sistema da difendere e aggiornare. Nel 1978, quando è stato creato il servizio sanitario nazionale, il tessuto sociale, la ricerca e il modo di fare medicina erano completamente diversi. C’è bisogno di un ripensamento, e il Pnrr in questo momento sta fallendo i suoi obiettivi perché non vediamo i risultati di un ripensamento globale del sistema in cui le forze vengano ridistribuite e le opportunità ricalcolate.

L’attuale modello di Ssn è vecchio e superato; va ripensato nei ruoli, nella distribuzione sul territorio, nelle funzioni e nei servizi.

Il 25 gennaio è stato presentato alla Camera dei deputati il manifesto Dignitas curae per una nuova sanità, un progetto che mette al centro della cura la persona e non la malattia…

Sottoscrivo pienamente il manifesto e rinvio la responsabilità alla politica perché è un tema esclusivamente di riflessione, di riorganizzazione e di volontà politica. Se la  società si evolve e cambia da sé, i sistemi vanno invece modificati dalle persone. In questo momento abbiamo un disallineamento tra esigenze sociali e risposta dello Stato. Va riallineato il sistema. Il Covid ha suonato la sveglia; ha dato uno schiaffo a tutto il sistema. Se non cogliamo questa lezione, decine migliaia di persone saranno morte invano.

 

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SORPRESA MENTRE TENTA DI RECUPERARE UNA PISTOLA NELL’AUTO SEQUESTRATA. DENUNCIATA DAI CARABINIERI.

Dovrà rispondere di ricettazione e detenzione di arma comune da sparo clandestina e relativo munizionamento la 52enne che questa mattina, dopo aver chiesto ai Carabinieri di volersi riappropriare di alcuni effetti personali, custoditi nella sua autovettura, sequestrata qualche giorno fa dai militari della Stazione di Orta di Atella, in provincia di Caserta, si è presentata presso il deposito giudiziario al quale era stato affidato il mezzo.

La donna, che con solerzia aveva già provveduto a pagare il verbale elevatole per la mancanza della copertura assicurativa, è stata accompagnata presso il deposito dai militari dell’Arma, dove, in attesa di poter riavere il veicolo destinato alla rottamazione, ha iniziato a rovistare al suo interno.

I carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Marcianise, che hanno assistito alle operazioni di recupero, si sono accorti che la donna, dopo aver prelevato un proiettile dal tappetino del passeggero, ha cercato di liberarsene gettandolo a terra.

Nell’immediato, dopo averla fatta allontanare dall’auto, i militari hanno recuperato il proiettile ed eseguito una minuziosa perquisizione rinvenendo, nella consolle centrale, un caricatore monofilare con cinque proiettili calibro 380 auto, mentre tra l’imperiale e la parte sottostante della cappotta dell’auto, hanno rinvenuto una pistola calibro 9 corto, con parti arrugginite.

L’arma ed il suo munizionamento sono stati sottoposti a sequestro. La donna è stata accompagnata in caserma e denunciata in stato di libertà.

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Carinaro. Cerca di recuperare una pistola dalla sua auto che era stata sequestrata: denunciata 52enne

Dovrà rispondere di ricettazione e detenzione di arma comune da sparo clandestina e relativo munizionamento la 52enne che questa mattina, dopo aver chiesto ai Carabinieri di volersi riappropriare di alcuni effetti personali, custoditi nella sua autovettura, sequestrata qualche giorno fa dai militari della Stazione di Orta di Atella, in provincia di Caserta, si è presentata presso il deposito giudiziario al quale era stato affidato il mezzo.

La donna, che con solerzia aveva già provveduto a pagare il verbale elevatole per la mancanza della copertura assicurativa, è stata accompagnata presso il deposito dai militari dell’Arma, dove, in attesa di poter riavere il veicolo destinato alla rottamazione, ha iniziato a rovistare al suo interno.

I carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Marcianise, che hanno assistito alle operazioni di recupero, si sono accorti che la donna, dopo aver prelevato un proiettile dal tappetino del passeggero, ha cercato di liberarsene gettandolo a terra.

Nell’immediato, dopo averla fatta allontanare dall’auto, i militari hanno recuperato il proiettile ed eseguito una minuziosa perquisizione rinvenendo, nella consolle centrale, un caricatore monofilare con cinque proiettili calibro 380 auto, mentre tra l’imperiale e la parte sottostante della cappotta dell’auto, hanno rinvenuto una pistola calibro 9 corto, con parti arrugginite.

L’arma ed il suo munizionamento sono stati sottoposti a sequestro mentre la donna è stata accompagnata in caserma e denunciata in stato di libertà.

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CHIP SOTTOCUTANEO FA RECUPERARE L’UDITO

L’equipe della Chirurgia funzionale dell’orecchio diretta dal dottor Daniele Frezza dell’Ospedale Ca’ Foncello di Treviso ha ridato l’udito ad un paziente di 55 anni grazie all’impianto di un microchip sottocutaneo. Il plauso del Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia.

KappaelleNet

(Fonte: Kappaelle.net – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

Bagnoli Irpino. ‘Costruire e recuperare’: Curcio, capo dipartimento Protezione civile apre il doppio convegno

Il capo del dipartimento di Protezione Civile nazionale, Fabrizio Curcio, inaugurerá il convegno “Costruire Recuperare” – patrimonio edilizio e infrastrutturale: riqualificare per dare sicurezza.

Un parterre di esperti si confronterà nei giorni 21 e 22 settembre a Bagnoli Irpino (AV) per offrire soluzioni operative per introdurre l’obbligo di interventi per la messa in sicurezza degli edifici e per la riqualificazione energetica.

Si svolgerà il 21 e 22 settembre a Bagnoli Irpino (AV) il convegno “Costruire Recuperare”. Patrimonio edilizio e infrastrutturale: riqualificare per dare sicurezza, promosso dal Centro Studi Edilizia Reale e ISI – Ingegneria
Sismica Italiana.

In collaborazione con nove ordini professionali e Anaci, con il patrocinio di nove associazioni, oltre agli sponsor internazionali, i promotori sfidano il superamento dell’approccio teorico, per affrontare la necessità di mitigare il rischio sismico con soluzioni pratiche.

Sarà il Capo della Protezione Civile Ing. Fabrizio Curcio, ad inaugurare il confronto nazionale della prima sessione di giovedì 21 settembre, con interventi in presenza o in videoconferenza sul tema “Rischio sismico e idrogeologico del territorio”.

L’evento gratuito – con iscrizione obbligatoria solo online – prevede due giorni di lavori che verteranno su quattro temi principali: PNRR-Lavori Pubblici e Codice degli Appalti, Rigenerazione Urbana, Progettazione e
Riqualificazione Infrastrutturale, Quadro generale del patrimonio edilizio e infrastrutturale, a cui faranno seguito tavole rotonde di approfondimento e confronto.

Un ampio parterre di accademici, tecnici e aziende all’avanguardia tecnologica faranno quadrato intorno ad una proposta articolata.

L’obiettivo del Convegno, condotto e moderato dall’Ing. Braian Ietto, è quello di sensibilizzare il Governo, a fronte delle nuove politiche europee, ad abbinare in maniera indissolubile gli interventi di riqualificazione energetica con quelli di carattere sismico, soprattutto nelle aree a maggiore rischio.

Inoltre, il Centro Studi Edilizia Reale e ISI – Ingegneria Sismica Italiana sottoporranno agli addetti ai lavori, per discuterne e analizzarla insieme, la proposta di legge avanzata nel 2019, illustrata in Parlamento dall’On. Michele Giardiello sull’istituzione di un “Programma nazionale per l’assicurazione obbligatoria degli edifici privati contro i danni derivanti da calamità naturali”.

Il progresso che sta attraversando il settore edile guarda con particolare interesse alle evoluzioni tecnologiche che di qui a breve dovranno intercettare le urgenze strutturali e infrastrutturali del Paese, a partire dalla sicurezza sismica degli abitati. Per questo, il convegno di Bagnoli Irpino, apre una lunga serie di incontri e dibattiti in tutta Italia.

Costruire Recuperare. Patrimonio edilizio e infrastrutturale: riqualificare per dare sicurezza ha ottenuto il Patrocinio di ANCE.

(Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)