Da oltre vent’anni, lo chef Stefano Baiocco esprime la sua filosofia di cucina d’autore tra le mura storiche della lussuosa villa secolare, Villa Feltrinelli un giardino diffuso lungo la passeggiata verso Gargnano.
L’architettura secolare conserva il piglio old money degli anni ’20 condensata ad arredi di gusto francese. Soffitti
a cassettoni, scalinate e drappeggi di fiori si specchiano – e qui il senso figurato non è quasi necessario – sulle sponde del lago di Garda consacrando questo albergo tra i più fastosi e eleganti della zona. Una location che serve a saziare l’animo e dove ci si accontenterebbe di mangiare anche pane, formaggio e vino della casa. Eppure, dietro le porte dell’ingresso, impera da ormai un ventennio il genio culinario dello chef Stefano Baiocco, il cui destino ormai costituisce un unicum con quello del ristorante della Villa.
Gli amuse bouche suggeriscono quale sarà la consecutio temporum dell’intero pasto: un sodalizio tra i fondamentali della cucina d’Oltralpe e lo stile personale del cuoco anconetano. Il menu è scevro dall’ormai gettonassimo studio dei vegetali se non in poche preparazioni come la iodata Lasagna al plancton, indovinata revisione dell’originale In carta, la vera raison d’être è occupata da Rombo in consistenze contornato da superbe guarniture e un omaggio all’Oriente con Trota poché, zuppa di cocco e germoglio di canna fermentato. (di Alberto Cauzzi, Fiorello Bianchi,Carlo Carnevale)
Ciclicamente, come fosse una scoperta
nuova invece di un problema
quasi genetico, si leggono allarmi
sulla crisi della ristorazione. Soltanto
nel corso dell’ultima settimana più
voci lamentavano, tra le concause
del disastro, della troppa “improvvisazione”:
ebbene, nulla di più vero,
ma neanche di più superficiale.
Manca, infatti, concretezza da
entrambe le maggiori parti in gioco.
Si continua a vedere la ristorazione
come una gallina dalle uova d’oro,
che richiede un discreto gruzzolo
di partenza e poco altro per poter
essere perseguita. Tutti gli aspetti
manageriali, gestionali, analitici,
di proiezione, di ottimizzazione
tipici di una qualsiasi azienda di un
qualsiasi altro segmento, sembrano
perdere d’importanza quando si
tratta d’aprire un locale di ospitalità.
Ed è qui che l’improvvisazione fa i
suoi danni: pensare che “tanto cosa
di vuole a fare due caffè”, come si
è fatto per decenni, si sta finalmente
rivelando uno tra i mali meno
estirpabili da fronteggiare. A ciò si
aggiunge l’improvvisazione di chi
nel settore lavora quotidianamente:
essere professionista di sala, bartender,
cuoco, sommelier richiede
formazione costante e dedizione
che non si raccolgono sugli alberi.
È indubbio che molto ci sia da fare
sul piano delle condizioni lavorative
(salario, ore, inquadramento), ma
non ci si può nascondere dietro al
dito delle inottemperanze formali,
quando i primi a non rispettare
l’impegno che il sistema richiede
siamo noi stessi. È un cane che si
morde la coda: finché non cambierà
l’approccio al settore, che merita
maggiore serietà, non si avrà la possibilità
di sedere ai tavoli decisionali,
e di conseguenza le condizioni non
cambieranno. Purtroppo, però, vale
anche l’inverso.
(Carlo Carnevale, Coordinatore editoriale digital de Le Guide de L’Espresso)
La tradizione giamaicana si fonde con la cultura montana
dello chef Michele Lazzarini, ex braccio destro di Norbert
Niederkofler, oggi alla guida di Contrada Bricconi
Contrada Bricconi è un bellissimo progetto, pensato per far rivivere
la montagna, ridando vita ad un borgo del XV secolo, in Val
Seriana. È la Contrada della Bellezza per il posto, incantevole, per
come il borgo è stato ristrutturato, per il concept architettonico della
stalla e del caseificio, per il design degli interni. Si produce in casa
il più possibile e si supportano piccoli produttori locali. Tutto è attentamente
pensato, in una logica di economia circolare: si lavora
sulla sostenibilità, vera, a 360 gradi, che qui è uno stato mentale,
uno stile di vita. La cucina è affidata a Michele Lazzarini,
talentuoso ex braccio destro di Niederkofler, tornato a casa per
raccontare il lavoro agricolo e la cultura della montagna, dando
vita a piatti di grande impatto. Continua a leggere sul sito
CONTRADA BRICCONI, Via Bricconi 3, Oltressenda alta (BG), Tel. +39 3515489493. contradabricconi.it
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WEEKLY ENJOY – IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
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BRUNO BARBIERI
“Lo chef è un mestiere che devi sentirti
veramente nell’anima.”
Bruno Barbieri potrebbe non aver bisogno di presentazioni.
Tra i personaggi di cultura generale, è coniatore
di termini gastronomici ormai goliardicamente di uso
comune, amante di completi che indossare con quel
savoir faire è qualità destinata a pochi, conduttore, scrittore
di libri culinari. Eppure, seppur labile, il confine tra il
personaggio e l’uomo è ancora lì.
L’iniziazione avviene in casa su ferree basi di paste
ripiene e tagliatelle al tartufo grazie al primo mentore: la
nonna. Ha continuato spadellando in una scuola alberghiera
di Bologna, militato sulle navi da crociera per poi
approdare ad Argenta diventando membro dell’ A-team
culinario capitanato dal visionario Giacinto Rossetti.
Se l’amore viscerale per i tortellini che affogano nel brodo
ne tradisce le origini, lo chef subisce il fascino della
cucina libanese ed orientale, costruita sul passaggio
dei popoli che ne hanno occupato le terre. La pellicola
che gli ha catturato l’esistenza è Il pranzo di Babette
e le passeggiate in spiaggia rappresentano il miglior
defaticante. Entrando al Trigabolo – il fu pizzeria e poi
epicentro culinario nazionale – fece un voto: si chiuse la
porta della cucina alle spalle e gettò la chiave. Li per lì
nemmeno troppo in senso figurato.
Persona di struttura e dalle convinzioni nette, fin da subito
sceglie il fuoco delle padelle al focolare.
É chef di brigata di ristoranti che ha aperto e ceduto.
É emigrato in Brasile, a Londra e Andy Warhol ha
assaggiato la sua arte.
Prima che lo schermo piatto lo consacrasse a personaggio
mediatico, prima dei canali social con i video da 15
secondi, prima delle dirette, prima delle ricette con il link
cliccabile c’è stata la scelta di un uomo che si è consegnato
alla sua vocazione trasformandola in cucina 4.0.
In barba a ciò che è capitato ad Icaro, una volta raggiunto
il sole, cos’altro c’è ancora
Giraudi (giraudi.it) nasce nel 1907 a Castellazzo Bormida
(Alessandria) come mulino e forno per la panificazione;
negli anni ’60 l’attività si amplia con l’apertura di un bar-pasticceria
in Corso Roma e qui viene dato inizio alla produzione
di alcune specialità a base di cioccolato. Ma è negli
anni ‘80 che Giacomo Boidi, nipote di Giovanni Battista
Giraudi, decide di concentrare la propria attività sul cioccolato,
approfondendo i temi legati alla lavorazione del cacao
con Jean Pierre Richard, Meilleur Ouvrier de France nel
1990, studioso del cacao e, in particolare, dei metodi di
preparazione della ganache (la crema nata in Francia nel
XIX secolo , anche detta “parigina”, a base di cioccolato e
panna, spesso con l’aggiunta di burro).
Giacomo Boidi diventa così Membre Correspondant dell’Académie
Française du chocolat et de la
confiserie e inizia un percorso di ricerca
delle migliori materie prime
per la creazione di prodotti di
eccellenza: tra questi, spiccano
i Pentagoni e i Petali,
i primi cioccolatini a cinque
facce ripieni di creme golose e
i secondi sfoglie di cioccolato dure
o ripiene; i Mandrugnin, cioccolatini
fondenti ripieni di liquori e distillati; i Nocciolini,
sfere ripiene di creme di frutta secca; i Croccantelli, barrette
ripiene di cremino e croccante di nocciola Tonda Gentile
Trilobata del Piemonte e ricoperte di cioccolato fondente; i
Cremini e i Gianduiotti, anche nel formato grande fino a
1,5 kg.; i Dragèe di cioccolato al latte, fondente, al caramello
o bianco, ripieni di croccante di frutta secca, fave di
cacao o caffè.
Senza dimenticare alcuni protagonisti principali: il gianduja,
realizzato con massa di cacao Trinitario del Venezuela, declinato
magistralmente nella Giacometta, crema spalmabile
al cioccolato e nocciole della varietà Tonda Gentile Trilobata
(anche nelle versioni con pistacchi selezionati siciliani e
cioccolato fondente) e le Selezioni e i Napolitain, tavolette
e piccoli quadrati di cioccolato monorigine lavorato con
raffinati processi di miscelazione e delicato concaggio. Tra
i molti premi e riconoscimenti ricevuti da Giraudi, mi piace
ricordare quello recentissimo attribuitogli da Il Golosario,
nell’ambito dell’edizione del 2023 di Golosaria dal tema “La
Tradizione è innovazione”, che ha classificato Giraudi tra i
100 produttori rappresentanti “una storia di qualità italiana”.
GIRAUDI: ARTE DOLCIARIA
A CASTELLAZZO BORMIDA
CIOCCOLANDIA di Antonio Franchi
PERSONAGGI
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Passione e impegno sono state il carburante per farvi scoprire
LE ECCELLENZE ASSOLUTE DELLA RISTORAZIONE ITALIANA.
È la scenografica infiorescenza non ancora matura della pianta
Brassica oleracea, il broccolo, autentico concentrato di preziosissime
virtù benefiche. Un ortaggio italiano al cento per cento,
originario del Sud, già molto amato dagli antichi Romani che
crearono la prima varietà di broccolo, il calabrese – quello le cui
infiorescenze laterali, i broccoletti, sono ottime per insaporire la
pasta dopo una passata in padella con un filo l’olio, acciughe e
peperoncino.
Accanto al calabrese e al celebre romanesco, verde squillante
e spettacolare forma piramidale, il nostro territorio offre tante
varietà di nicchia di questo super food, chicche agroalimentari
coltivate in tutta la penisola. Negli orti affacciati sulle sponde
meridionali del Garda, il broccolo di Torbole, matura in pieno
inverno beneficiando del mite clima lacustre e delle brezze di Ora
e Pelér. Varietà dal gusto delicato, in cottura non libera il tipico
odore pungente ed è squisito fritto o in versione “cremosa” abbinato
a formaggi, oppure lessato e ridotto in tocchetti ad esaltare
la carne salada o il pesce di lago sotto sale.
Sulle moreniche colline di Custoza, nel Veronese, se ne coltiva
una qualità d’inconfondibile dolcezza. Raccolto ai primi freddi, il
broccoletto di Custoza è versatilissimo; si presta a pesti e sott’aceti,
se non impiegato per ghiotti risotti o vellutate, fritto in pastella
o gratinato; la gente del luogo lo ama bollito e condito con olio e
sale, gustato insieme a uova sode, salame o salsiccia fresca.
L’aprilatico di Partenopoli, in Campania, dal sapore più deciso, ha
cime croccanti se crude, gradevolmente polpose e amarognole
dopo la cottura paternese che lo vuole sposato a sarde, aglio
e limone; è ideale nel pancotto o abbinato alla carne di maiale
come da tradizione locale.
Imperdibile rarità il cavolfiore di Moncalieri, arrivato in Italia con
i Savoia e coltivato a ridosso della Collina di Torino. Piccino e
compatto, cromia avorio e odore delicato, è ottimo bollito o fritto,
accostato alla salsa tipica del posto, la bagna cauda, ma anche
crudo in insalata, insaporito con olio e parmigiano, sale e pepe.
Calabrese o
romanesco, di
Torbole o di
Moncalieri.
La famiglia
di questi
ortaggi offre
mille varietà,
valorizzate da
ricette regionali
L’esperto svela tutti i segreti per
preparare e gustare al meglio gli
ingradienti della settimana.
LE BUONE COSE…
di ANDREA
GRIGNAFFINI
BELPAESE
DEI BROCCOLI
WEEKLY ENJOY – IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
Bianchi, rossi e rosati che uniscono con maestria Malvasia
del territorio a Sangiovese o Sauvignon: Cantina De Biase
ne fa di tutti i colori
Tra le novità più suggestive del movimento vitivinicolo lucano –
tradizione che vanta testimonianze fin dai tempi degli Enotri – c’è
indubbiamente Cantina De Biase, la creatura di Laura Marino
e Giovanna De Biase. Nasce nel 2009, nel comune di Castronuovo
di Sant’Andrea, nell’entroterra di quell’oasi mozzafiato
che è il Parco Nazionale del Pollino, che, abbracciando due
Regioni e tre Province, è l’area protetta più estesa della Penisola.
Territorio collinare-montuoso, certo, ma di impressionante varietà
geologica, completata da forti escursioni e naturale biodiversità:
tutte caratteristiche ideali per la produzione di alto livello. Il lavoro
è stato impostato proprio sulla campagna, con una gestione
non interventista, successivamente approdata alla certificazione
biologica. In cantina, invece, dove è determinante l’operato del
giovane, ma già affermato, enologo Fabio Mecca, l’obiettivo
è quello di accompagnare, mai sovrastare. Viste le premesse,
ed aiutati dalla “nuova” denominazione Grottino di Roccanova
DOP, nata proprio nel 2009, non si poteva che puntare alla qualità.
Un lavoro che si destreggia tra bianchi, rossi e rosati, dove ai
vitigni del territorio, come Malvasia Bianca e Nera di Basilicata,
sono accostati internazionali come il Sauvignon o il Cabernet ed
extra-territoriali come Montepulciano e Sangiovese, come nel
caso dell’Ursolei Bianco o del Donnalucana Rosato. La viticoltura
è un caleidoscopio di imprevedibile ricchezza, l’obiettivo di
Cantine de Biase è quello di esplorarlo, senza porsi limiti.
GROTTINO DI
ROCCANOVA
DOP ROSSO NETTARE
DELL’ENOTRIA 2021
CANTINE DE BIASE
Contrada Calvello, SP89 km 2+800
Roccanova (PZ)
Tel. 348 9580264
cantinedebiase@gmail.com
Conosciuto anche come The Wine Killer,
grazie al successo del suo sito, redatto
interamente in lingua inglese e dedicato
alle sue degustazioni di vini da tutto il
mondo, GardiniNotes.com, Luca Gardini
è oggi uno stimato wine-critic a livello
internazionale.
IL BUON VINO…
di LUCA GARDINI
CALEIDOSCOPIO
IN LUCANIA
PUNTEGGIO 93/100
prezzo €
Un avvincente blend di
Sangiovese, Cabernet,
Malvasia Nera di Basilicata
e Montepulciano capace di
sintetizzare impagabilmente
un territorio. Lampone rosso al
naso, con sfumature di tiglio,
sottobosco e ricordi di alloro.
Alla beva succoso-salmastro,
grande persistenza, con
richiamo delle sensazioni di
piccoli frutti e sentori officinali.
Impossibile pensare ad un
abbinamento migliore che con
una tradizionalissima pignata.
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CLUB MED
IL NUOVO “PINK DIAMOND”
DELLA MAISON ITALIANA
THE ITALIAN TRAVELLER di Chiara Buzzi
WEEKLY ENJOY – IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
vari distretti della capitale e offrono un ventaglio ampissimo di servizi
di alto profilo. Il Tokyo Midtown Yaesu è una delle più recenti
costruzioni realizzate dal leader giapponese nel real estate Mitsui
Fudosan co., Ltd. e la sua torre / grattacielo sta velocemente diventando
un nuovo simbolo della città. Dal quarantesimo al quarantacinquesimo
piano, l’esclusività di una delle viste più alte di Tokyo è stata
conquistata dalla recente apertura del nuovo Tokyo Bulgari Hotel.
Con un accesso su strada particolarmente nascosto e non semplicissimo
da raggiungere di primo acchito, l’arrivo al piano accoglie
l’ospite con una grandiosità degli spazi difficilmente visibile altrove.
I soffitti sono altissimi, le luci calde, le pareti rivestite di tessuti a tromp
l’oeil con efficaci illusioni ottiche giocate nella suddivisione degli spazi.
La vista sulla città, a trecentosessanta gradi, è incredibilmente potente
e presente ogni camera, grazie a vetrate a tutta altezza e lungo
tutto il perimetro.
Gli interni sono stati pensati come un gioiello, con la stessa dedizione
verso l’oggetto unico, raro e prezioso ma con l’idea di creare un
connubio sobrio, elegante e decisamente lussuoso. Gli arredi sono in
parte firmati Maxalto, B&B Italia, Flexiform per premiare la manodopera
e l’artigianalità italiana ma sono stati i dettagli e le atmosfere
che evocano i principi della filosofia wabi-sabi e i canoni dell’architettura
giapponese contemporanea. Continua a leggere sul sito
Lusso, cultura, tradizione italiana: una destinazione imperdibile
nella capitale giapponese, ecco il nuovo Tokyo Bulgari
Hotel
Nel marasma di immobili più o meno ordinato che abita il centro della
capitale giapponese, è spesso normale ritrovarsi al terzo, quinto,
settimo piano di un edificio apparentemente anonimo ma seduti in
un locale di incredibile qualità. La concezione dello spazio, a Tokyo,
non segue le regole che conosciamo e che adottiamo in Italia. La
percezione della socialità è differente, per un gap culturale, per abitudini,
per necessità. Difficile da paragonare e mi permetto, di dire
anche sbagliato. Tralasciando l’ostacolo della lingua – cui se siete
viaggiatori minimamente esperti si può in qualche modo ovviare con
un po’ di scaltrezza e disinibizione – decifrare indirizzi e orientarsi nel
reticolo di vie, insegne luminose, vicoli e vicoletti è sfidante per tutti.
Quando finalmente si arriva a capire dove si trova l’ingresso desiderato
si resta molto spesso increduli, tanto che siate alla ricerca di un
ristorante o di un cocktail bar premiato, quanto se siete diretti verso
il vostro hotel. Nel piano cittadino di riqualificazione di determinati
distretti, valorizzazione di altri, nuove costruzioni e investimenti, edificare
a strati non è qualcosa di poi così pazzo. Le realtà si sviluppano
più in altezza che per superficie occupata per cui in un singolo
grattacielo potrebbe capirvi di partire dal piano interrato per arrivare
al ventesimo piano incontrando sempre qualcosa di diverso. Davanti
alla stazione ferroviaria di Marunouchi, in posizione nevralgica
perché nei pressi del Palazzo Imperiale e a pochi minuti dal distretto
commerciale di Ginza, sorge uno dei complessi ultramoderni noti
come Midtown.
Più di un centro commerciale, più di un complesso architettonico, questi
aggregatori ultramoderni di umanità sono sempre più diffusi nei
WEEKLY ENJOY – IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
BENTLEY
LOUNGE
COME A BORDO
DI UNA SUPERCAR
sitamente per l’albergo di lusso capitolino, impiegando pelle riciclata in ogni
fase della produzione sartoriale. Su ogni prezioso oggetto è impresso il logo
della casa automobilistica, mentre ai piedi dell’albero sono esposte delle piccole
confezioni regalo trasparenti che contengono le miniature delle sedute più
iconiche di Bentley Home.
Intorno a questa sfavillante opera d’arte natalizia si sviluppa la Bentley Lounge,
con gli arredi del brand di lusso dalle sedute ampie e confortevoli, dove abbandonarsi
sorseggiando un drink o semplicemente leggendo un libro in totale
relax. Marmo Calacatta e Valentine Grey caratterizzano gli elementi di arredo
scelti per la lobby, insieme a lana e velluto decorati con pattern classici e nuove
stampe. Le poltroncine Ramsey mostrano le loro curve sinuose, insieme alle
Mere Armchair con la struttura lignea. Gli ampi divani della serie Bayton firmati
da Carlo Colombo richiamano il mondo dell’automotive con la scocca piena
in essenza e le imbottiture che aderiscono alle curve affusolate. Completano il
mood della Bentley Lounge le poltrone e i divani Wickham dalle linee sinuose,
con una forma continua che abbraccia tutta la seduta, dall’aspetto scultoreo.
Pezzo forte dell’esposizione è però il bar cabinet Harrow, scrigno prezioso che
contiene i migliori distillati. All’esterno ha bordi smussati a 45°, mentre all’interno
spiccano top e schienali in marmo e ripiani in vetro temperato extrachiaro,
pronti ad accogliere bottiglie di spirits preziosi. Continua a leggere sul sito
Per tutto il periodo natalizio, all’interno di Anantara
Palazzo Naiadi Rome Hotel, il Lobby Bar si
trasforma in una Bentley Lounge con preziosi arredi
firmati dal brand del Luxury Living Group e
speciali cocktail all’ora dell’aperitivo
I viaggi delle feste che portano nelle migliori località
di montagna o nelle ancora assolate regioni
del sud, sono più comodi a bordo del lusso
confortevole di una Bentley. La casa automobilistica
britannica con oltre cento anni di storia, da
sempre affascina gli amanti delle autovetture che
vogliono coniugare un design all’avanguardia
con prestazioni tecniche da pista.
Grazie alle sue linee inconfondibili, il brand ha
anche lanciato collezioni per l’interior design con
Bentley Home, parte di Luxury Living Group,
portando nelle case e nelle lounge più sofisticate
la stessa attenzione per il dettaglio e il comfort
che si trova negli abitacoli delle supercar.
Con un concept che richiama costantemente
il tema del viaggio, al motto di “Extraordinary
Journeys” Bentley Home personalizza, per tutto
il periodo delle feste, il Lobby Bar del cinque
stelle Anantara Palazzo Naiadi Rome Hotel.
Immerso nello stile neoclassico del palazzo, con i
suoi soffitti altissimi, spicca un albero addobbato
con stelle natalizie e ghirlande in cuoio realizzate
dal brand di design. Ogni elemento che decora
l’abete è realizzato su misura e progettato appo-
(ALMENO) UNA VOLTA NELLA VITA
di Penelope Vaglini
BLEND CRIOLLO 80% – PREMIO TAVOLETTA D’ORO 2023 PER LA CATEGORIA “CIOCCOLATO FONDENTE”.
CINQUE HOTEL
PER CINQUE
STORIE
MISCELATE
I bar d’albergo sono da sempre
luoghi ammantati di energia propria,
simboli di ospitalità di eccellenza.
E nel corso dei decenni hanno dato
vita a cocktail o leggende che vale la
pena di assaggiare almeno una volta
Il Natale è ormai alle porte, e i tradizionali
festeggiamenti in famiglia sono
già marcati in calendario. C’è però chi,
avendone la possibilità (o magari solo
il comprensibile desiderio di essere
lontano dai propri parenti), ha scelto le
feste di fine anno per un viaggio oltreconfine.
Ebbene, qualora foste ancora
in cerca di una sistemazione o di una
tappa responsabilmente alcolica per
il vostro viaggio, sappiate che sparsi
per il mondo potete trovare alberghi
che hanno letteralmente fatto la storia
della miscelazione. Tanto da trasformarsi
più in luoghi di pellegrinaggio,
che di (oggettivo) buon bere, ma una
volta lì, mancare una visita sarebbe un
peccato.
Savoy Hotel – Londra
Chi della miscelazione ha fatto la propria
professione, e si spera la propria
passione, sa che il lobby bar del Savoy
di Londra occupa un posto senza paragoni
sulla cartina del bere mondiale. Il
bartender dell’epoca, Harry Craddock,
nel 1930 mandò alle stampe il
Savoy Cocktail Book, raccolta di 750
ricette cristallizzatasi come Bibbia
del bartending contemporaneo: è di
fatto in questo volume (che va detto, a
tratti copia sfacciatamente pubblicazioni
precedenti ma di non altrettanto
successo) che affondano le radici delle
miscele di oggi. E a tornare ancora più
indietro nel tempo, si scoprono ulteriori
pietre miliari: nel 1925, la prima head
bartender donna (cosa pressoché
impensabile per l’epoca), Ada Coley
Coleman, mise la sua firma sul cocktail
Hanky Panky, realizzato per l’attore
sir Charles Hawtrey e forte di una minuscola
dose dell’italianissimo Fernet
Branca. Continua a leggere sul sito
COCKTAILS & DREAMS
di Carlo Carnevale
WEEKLY ENJOY – IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
L’UOMO DEI GELATI
FIRMATO VAN HALEN
Ice cream man (L’uomo dei gelati) è la traccia numero dieci del primo omonimo album
dei Van Halen pubblicato il 10 febbraio del 1978
GASTROCKNOMIA di Giovanni Aragona
Chi di voi non ha mai mangiato un gelato nella propria vita non è di questo mondo.
Attenzione, affondiamo il colpo e oggi vi raccontiamo di una delle figure più dolci
e al contempo retro nostalgiche della storia: l’uomo dei gelati con il carretto.
Figura ormai mitologica, era letteralmente svanito dalle strade e dalle piazze delle
nostre città, e i nostri nonni ne narravano le gesta con un velo di profonda malinconia.
Gli anni passano, inesorabilmente, e i ricordi toccano anche i cuori più freddi:
le vacanze al mare, come in un film di Luchino Visconti e l’arsura dei bambini con i
sandali. L’uomo con i carretti ambulanti è tornato per la gioia di nonni e nipoti.
In tempi di digitalizzazione, social, metaverso, intelligenza artificiale e futurismo,
sono tornati con carrettini colorati, motori elettrici e in E-Bike. Il revival del carrettino,
sospeso nel tempo, prova a rivivere anche in epoche d’avanguardia e l’episodio
odierno di GastRockNomia affonda il colpo raccontandovi di un brano che
celebra questa meravigliosa figura: Ice cream man (L’uomo dei gelati) è la traccia
numero dieci del primo omonimo album dei Van Halen pubblicato il 10 febbraio
del 1978.
L’album inizialmente continuò a vendere in maniera costante negli anni successivi
con l’aumentare della popolarità della band, fino ad ottenere la certificazione
di disco diamante dalla RIAA nel 1996 per le oltre dieci milioni di copie vendute
negli Stati Uniti. La canzone celebra il gelato ma più precisamente è l’apologia della
figura mitologica dell’uomo dei gelati su di un carretto. Il brano, ha contribuito in
modo decisivo allo sviluppo di ciò che ha reso la band seminale: mescolare l’hard
rock all’heavy metal con testi scanzonati e leggeri. Anche questo brano è citato
come fonte di ispirazione da una moltitudine di chitarristi per la capacità innata di
Eddie Van Halen, all’anagrafe Edward Lodewijk van Halen, di suonare brani semplici
in chiave virtuosa. Il debutto della band, e di questo brano, è considerato una
delle pietre miliari della musica heavy metal. Il gelato per i bambini è svezzamento,
e, abbinare questa canzone a questo alimento è metafora precisa: svezzate i vostri
pargoli facendo loro ascoltare valida musica e non ve ne pentirete.
WEEKLY ENJOY – IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
TESTO
Now summertime’s here babe,
need somethin’ to keep you cool
Ah now summertime’s here babe,
need somethin’ to keep you cool
Better look out now though,
Dave’s got somethin’ for you
Tell ya what it is
I’m your ice cream man,
stop me when I’m passin’ by
Oh my my, I’m your ice cream man,
stop me when I’m passin’ by
See now all my flavors
are guaranteed to satisfy
Hold on a second baby
I got good lemonade, ah, dixie cups
All flavors and push ups too
I’m your ice cream man, baby,
stop me when I’m passin’ by
See now all my flavors
are guaranteed to satisfy
Hold on, one more
Well, I’m usually passin’ by
just about eleven o’clock
Uh huh, I never stop, I’m usually passin’ by,
just around eleven o’clock
And if you let me cool you one time,
you’ll be my regular stop
All right boys
https://guideespresso.it/wp-content/uploads/2023/09/SITO1-3.jpg
Si parla da tempo di emergenza di sala, del
fatto che le nuove generazioni non siano così
appassionate del lavoro di sala, che lo chef è
la star e la figura centrale a cui tutti ambiscono,
mentre invece un fulcro importante della fortuna
di un ristorante è anche e soprattutto il grande
lavoro di accoglienza che si opera nella sala
del ristorante, dove nasce e finisce l’esperienza
principale. Abbiamo deciso di creare questa rubrica
non per parlare dei soliti argomenti ma per
chiedere agli uomini e attori principali di questo
straordinario mestiere il loro punto di vista, la loro
visione e soprattutto gli aneddoti e le curiosità
che stimolano e ravvivano questo mondo.
Oggi ne parliamo con Alessandro Pipero, patron
e uomo di sala del ristorante Pipero Roma.
Caro Alessandro come hai iniziato
questa professione e perché?
A 14-16 anni è veramente difficile decidere
cosa si voglia fare nella vita.
Avevo solo una idea chiara: amavo
in modo viscerale il cibo e il suo mondo
e quindi decisi di farlo diventare
il mio lavoro. Mi iscrissi alla scuola
alberghiera perché si mangiava e si
studiava il cibo. Anni passati poi nei
grandi alberghi per capire ed entrare
nella testa del cliente: a volte esigente,
spavaldo, non sempre preparato.
Io credo che la più grande forma
di insegnamento me l’abbia data il
cliente e capire la sua psicologia e
soprattutto capire quello che tu vuoi
essere quando lavori tra i tavoli è la
chiave. In ultimo, importante, per noi
fare il cliente è vitale. Ti aiuta a capire
meglio la loro prospettiva.
Il tuo bilancio di questi anni di carriera
qual è?
Il mio bilancio è come la mia bilancia…
sale sempre! Sono contento e
felice perché nella mia vita ho fatto
quello che mi piace fare e avrei desiderato
fare. Il trucco è semplice: io
non lavoro, non mi accorgo.
Dico sempre che quando mi accorgerò
e sentirò di lavorare, smetterò!
Ma credo di parlare a nome di molti,
dicendo che quando vai in vacanza
il primo giorno si dorme, il secondo
fai l’amore, dal terzo chiami i colleghi,
parli di vino, etc… Non smettiamo
mai.
Hai degli aneddoti, curiosità, episodi
che ti piacerebbe condividere
con noi?
Di aneddoti ne ho e ne abbiamo tutti,
ma ne racconto due in particolare
che mi hanno colpito. Si sa che una
mia grande passione è per il calcio
e per la Roma, sono un super tifoso.
Ecco quindi che, correva l’anno
2002, la Roma vince lo scudetto e
festeggia con mister Capello (grande
intenditore di vino) da Antonello
Colonna, dove ero a quei tempi il
sommelier. Avevo ansia da vendere e
la mia tensione si poteva tagliare con
forbici da sarto. Ad un certo momento
apro due magnum di Philipponnat
Clos de Goisses, non le assaggio
perché Totti era vicino a me ed ero
emozionato, una delle due sapeva di
tappo e Capello si alzò in piedi e disse:
“Bouchonè! Tappo, tappo!”, pensate
voi come mi sono sentito. Ormai
ci penso costantemente da 22 anni.
Il secondo aneddoto è riferito al 14
febbraio di 4 anni fa, San Valentino.
A pranzo viene al ristorante una
coppia a festeggiare, mangiano e
bevono, si baciano, si amano e alle
15,30 vanno via, tutto nella norma.
Alle 20,00 a cena inizia il servizio
della sera, avevamo 14 tavoli da 2,
tutto filava liscio, fino a quando alle
21,15 suona il campanello e la fortuna
vuole che vado io ad aprire, ed
era il signore del pranzo che a cena
veniva con la moglie.
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di Alberto Cauzzi
MEGLIO BENVENUTO
CHE BENTORNATO,
SEMPRE!
GUERIDON E DINTORNI
WEEKLY ENJOY – IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
Viaggio nell’Italia dei sapori: cosa mangiare in provincia di Rieti, per scoprire un
territorio chiave del Belpaese, ricco di storia e di enorme valore enogastronomico
Dalla coltre di neve della provincia di Aosta, scendiamo nell’Italia centrale a incontrare
i borghi ricchi di storia: luoghi tristemente passati alla storia il 24
agosto 2016, con il terremoto che ha colpito tutti i paesi della
provincia di Rieti. La città di Rieti è stata definita l’ombelico
d’Italia per via della sua posizione centrale rispetto all’intera
Penisola: una miscela perfetta di storia e tradizione,
bellezza della natura e cultura enogastronomica. Ricca
di torrenti e sorgenti, la pianura, dominata dal monte
Terminillo, è considerata la zona più ricca d’acqua
d’Europa. La cucina reatina si compone di una serie di
paste caserecce dalla sfoglia ruvida e callosa, perfetta
per accogliere i sughi più ricchi.
Il primo per eccellenza non può che essere lo spaghetto
all’amatriciana, piatto conosciuto in Italia e nel
mondo, specialità di Amatrice, paese delle 100 chiese,
per la salsa gustosa a base di guanciale, pomodoro,
sale, pepe e pecorino. L’amatriciana nasce con il condimento
in bianco e solo alla fine del 1700, con l’avvento del pomodoro,
il piatto è preparato con gli ingredienti che si usano ancora oggi.
Oltre a questa prelibatezza, troviamo altre paste fatte in casa: le fregnacce alla sabinese,
così chiamate proprio perché originarie della Sabina, una porzione di territorio vicino a
Rieti. Le fregnacce sono un tipo di pasta fresca con solo farina di grano tenero e acqua;
una pasta povera, anzi poverissima come denuncia lo stesso nome (nel dialetto laziale
“fregnacce” indica appunto una cosa di poco valore, senza
molta importanza).
Piatti genuini preparati con l’olio della Sabina
dalla tradizione millenaria: risalgono infatti al
VII-VI secolo a.C. i semi di olivo ritrovati nel
corso di scavi archeologici. È considerato il
primo DOP italiano, essendo stato il primo
olio in ordine di tempo a ottenere la certificazione
nel 1995. Le tecniche utilizzate
per la produzione dell’olio, sebbene siano
state ammodernate in virtù degli sviluppi
tecnologici, sono rimaste pressoché invariate
dall’epoca preromana. Fondamentale
per l’ottenimento dell’olio extravergine di
oliva Sabina DOP è la qualità del terreno e il
clima mite che caratterizza la zona.
TERRITORI A TAVOLA di Matteo Calzaretta
PROVINCIA DI RIETI
Per quanto riguarda l’enologia,
il Lazio si conferma
sempre più una regione
dinamica nel settore della
viticoltura e proprio il Reatino
rappresenta oggi una nuova
frontiera con la produzione
di vini di qualità. Negli anni
’70, infatti, con la nascita
del nucleo industriale, gran
parte dei vigneti furono
abbandonati e poi successivamente
espiantati. Oggi, in
uno scenario spettacolare, si
estendono 4 ettari coltivati
a vite, in cui vigneti giovani,
con cloni più nordici quali
Traminer e Riesling Renano,
si alternano a vigneti “antichi”
con vitigni come Malvasia,
Sangiovese e il Cesanese
Nero. Particolare attenzione
va riservata proprio al Cesanese
Nero, che rappresenta
in maniera indiscussa la
viticoltura della zona.
Ricca anche la produzione di
formaggi, come il pecorino
fresco o stagionato, la ricotta,
in particolare “il fiore molle”
di Leonessa allo zafferano. E
poi tanta cacciagione, manzo
e abbacchio; un agnello
da latte che si lascia rosolare
in olio e aglio, si insaporisce
con salvia e rosmarino e si
bagna con l’aceto, quando
è sfumato del tutto si aggiungono
un po’ di acqua e un
po’ di farina che formeranno
un sugo ristretto. Da provare
sono anche i sardamirelli,
ricavati dalle budella del maiale
lasciate essiccare sotto il
camino, oppure appesi ad un
palo di legno nella cucina. Si
mangiano cotti alla griglia,
ma anche in umido con i
fagioli.
Per concludere il pranzo possiamo gustare i dolci
tipici delle festività natalizie: i terzetti reatini. Si
tratta di golosi biscotti che oltre agli ingredienti
classici vengono aggiunte anche le noci e il miele
che li rendono molto particolari e profumati.
Altro dolce tipico Sabino è la Nociata o Copeta,
un composto di miele bollente e noci che viene
versato e pressato su un piano di marmo e poi
tagliato in piccoli rombi avvolti in foglie d’alloro.
Come digestivo consigliamo La Genziana, un
liquore fatto con le radici dell’omonima pianta,
la genziana lutea, un esemplare protetto di cui è
vietata la raccolta.
WEEKLY ENJOY – IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
La montagna incantata
Un terzo della superficie del nostro Bel Paese è montagnoso. Un altro terzo collinare. Eppure se si parla di “cucina di montagna” si ha sempre
l’impressione di parlare di una particolarità, di una nicchia, di qualcosa di speciale come speciali sono le altitudini. Ma il Bel Paese è anche
stretto e lungo, e la montagna ha infinite varianti: dal Bianco a Lavaredo, dal Cimone al Gran Sasso, alla Maiella, all’Etna. Facile immaginare
che anche la cucina di montagna sia un universo.
ASSAGGI DI LUCE di Stefano Caffarri
WEEKLY ENJOY – IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO
Trota alla brace, beurre blanc
Michele Lazzarini
Contrada Bricconi
Oltressanda Alta (BS)
Porro
Enrico Mazzaroni
Il Tiglio
Montemonaco (AP)
Lepre su lepre
Alessandro Gilmozzi
El Molin
Cavalese (TN)
Crudo e cotto di manzo
lingua e tartare
Riccardo Agostini
Il Piastrino
Pennabilli (RN)
Amuse Bouche
Paolo Griffa
Caffè Nazionale
Aosta
Feed ‘n’ Food
JodiEttenberg è Un’avvocato, stanca del suo lavoro,
decide di lasciare lo studio in cui lavora e
inizia a girare il mondo, raccontando quello che
vede e che mangia.
Rafael Nistor è uno chef e food influencer su
TikTok che condivide ricette innovative e semplici
da preparare.
Khalid è un cuoco professionista che ha una passione
per la cucina mediterranea e araba per le
sue origini marocchine. Versatile come pochi.
Veruska, ossia “la cuochina”, dispensa consigli
sulle mete di viaggi, aggiungendo i piatti tipici da
assaggiare, posti da vedere e locali in cui mangiare.
IL SETTIMANALE DE LE GUIDE DE L’ESPRESSO
Pubblicazione settimanale gratuita, #026 – 16 Dicembre 2023, Direttore Responsabile: Alessandro Mauro Rossi
Coordinamento Editoriale Digital: Carlo Carnevale, Grafica e Impaginazione: Beatrice Dalla Paola, Direttore Commerciale: Michele Belingheri.
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)