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Gioacchino da Fiore. Don Gabrieli: “Un contempl-attivo, un uomo che sa mettersi in ascolto di Dio e della sua storia”

Papa Francesco, nel messaggio per la Giornata mondiale del Creato, che si celebra il prossimo 1° settembre sul tema “Spera e agisci con il Creato” cita “quel grande visionario credente che fu Gioacchino da Fiore, l’abate calabrese ‘di spirito profetico dotato’”, secondo Dante Alighieri, il quale. “in un tempo di lotte sanguinose, di conflitti tra Papato e Impero, di Crociate, di eresie e di mondanizzazione della Chiesa, seppe indicare l’ideale di un nuovo spirito di convivenza tra gli uomini, improntata alla fraternità universale e alla pace cristiana, frutto di Vangelo vissuto”. “Siamo davvero grati a Papa Francesco che ha additato Gioacchino da Fiore come l’uomo dell’armonia che ha saputo trovare in quell’intreccio tra creato e ascolto della Parola”, ci dice don Enzo Gabrieli, il postulatore della causa di beatificazione iniziata nel 2001 dall’allora arcivescovo di Cosenza-Bisignano, mons. Giuseppe Agostino.  Gioacchino si è caratterizzato – spiega don Gabrieli – per quella armonia dello Spirito che i grandi uomini riescono a realizzare nella sintesi tra contemplazione e azione. Gioacchino – aggiunge il postulatore – è “un contempl-attivo, cioè un uomo che sa mettersi in ascolto di Dio e anche in ascolto della sua storia. Egli ha saputo cogliere la sua amorevole presenza trinitaria nello svolgersi della storia dell’umanità, ovviamente in una maniera fortemente simbolica”.

Vogliamo spiegare chi è stato questo eremita

Gioacchino è figlio del suo tempo, uomo del XII secolo, che ha saputo varcare i confini ristretti della sua terra e fare esperienza ed arricchimento interiore ma anche culturale prima nella Corte di Palermo, poi a contatto con la terra di Gesù e con gli eremiti che gli insegnarono ad ascoltare la Parola per cogliere la volontà di Dio sulla storia a lui contemporanea. Anche all’interno della sua esperienza monastica che ad un certo punto gli sta stretta nelle sue organizzazioni e nei suoi compiti di abate chiede di potersi dedicare completamente al commento e alla contemplazione della Parola di Dio. Uomo della comunione vuole che ogni sua scelta e anche le sue fondazioni siano sempre benedette e autorizzate dai Pontefici così come la sua opera di ricerca esegetica e teologica. È un profeta coraggioso e trova la forza in quella Parola che gli permette di vedere un orizzonte di pace possibile anche tra le religioni; l’inutilità delle Crociate e delle guerre e il valore di conquistare con le armi della luce i fratelli. È un uomo della speranza tanto che verrà indicato come l’annunciatore del tempo nuovo e di una Chiesa rinnovata nello spirito. Gioacchino, però, non vuole una nuova Chiesa ma una Chiesa rinnovata, libera, povera, fraterna, che abbia come primato Dio e lasci agire il suo Spirito Santo per condurla ad un tempo di maggiore grazia.

Qual è il suo messaggio oggi, nell’era del consumismo? Può essere una figura moderna

Penso che il suo messaggio sia di grande attualità e possiamo cogliere nella testimonianza di questo servo di Dio la centralità della Parola nella vita del cristiano che lo plasma e lo rende profeta, capace di prestare la sua voce a Dio per parlare all’uomo contemporaneo.

Uomo austero e coraggioso, un cantore della bellezza del Creato tanto da rifugiarsi in luoghi sempre più puri come spazio di contemplazione e dove cogliere la presenza del Divino.

I suoi monasteri sono tutti inseriti in contesti di grande bellezza naturale.

Un film, da poco presentato e che uscirà il prossimo anno, durante il Giubileo, ne racconta la storia. Quale contributo può dare per la conoscenza di questa figura
Gioacchino è una figura di grande modernità che ha superato i confini geografici della sua regione ma anche i confini della stessa Chiesa creando interesse anche in ambiente protestante e negli ambienti della filosofia che hanno indagato e si sono abbeverati al suo pensiero. Ha ispirato artisti come Michelangelo e navigatori come Colombo, uomini di scienza e uomini di pensiero come hanno mostrato ampiamente studi sulla sua figura. Fra i più citati ovviamente resta Dante Alighieri che gli riconosce un ruolo di luce e di ispirazione per la sua Commedia. Sulla figura dell’abate sono stati scritti fiumi di inchiostro, prodotte opere teatrali, concorsi per le scuole e anche alcuni film come quello di Jordan River che ha realizzato un capolavoro che rende ragione ad una grande figura del Medioevo che ancora deve essere riscoperta in tutta la sua bellezza e profondità. Su Gioachino è stato fatto un grande lavoro sinergico sia all’interno della Chiesa diocesana sia dal Centro studi gioachimita per la pubblicazione scientifica dei testi canonici. E anche il lavoro della postulazione è stato intenso a partire da una commissione medica che ha analizzato i suoi resti mortali e da una commissione teologica che ha coinvolto esperti di fama mondiale sui libri canonici attribuiti all’abate.

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Mongolia: il forno di Shuwuu costruito dai giovani di Mendicino. Don Gabrieli: “Pane impastato di amicizia”

Nel cuore della Mongolia, precisamente a Shuwuu, c’è una piccolissima comunità cattolica guidata da due missionari salesiani che attende “con gioia e trepidazione” la visita di Papa Francesco, in occasione del suo viaggio apostolico dal titolo “Sperare insieme”. Un viaggio che avrebbe voluto fare già nel 2003 San Giovanni Paolo II ma dovette rinunciare per problemi di salute. Papa Francesco sarà il primo Pontefice a visitare questo Paese asiatico dove attualmente operano 25 sacerdoti missionari e due preti locali; 30 suore di alcune congregazioni. Sono circa 1.300 i fedeli battezzati, guidati dal card. Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaanbaatar in Mongolia, il porporato più giovane del mondo (49 anni).

Card. Giorgio Marengo con una bimba di Ulaanbaatar in Mongolia (Foto da www.consolata.org)

“Certe buone pazzie”. Con la comunità cattolica di Shuwuu, a “trepidare” per questa visita apostolica, c’è anche quella italiana di Mendicino (diocesi di Cosenza-Bisignano), legate l’una all’altra da un’amicizia nata nel luglio del 2005, quando un gruppo di 9 giovani della comunità parrocchiale San Nicola di Bari, accompagnati dal loro parroco, don Enzo Gabrieli, “si sono lasciati smuovere dalla passione per un’esperienza di incontro con una comunità cristiana allora nascente”. A raccontare questa storia di solidarietà è, dalle pagine del settimanale dell’arcidiocesi di Cosenza-Bisignano, “Parola di Vita” (www.paroladivita.org), lo stesso don Gabrieli: “Sono trascorsi quasi vent’anni dalla missione in terra mongola ed ancora resta vivo in noi il ricordo di quella terra, di quella gente che nonostante povertà e regime ha conservato l’orgoglio e l’identità del grande popolo del Khan. Eravamo venuti a conoscenza delle difficoltà di procurarsi il pane soprattutto nei lunghi periodi di mancanza di energia elettrica e di una alimentazione precaria, povera di carboidrati – ricorda il sacerdote -. Abbiamo così pensato di aiutare la comunità nella costruzione di un forno a legna per il pane che aiutasse anche il riscaldamento degli ambienti e nel proporre ad un gruppo di donne un corso per la panificazione e la realizzazione di biscotti e anche della pizza. Abbiamo così fornito alla comunità mongola anche l’attrezzatura per realizzare le ostie”. Dopo alcuni mesi di preparazione il gruppo mendicinese è partito per la Mongolia con il progetto di costruire il forno in una struttura che già ospitava la piccola comunità cristiana per le attività educative e la preghiera. “La difficoltà della comunicazione e del reperimento dei materiali – rivela don Gabrieli – è stata superata ‘dalla Provvidenza’. Due consacrate inglesi hanno fatto da interpreti e un emigrato italiano è stato il gancio per il reperimento in loco del materiale adatto per la realizzazione dell’opera”.




“Sono stati 15 giorni di intenso lavoro, di fraternità, di incontro, con le loro antiche tradizioni – aggiunge il sacerdote -. Abbiamo avuto anche la possibilità di partecipare alla grande festa nazionale del Nadaam e conoscere il buddismo mongolo. Le difficoltà non sono mancate, anche di approvvigionamento alimentare a causa di una tempesta di sabbia che ci ha costretti a restare per tre giorni nel chiuso della missione, ma la passione, la giovinezza e la fede ci hanno sostenuti”. Tanto lavoro e tanta preghiera hanno scandito le giornate “mongole” del gruppo mendicinese fino all’esplosione di gioia nel villaggio quando è stata sfornata la prima pagnotta e prodotte le prime ostie.

“È stata una festa per tutto il villaggio: profumo di amicizia, di solidarietà, impastata con quel pizzico fiducia in Dio che soprattutto in età giovanile ti porta a fare certe buone pazzie”,

dice don Gabrieli. “Siamo tornati a Mendicino più ricchi di come siamo partiti, anche grazie ai valori trasmessi nella semplicità da quelle parsone che abbiamo incontrato a Schuwuu. In Mongolia abbiamo lasciato tutti un pezzo di cuore. Sapere che Papa Francesco compirà questo viaggio apostolico – conclude il sacerdote calabrese – mi porta ad immaginare questo incontro come quello delle prime comunità cristiane che accogliendo Pietro ricevevano la conferma della fede”.

L’impegno continua. La comunità parrocchiale di Mendicino continua a seguire e a sostenere a distanza i cristiani di Shuwuu dove il forno è stato attivo fino a prima della pandemia. Poi le norme igienico-sanitarie per la distribuzione del cibo hanno spinto la comunità a fare altre scelte pastorali nella struttura accanto alla quale il 15 agosto scorso è stata consacrata la prima chiesa del villaggio dedicata alla Santa Famiglia.

(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)