Parlamento Ue: eletta la “macchina organizzativa”. Due italiane tra i vicepresidenti

(Strasburgo) Nella prima sessione plenaria della decima legislatura del Parlamento europeo a Strasburgo, dopo aver riconfermato a larghissima maggioranza la presidente uscente Roberta Metsola, i 720 eurodeputati hanno designato ieri anche i 14 vicepresidenti, che, insieme ai 5 questori che saranno votati oggi, costituiranno l’Ufficio di presidenza del Parlamento stesso.
Elette due italiane. Pina Picierno (eurodeputata Pd, del gruppo Socialisti & democratici, S&D) – che da vicepresidente uscente ha presieduto la plenaria in cui è stata riconfermata Metsola – già al primo scrutinio ha raccolto 405 preferenze (ne servivano 333), risultando quinta nell’ordine di precedenza. Al secondo turno di votazioni, invece, è stata eletta Antonella Sberna (di Fratelli d’Italia, alla sua prima esperienze in Europa, seduta tra le fila dei Conservatori e riformisti europei – Ecr): per lei 314 voti (ne servivano 305) e il tredicesimo posto nell’ordine di precedenza. Gli altri eletti al primo ballottaggio sono Sabine Verheyen, tedesca, espressione del Partito popolare europeo (Ppe), prima degli eletti con 604 preferenze. Seguono la polacca Ewa Kopacz (Ppe) con 572 voti; lo spagnolo, sempre del Ppe, Esteban González Pons, terzo con le sue 478 preferenze; quindi, la tedesca Katarina Barley, del gruppo S&D, con 450 voti; quinta, come detto Pina Picierno; sesto il romeno, anch’egli S&D, Victor Negrescu, che ha raccolto 394 preferenze; settimo, con un solo voto di scarto (393) lo slovacco Martin Hojsik di Renew (liberali). S&D ha espresso altri due vicepresidenti, staccati di una sola preferenza: la danese Christel Schaldemose (378) e lo spagnolo Javi López (377). Dopo di loro la belga Sophie Wilmès, di Renew (371 voti); e il romeno Nicolae Stefanuta (Verdi), che ha raccolto 347 preferenze. Al primo turno hanno votato 701 parlamentari (665 le schede valide), che potevano scrivere, sulla scheda, da 8 a 14 nomi a scelta fra i 17 candidati che si erano presentati. Il primo scrutinio (la soglia per l’elezione era 333 voti) ha indicato 11 vicepresidenti. Gli ulteriori 3 sono stati scelti fra i 6 rimasti in corsa.
Il secondo scrutinio. Al secondo scrutinio hanno votato 674 deputati (che potevano scrivere fino 3 nomi sulla scheda). I voti validi sono stati 609: la soglia per l’elezione era 305. Sono dunque stati eletti il lettone Roberts Zīle, di Ecr (per lui 490 voti, che significano dodicesimo posto nell’ordine di precedenza); la già citata Antonella Sberna; e, al quattordicesimo posto, il francese Younous Omarjee (della Sinistra) con 311 preferenze. I due candidati di “Patrioti per l’Europa” e la candidata di “Europa delle nazioni sovrane” si sono fermati molto al di sotto della maggioranza necessaria all’elezione.
I cinque questori. Oggi si procede alla scelta dei 5 questori, con gli stessi criteri adottati per i vicepresidenti. I candidati, sei, sono Marc Angel (S&D), Fabienne Keller (Renew), Andrey Kovatchev (Ppe), Miriam Lexmann (Ppe), Pál Szekeres (Patrioti per l’Europa), e Kosma Zlotowski (Ecr).
La macchina organizzativa. Vicepresidenti e questori sono espressione dei gruppi e degli equilibri che hanno portato all’elezione della presidente del Parlamento europeo. Essendo parte dell’Ufficio di presidenza (che si riunisce oggi alle 18.15), sono chiamati ad assolvere compiti di responsabilità. L’Ufficio, infatti, stabilisce le norme per il corretto funzionamento del Parlamento, ne elabora il progetto preliminare di bilancio e decide in materia amministrativa, di personale e di organizzazione. Il portafoglio di ciascun vicepresidente e questore è attribuito dalla presidente in base alle specifiche responsabilità all’interno dell’Ufficio di presidenza. I vicepresidenti, infine, sostituiscono la presidente nel presiedere le discussioni in aula e nel rappresentare il Parlamento in cerimonie o, se necessario, in atti specifici. I questori, invece, membri dell’Ufficio a titolo consultivo, si occupano di questioni amministrative che riguardano direttamente i deputati.
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Alcuni animali mettono becco dappertutto. Per esempio, nulla sembrerebbe più lontano dalla gru del geranio, eppure il nome di questa piantina significa “becco di gru”, per via della forma allungata dei suoi frutti. Inoltre “pedigree” viene dal francese pied de grue, perché quando si traccia una genealogia è facile che si crei uno schema a “piede di gru”, in cui tre linee si diramano da un solo punto.
Persino nel groviera sembra esserci lo zampino della gru, giacché trae il suo nome dal distretto della Gruyère, in Svizzera, il cui stemma è appunto una gru. Si narra infatti che quando un guerriero vandalo, Gruérios, arrivò in quella regione, una gru bianca si levò in volo davanti a lui. Egli, interpretandolo come un buon presagio, costruì lì il suo castello, dando origine alla dinastia dei conti di Gruyère.
Non tutto ciò che luccica, però, sa di groviera. Al contrario, questo infido formaggio si ammanta di molti falsi miti. Anzitutto – incredibile a dirsi – il groviera non ha buchi. In realtà non è neppure un formaggio, ma una famiglia di formaggi, che nacque in Svizzera ma divenne celebre grazie ai francesi. Il che ha generato un po’ di confusione con il formaggio francese Emmenthal (quello sì bucherellato).
Secondo: il groviera non piace granché ai topi. Questa è un’invenzione dei cartoni animati, data dal fatto che il groviera/Emmenthal è facile da disegnare e ben riconoscibile. Tuttavia, se un topino dovesse scegliere tra formaggio e cioccolato, sceglierebbe senza esitazione il secondo.
Terzo: il groviera non c’entra niente con le gru. I conti di Gruyère devono il loro nome al fatto che, tra i loro doveri, c’era anche la cura delle acque e delle foreste, detta gruerie; in pratica erano dei “conti forestali”. La gru comparve solo a posteriori, per una paraetimologia abilmente romanzata.
La leggenda, comunque, testimonia una generale stima nei confronti delle gru, che si estende non solo alla nostra tradizione ma anche a quelle asiatiche, in particolare a quella giapponese. L’orizuru, ossia l’origami a forma di gru, è la forma più celebre di quest’arte e si lega a una leggenda: poiché si diceva che le gru potessero vivere fino a 1000 anni, colui che riesce a creare 1000 orizuru potrà ottenere salute e prosperità.
Tale tradizione ha assunto un risvolto straziante a metà del Novecento. Una bambina giapponese, Sadako, si ammalò di una leucemia inguaribile, come molti bambini esposti alle radiazioni delle bombe atomiche. Decisa a guarire, la bimba si dedicò con grande diligenza a creare origami nel suo lettino d’ospedale, arrivando secondo alcune fonti a 1500. Purtroppo il suo desiderio non fu esaudito, ma da allora gli orizuru divennero un simbolo internazionale di pace.
Perfino l’uso più prosaico che si possa fare della parola “gru” porta in sé l’idea di qualcosa che solleva e costruisce. In effetti oggi capita più spesso di vedere delle gru nel senso meccanico del termine che non in quello ornitologico; ma c’è qualcosa di commovente nel pensiero che i primi a forgiare questi enormi macchinari li chiamarono con i nomi di ciò che gli era più famigliare, gli animali della campagna. Lo stesso peraltro si può dire del muletto, del cavalletto, della capriata, del martinetto (da Martino, che in diversi dialetti è un soprannome dell’asino). Anche in piena città si può trovare una fattoria intera… a saperla vedere.