Gangi (PA). ‘Archivi storici e studi di storia locale’: venerdì un convegno di Studi (tra Madonie ed Erei)
Promosso dal Comune di Gangi, Maggio dei Libri, BCsicilia e Società Operaia, si terrà venerdì 24 maggio 2024, dalle ore 16,30, a Gangi, presso la Società Operaia di Mutuo Soccorso in Corso Umberto I, 26 il Convegno di Studi “Archivi storici e studi di storia locale. Tra Madonie ed Erei: il patrimonio archivistico come risorsa per le comunità locali, stato e prospettive”.
Dopo i saluti istituzionali di Giuseppe Ferrarello, Sindaco del Comune di Gangi, sono previsti una serie di interventi di storici e ricercatori. Inizia lo storico Peppino Bongiorno con una relazione dal titolo “Archivi storici a Petralia Sottana: esperienze di ricerca e risistemazione archivistica e studi locali sull’età moderna nell’esperienza del compianto dott. Mascellino”, a cui farà seguito Lucia Macaluso, Storica, già Assessore alla Cultura del Comune di Petralia Sottana, che tratteggerà un ricordo dello storico madonita prof. Francesco Figlia: i suoi studi e le ricerche archivistiche.
Il convegno prosegue con Vincenzo Piccione d’Avola, già Responsabile dell’Archivio storico del Comune di Geraci Siculo, che affronterà il tema “L’Archivio storico comunale di Geraci Siculo: istituzione ed esperienze e metodi di riordino e catalogazione”, e con l’intervento di Mario Siragusa, Storico, Università Kore di Enna, che parlerà su “L’Archivio storico comunale di Gangi: tipologie documentarie, storia, patrimonio e prospettive”.
Le ultime relazioni saranno quelle di Filippo Falcone, Storico e dipendente MIUR, che affronterà il tema “Esperienze di riordino, di ricerca ed archivi privati nisseni”, e quella di Giuliana Maria Ferrara, Direttore dell’Archivio di Stato di Enna con un intervento dal titolo “Archivio di Stato di Enna. Il patrimonio documentario statale tra attività di conservazione e valorizzazione” Modera l’incontro Alfonso Lo Cascio, Presidente regionale di BCsicilia.
(Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)
Certe parole si usano con piacere ma ci fanno raccogliere solo l’impressione, la schiuma di un concetto. Giunte da distanze culturali a stento decifrabili, ci si presentano con un grande carisma e un grande mistero, e le interpretiamo cercando di usarle per qualcosa di nostro.
Già spiegare da dove derivi il termine ‘totem’ non è banale. È un termine che nasce in una lingua algonchina — famiglia linguistica di popolazioni native del Nord America, la cui collocazione rispetto alle altre famiglie linguistiche del mondo è oggetto di uno studio faticoso e ricco di incertezze. Fra queste lingue algonchine, una sotto-famiglia è quello delle lingue ojibwe, parlate da un omonimo popolo nativo, stanziato in origine grossomodo intorno ai Grandi Laghi, fra Canada e Stati Uniti.
In questa lingue esiste il termine che si può traslitterare come ototeman, che sarà raccolto dall’inglese come totem; il significato originale è spesso riportato come ‘segno del clan’ — ma più correttamente si dovrebbe dire ‘il suo segno di famiglia’, perché il significato proprio è ‘la sua famiglia, il suo gruppo’, anzi più precisamente ‘il suo essere fratello o sorella’.
Questo concetto ha acquistato uno spazio molto sfaccettato in antropologia, in psicologia, e col suo magnetismo è variamente percolato nel nostro parlare comune. All’origine della sua osservazione il totem è questo: un elemento naturale considerato capostipite del gruppo, radice comune — lontana e presente.
Facile che di qui diventi anche emblema del gruppo, e oggetto di venerazione, presenza positiva in diversi riti. Ma non ha solo una dimensione strettamente spirituale.
Prende il nome di totem anche l’oggetto fisico che rappresenti questo elemento (classicamente, ma non solo, un animale). Se abbiamo in mente i pali totemici, queste sono solo alcune delle espressioni del concetto, tipiche della costa pacifica nord-occidentale, dove grandi alberi si prestavano e si prestano particolarmente bene a sculture del genere.
Quindi abbiamo qualcosa che è perno spirituale di una comunità e della sua unità.
Noi comunemente disimpegniamo il totem, lo consideriamo in maniera più sportiva e superficiale, e spesso ne sganciamo la suggestione anche dalla dimensione del gruppo — lo coloriamo magari come uno spirito-guida, come un patrono.
Ad esempio l’amico parla di come il gatto sia il suo animale totem, ispiratore del suo modo di intendere il piacere e la convivialità. Nello scoutismo il totem è un nome di caccia che viene dato per sottolineare certe caratteristiche della persona, composto da quello di un animale e un attributo positivo — Castoro Generoso, Procione Solare e simili.
Ma il totem può essere anche un genere di feticcio ispiratore, emblematico, che è capace o sembra capace di radunare e dare unità, come quando il monumento controverso diventa il totem sotto a cui si raduna la gente del paese, o quando parliamo dei totem di una particolare ideologia, o del totem di un ingrediente o di un piatto di una cucina tradizionale. Davvero un uso affascinante. Peraltro si avvicina all’idolo, ma il totem ha una matrice più univocamente simbolica.
Il totem però ha anche un’altra sorte, che lascia perdere ogni profondità e pesca come suo elemento distintivo la verticalità e il fatto che abbia sopra qualcosa. Al punto informazioni ci dicono di prendere il numerino al totem, o leggiamo le informazioni riguardo alla mostra sul totem all’ingresso. Certo rende queste postazioni un po’ più accattivanti, ma senza grande senso.
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