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'Se un uomo non ha il coraggio di difendere le proprie idee, o non valgono nulla le idee o non vale nulla l'uomo' (Ezra W.Pound)

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fraternità”.

Incontro mondiale fraternità. P. Occhetta: “Superare la paura e la logica dello scontro”

“Offrire al mondo una Carta dell’umano che superi la catalogazione dei soli diritti, spesso ignorati, superi la paura e la logica dello scontro e includa le ragioni pratiche che ci definiscono oggi come ‘esseri umani’”. Padre Francesco Occhetta, segretario generale della Fondazione Fratelli tutti, sintetizza così al Sir lo scopo principale della seconda edizione di #BeHuman, l’incontro mondiale sulla fraternità umana organizzato dalla citata Fondazione e in corso il 10 e l’11 maggio a Roma e in Vaticano, con la partecipazione di 30 Premi Nobel per la pace, scienziati, economisti, sindaci, medici, manager, lavoratori, campioni dello sport e semplici cittadini da tutto il mondo. Anche Papa Francesco parteciperà ad uno dei 12 Tavoli disseminati in  luoghi simbolici della Capitale e l’11 maggio riceve in udienza privata i partecipanti.

Dopo la Dichiarazione di fraternità firmata nella prima edizione, il World Meeting on Human Fraternity si propone di fare un passo in più, a partire dall’appello di Papa Francesco nella sua enciclica, con la firma della Carta dell’umano. Quale è il messaggio che i Premi Nobel per la pace e tutti i partecipanti vogliono lanciare il 10 e l’11 maggio? 

Ribadiremo il “no” alla guerra, il “sì” alla pace, il “sì” alla mediazione internazionale e il “sì” al principio di fraternità. Farlo insieme ha un valore sociale e simbolico forte. La Dichiarazione sulla fraternità firmata lo scorso 10 giugno in Piazza San Pietro era stata illuminata dalle parole di Francesco: “Siamo diversi, siamo differenti, abbiamo differenti culture e religioni, ma siamo fratelli e vogliamo vivere in pace”. Quest’anno vorremmo porre le basi per

offrire al mondo una Carta dell’umano che superi la catalogazione dei soli diritti, spesso ignorati, superi la paura e la logica dello scontro e includa le ragioni pratiche che ci definiscono oggi come “esseri umani”.

Nella Fratelli tutti, il Papa propone l’amicizia sociale come via per “sognare e pensare ad un’altra umanità”. È da qui che bisogna partire per “rendere la fraternità una cultura”, come lei ha auspicato presentando #BeHuman? 

Un primo riferimento ufficiale alla fraternità risale al 1790 quando la Costituente francese aveva stabilito con decreto che i deputati dovessero giurare di “rimanere uniti a tutti i francesi attraverso legami indissolubili di fraternità”. Ma quel principio creava un’identità nazionale, faceva sentire “i francesi come fratelli” ma separava la Francia dalle altre Nazioni e riproduceva lo schema dell’Impero romano del “noi contro loro”.

Nell’esperienza biblica invece il paradigma della fraternità è una scelta spirituale e culturale,

rimanda al “nascere accanto a un altro”, trasforma i soci in fratelli, fonda il mutuo aiuto, illumina la reciprocità, supera il significato di “fratellanza” retta da vincoli di sangue o etnici in cui si include il simile e si esclude il diverso. Con lungimiranza Papa Francesco l’ha rilanciata come un nuovo paradigma antropologico su cui ricostruire gesti e leggi perché “la fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza” (Fratelli tutti, n. 103). E noi nel nostro piccolo stiamo cercando di promuoverla.

Rimettere la fraternità al centro dell’agire sociale è un imperativo urgente anche in chiave politica. Alla vigilia delle elezioni europee, come evitare il pericolo del “populismo irresponsabile” stigmatizzato dal Papa nella Fratelli tutti?

Ridando la parola agli enti intermedi nello spazio pubblico che permettono agli individui schiacciati nella loro solitudine di diventare persone, vale a dire esseri in relazioni al mondo che li circonda.

La cultura populista ha disintermediato la proposta politica umiliando le idee e i progetti concreti della società, semplificando le risposte complesse e chiudendosi nei recinti dei nazionalismi. L’Ue ha bisogno di deputati autorevoli ed europeisti, favorevoli a migliorare la governance, a introdurre più federalismo europeo, disposti a promuovere la pace e ad affidare maggiori poteri legislativi al Parlamento e alla Commissione e a riformare le votazioni prese all’unanimità del Consiglio europeo. Il Patto atlantico andrebbe rinnovato secondo l’intuizione di De Gasperi e di Spinelli a iniziare dalla necessità di un’unione delle forze difensive dei Paesi Ue.

Tra i temi che verranno trattati nella Carta dell’umano, c’è anche quello dell’intelligenza artificiale, su cui il Papa ha attirato più volte l’attenzione, tanto da decidere di essere presente personalmente all’apposita sessione del G7 di giugno. La connessione digitale può diventare un veicolo di fraternità?

Sì, in parte lo è già. Per questo sarà con noi anche il direttore della Nasa Bill Nelson che terrà un suo intervento sabato 11 alle 18 nel Palazzo della Cancelleria. Uno dei tavoli di lavoro è quello degli influencer digitali che fecondano la rete con parole e con lo spirito della fraternità.  Da tempo la Chiesa propone un’algoretica – l’etica applicata agli algoritmi – per arginare la tecno-dittatura in corso. Certo, il Papa riconosce “le straordinarie conquiste della scienza e della tecnologia”, ma è preoccupato quando gli algoritmi si sostituiscono alle decisioni umane e i dati vengono manipolati.

Va riposta al centro del G7 la responsabilità umana, i valori umani e la coscienza che ci aiuta a distinguere l’umano dal disumano e a calcolare le conseguenze delle scelte nel campo tecnologico.

“Mai più la guerra”, il grido di Francesco dalla Fratelli tutti fino agli innumerevoli appelli per far cessare i conflitti in questa “terza guerra mondiale a pezzi”. In vista del Giubileo, come continuerà il percorso di promozione della pace intrapreso in questi giorni dai partecipanti all’incontro?

Quella della pace è una cultura, la pace negativa quella politica è assenza di guerra, la pace positiva è di natura antropologica e mira a un mondo giusto. La Chiesa da Benedetto XV grida il suo “Mai più la guerra”. Non ci dobbiamo stancare di ribadirlo e testimoniarlo. Nella notte più buie della storia è sempre sorta una nuova alba. E noi la vogliamo preparare.

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Inghilterra e Galles: due giorni di fraternità per i vescovi cattolici e anglicani

Una due giorni di intenso dialogo ecumenico per pregare, parlare e socializzare. Due giorni insieme. I vescovi cattolici e anglicani di Inghilterra e Galles si ritroveranno da martedì 30 a mercoledì 31 gennaio, a Norwich, città medioevale nella parte orientale del Regno Unito e capitale del Norfolk, regione ricca di spiritualità, che ospita l’unico santuario mariano inglese: Nostra Signora di Walsingham.

Unità e differenze. “Il valore di questi incontri, che avvengono ogni due anni, è la possibilità, per i pastori, di costruire rapporti e di vivere un po’ insieme”, spiega Christopher Thomas (nella foto), segretario generale della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles. “Gli obiettivi sono spirituali, pratici e teologici, nello spirito delle due commissioni, Arcic e Iarccum, che si occupano la prima degli aspetti teologici del dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa d’Inghilterra e la seconda degli aspetti pratici, l’ecumenismo nella vita concreta di tutti i giorni. È significativo che i vescovi si incontrino, a Norwich, proprio alla fine della settimana per l’unità tra i cristiani, quando le due Chiese rispondono all’appello di Gesù di tornare insieme, celebrando ciò che le unisce ed esplorando cosa le divide”.

Il pellegrinaggio. “I vescovi cattolici e quelli anglicani faranno un pellegrinaggio nel centro di Norwich, dalla cattedrale cattolica di san Giovanni Battista a quella anglicana dedicata alla santa Trinità, e trascorreranno del tempo anche nella cella di santa Giuliana di Norwich, mistica nata nel 1300, venerata come beata dai cattolici e come santa dagli anglicani”, spiega ancora il segretario generale della Conferenza episcopale. “Si tratta di una camminata lunga solo venti minuti ma dal profondo valore simbolico” perché “indica che le due Chiese si trovano, in questo Paese, insieme, in una situazione di missione, con un unico obiettivo: proclamare il Vangelo, anche se le modalità sono diverse”. Aggiunge: “ci saranno anche differenze teologiche tra di noi ma ci sono anche molte cose che possiamo fare insieme. Al centro della nostra vita di fede c’è una persona, Gesù, e quello che conta davvero è l’incontro con questa persona. E aiutare le persone a conoscere Gesù è la missione sia della Chiesa cattolica che della Chiesa d’Inghilterra”.

Spazio al Sinodo. Anche se la due giorni di Norwich è, soprattutto, un momento di fraternità, per dare ai vescovi cattolici e a quelli anglicani l’opportunità di conoscersi e di stare insieme, nel programma vi sarà spazio per discutere del Sinodo, che si sta svolgendo a Roma, e di come il concetto di sinodalità può essere integrato nella Chiesa cattolica e di come viene vissuto nella Chiesa d’Inghilterra. In agenda, inoltre, l’incoronazione di re Carlo III dello scorso maggio e che cosa ha significato per il Regno Unito. Monsignor Roderick Strange, rettore del “Mater Ecclesiae College”, all’università cattolica londinese di saint Mary, terrà, poi, un intervento su san John Henry Newman e sulla visione che questo santo aveva per l’unità della Chiesa.

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Economia della fraternità. Mons. Sorrentino: “Sarebbe bello sostenere progetti che arrivano da Terra Santa e Ucraina”

“Promuovere un rinnovamento dell’economia all’insegna dell’universale fraternità di tutti gli esseri umani a partire dalla condizione e dagli interessi dei più umili e disagiati, nella prospettiva evangelica dell’unica paternità di Dio e del suo disegno di amore per tutti i suoi figli”: è questo l’obiettivo del Premio internazionale Francesco d’Assisi e Carlo Acutis, come previsto nello Statuto e nel Regolamento. L’edizione del premio per il 2024 è stata presentata, martedì 5 dicembre, alla Filmoteca vaticana, alla presenza dell’arcivescovo-vescovo delle diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Foligno, mons. Domenico Sorrentino, il card. Francesco Montenegro, arcivescovo emerito di Agrigento, suor Alessandra Smerilli, segretario del Dicastero per lo Servizio dello sviluppo umano integrale, padre Giulio Albanese, direttore dell’Ufficio per le Comunicazioni sociali della diocesi di Roma e membro della Commissione valutativa del Premio, mons. Anthony Figueiredo, coordinatore del Premio, e suor Roberta Arcaro, responsabile del Segretariato delle missioni delle Suore Francescane Angeline, vincitrici dell’edizione 2023.

(Foto: diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino)

“Questo Premio è un riconoscimento concreto alla fraternità vissuta in maniera intelligente ed efficace anche sul piano economico.

È un sostegno che va ad aiutare realtà imprenditoriali minori che hanno bisogno di una spinta di avvio ma che sono un esempio di quella nuova economia, solidale, umana, circolare e fraterna di cui c’è tanto bisogno, specialmente nelle regioni più povere del mondo”, ha spiegato mons. Domenico Sorrentino, in occasione della conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2024 del “Premio internazionale Francesco d’Assisi e Carlo Acutis per una economia della fraternita”. “Da Assisi – ha aggiunto il presule – diamo concretezza al messaggio di San Francesco e del beato Carlo Acutis, in linea con l’iniziativa del Santo Padre che, con The Economy of Francesco, ha invitato giovani economisti, changemakers e imprenditori a rifondare l’economia, dandole un’anima. Grazie alla generosità di imprenditori lungimiranti, attenti alle persone più che al profitto, con questo premio già negli anni scorsi abbiamo permesso a realtà svantaggiate economicamente ma ricche del capitale della fraternità di essere un modello di speranza e di cambiamento”. Anche quest’anno, ha osservato mons. Sorrentino, “ci aspettiamo candidature da tanti luoghi del mondo.

Sarebbe bello riceverne dai luoghi di guerra dell’Ucraina e della Terra Santa dove c’è davvero bisogno di ricostruire legami fraterni e umani”.

(Foto: diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino)

“Come Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale – ha affermato suor Alessandra Smerilli – siamo felici che la diocesi di Assisi-Nocera-Gualdo abbia promosso questa iniziativa. Noi lavoriamo a servizio del Papa e di tutte le Chiese del mondo perché sia vera la parola di Gesù ‘Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza’. Il nostro lavoro è di fare in modo che si rimuovano gli ostacoli allo sviluppo: e le attività imprenditoriali possono essere una via di sviluppo e di pace e l’impresa può diventare promotrice di fraternità e di pace. Non dobbiamo dimenticare che la diocesi è diventata la culla di Economy of Francesco, da cui è nato un momento di tantissimi giovani da tutte le parti del mondo e di tutte le età che stanno dando la vita per la fraternità e la pace”.

“Sono convinto – ha sostenuto padre Giulio Albanese – che questo Premio sia stato concepito dopo un lungo discernimento.

Mai come oggi le diseguaglianze gridano vendetta al cospetto di Dio e mai come oggi è importante affermare un messaggio all’insegna della comunione e della fraternità, come Papa Francesco ha dimostrato nel suo illuminato magistero.

Se uno legge lo Statuto del Premio, vedrà che è una straordinaria lezione di dottrina sociale: leggendo gli orientamenti si riescono a cogliere le coordinate per innescare il cambiamento. Indipendentemente dal denaro a disposizione non possiamo cambiare il mondo ma ritengo che, così come è stato concepito, questo Premio sia il lievito che fa fermentare la massa”.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Mons. Anthony  Figueiredo ha ricordato i premiati delle edizioni precedenti sottolineando che “questo premio vuole dare voce alle piaghe dei fratelli scartati e spogliarci dalla mentalità odierna, passando da un’economia del profitto a un’economia della fraternità. L’anno scorso le domande sono arrivate da quattro continenti, 23 nazioni, 18 dall’Africa. La generatività è uno dei criteri per le domande: i vincitori del premio devono essere protagonisti del loro riscatto per sviluppare i loro territori e le loro comunità, ma anche per custodire la casa comune”.

“Grazie – le parole di suor Roberta Arcaro – perché il premio non è servito a costruire un panificio, ma a cambiare mentalità. I nostri sono ragazzi che vivono in un ambiente di totale povertà ma che ora sono formati alla gestione di quello che verrà prodotto. Noi stiamo cercando di lavorare come se dovessimo andare via il giorno dopo lasciando l’opera in mano ai ragazzi. La formazione ci impegna, non solo per imparare il mestiere ma anche per formare l’uomo e la donna”.

“Complimenti al vescovo Sorrentino – il saluto finale del card. Francesco Montenegro – per questo coraggio di mostrarci San Francesco non solo come un uomo umile e mite ma forte e con i muscoli, che sa fare e andare lontano. E grazie perché la restituzione non è soltanto un gesto di carità, ma un atto di giustizia. Vedendo i bambini vincitori della scorsa edizione pensavo ai morti di Lampedusa: i morti nel mare, nel deserto, in Albania, sono persone che graffiano l’anima. E mi auguro che questa restituzione non avvenga solo perché Francesco e Carlo sono diventati due capisaldi. Mi auguro che facciano riflettere la Chiesa sul cambiare stile, per poter vivere l’economia diversamente”.

(Foto: diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino)

Il bando dell’edizione 2024 del Premio è pubblicato e sostenuto dalla Fondazione diocesana di religione-Santuario della Spogliazione, istituita dalla diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, ed è online sul sito www.francescoassisicarloacutisaward.com. Le domande di partecipazione devono essere presentate entro il 31 gennaio 2024. Il progetto vincitore del Premio riceverà una corresponsione in denaro al massimo di 50mila euro, frutto della sensibilità di un comitato di sostenitori. Al vincitore sarà inoltre consegnato un foulard con l’immagine della spogliazione, in ricordo del gesto con cui l’allora vescovo di Assisi, Guido, coprì il giovane Francesco Bernardone nel momento della sua spogliazione, e un’icona con il logo del Premio, portando i volti di San Francesco e del Beato Carlo Acutis.

Il Premio, nella sua edizione inaugurale del 15 maggio 2021 è stato assegnato, a titolo emblematico e fuori concorso, all’Istituto Serafico di Assisi, in occasione del 150° anniversario della sua fondazione. Nel 2022 il riconoscimento da 50mila euro è stato assegnato al progetto Ecobriqs Charcoal Briquettes, realizzato da un gruppo di 15 persone con disabilità della diocesi di Pasig, nelle Filippine (Manila metropolitana), che usando rifiuti, scarti e ninfee infestanti producono – tramite una tecnologia rivoluzionaria – i bricchetti di carbone. I promotori avevano anche deciso di sostenere Farm of Francesco, progetto frutto di Agriculture & Justice Village, uno dei villaggi di Economy of Francesco, con 15mila euro. Infine, nel 2023, il premio da 50mila euro è stato assegnato alla “Casa del Pane”, un laboratorio per la panificazione e la vendita di prodotti da forno, in Ciad, che sarà gestito da ragazzi e ragazze disoccupati, orfani o in difficoltà, con il sostegno delle suore francescane angeline.

Il Premio internazionale “Francesco d’Assisi e Carlo Acutis per una economia di fraternità” è stato istituito dal vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Foligno, arcivescovo Domenico Sorrentino, il 10 ottobre 2020, giorno della beatificazione di Carlo Acutis. Ed è nato per promuovere un rinnovamento dell’economia all’insegna della fraternità a cominciare dalla condizione e dagli interessi dei più umili e disagiati. L’obiettivo del premio è fornire un aiuto concreto ad avviare processi economici che nascono dal basso nel rispetto della persona, in un clima di fraternità e che siano d’esempio per la diffusione di un’economia fraterna, umana e solidale. Possono partecipare al premio persone, enti, associazioni e società, di qualunque parte del mondo, e specialmente nelle regioni più povere, in partenariato. Il premio, dunque, mira a incoraggiare progetti economici fraterni “dal basso”, a cominciare “dalle difficili condizioni in cui versano i nostri fratelli e sorelle più piccoli e sofferenti e ad ispirare in modo generativo le persone con scarse possibilità economiche, in particolare i giovani al di sotto dei 35 anni e nelle regioni più povere del mondo, a riunirsi (‘Fratelli tutti’) e presentare, come cambiamento- makers, un progetto specifico e valido, sottoposto all’attento esame e giudizio di una Commissione di valutazione, per beneficiare e soddisfare i bisogni concreti dei più disagiati e bisognosi in mezzo a loro”.

Come ha espresso continuamente Papa Francesco nel suo pontificato, San Francesco d’Assisi è ispirazione per un nuovo rapporto con le nostre sorelle e fratelli poveri ed emarginati: “San Francesco ci offre un ideale e, in un certo senso, un programma. Per me, che ho preso il suo nome, è una costante fonte di ispirazione” (Lettera per l’evento “Economia di Francesco”, 1° maggio 2019). Per questo “crediamo che da Assisi, le parole di Gesù dal Crocifisso di San Damiano debbano risuonare oggi in un mondo colpito dalla pandemia: ‘Va’, Francesco, ripara la mia casa che, come vedi, sta cadendo in rovina’. Spogliandosi delle vesti e dei beni materiali davanti al padre, Pietro Bernardone, e all’allora vescovo di Assisi, Guido, il giovane Francesco avviò, attraverso il segno concreto della sua nudità, un’economia diversa da quella del padre terreno: la fiducia sulla provvidenza come strumento generativo per il bene di tutti e, soprattutto, dei più poveri e abbandonati. Così Francesco potrebbe esclamare: ‘D’ora in poi dirò: Padre nostro che sei nei cieli’ e non più ‘Padre Pietro Bernardone’”.

Ispirato da san Francesco, il beato Carlo Acutis, sepolto ad Assisi nel Santuario della Spogliazione, è egli stesso un esempio di “economia della fraternità”, soprattutto per i giovani.

La sua spiritualità profondamente eucaristica si è manifestata nel suo amore per i poveri, caratterizzato non solo dall’elemosina, ma dalla vicinanza e dall’amicizia con i bisognosi, cosa che Papa Francesco ha spesso incoraggiato nei nostri rapporti con i poveri. “Ciò che solo ci renderà veramente belli agli occhi di Dio», ci dice Carlo, «è il modo in cui amiamo Dio e il nostro prossimo”. In un mondo scosso dalla pandemia e dalla guerra e confrontato a tante altre sfide, il Premio internazionale “Francesco d’Assisi e Carlo Acutis, per un’economia di fraternità” vuole essere “ispirazione di santità, bellezza e bontà attraverso nuovi modelli di economia, necessario per questi tempi”.

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GiFra, 40 anni di fraternità

I gifrini si sono riuniti con la comunità conventuale per festeggiare con spirito francescano il quarantesimo della costituzione della GiFra

di Stanislao Scognamiglio

PORTICI | CITTÀ METROPOLITANA DI NAPOLI – Con l’approssimasi della solennità liturgica di San Francesco d’Assisi,  domenica 1 ottobre, al convento di Sant’Antonio di Padova dei Frati Minori Conventuali, si è tenuto l’evento 40 anni di fraternità GiFra.

Richiamati dall’invito evangelico Voi siete la luce del mondo (Matteo5, 13-16), numerosi gifrini si sono ritrovati presso la comunità conventuale in via dell’Università, per festeggiare con spirito francescano il quarantesimo della costituzione della GiFra.

Comunemente abbreviata in GiFra, la Gioventù Francescana è formata… da quei giovani, di età compresa tra i 14 e i 30 anni, che si sentono chiamati dallo Spirito Santo a fare in fraternità l’esperienza della vita cristiana, alla luce del messaggio di San Francesco d’Assisi, approfondendo la propria vocazione nell’ambito dell’Ordine Francescano Secolare (CCGG OFS 96.2).

Così come previsto dalle Costituzioni Generali dell’Ordine Francescano Secolare, nel corso del quarantennio, i giovani hanno animato gli incontri per prepararsi alle scelte importanti della vita seguendo l’esempio del mite poverello d’Assisi.

Pertanto, ponendo al centro della propria vita il Vangelo come Guida, l’Eucarestia, la Chiesa come Madre e i poveri e gli ultimi come fratelli, hanno partecipato e, tutt’ora, partecipano in fraternità non solo all’esperienza di fede, di formazione, di preghiera, di servizio ma anche a quella della condivisione e della festa.

Costituito nell’anno 1983, sotto l’impulso del padre guardiano, fra Francesco Nolè, futuro vescovo delle unite diocesi lucane di Lagonegro-Tursi e poi arcivescovo di Cosenza, l’attuale gruppo GiFra Sant’Antonio è tra le 42 Fraternità locali presenti nella regione Campania.

Oggi come allora, i giovani gifrini sono soliti incontrarsi nel corso della settimana radunandosi nella sala messa a loro disposizione e, ogni domenica per la santa Messa, celebrata alle 10.30 nella chiesa parrocchiale di Sant’Antonio.

Dopo un momento di preghiera comune e la celebrazione dell’Eucaristia, tenuta nel salone Massimiliano Kolbe, adibito provvisoriamente a sacro recinto, a causa dei lavori di restauro al convento e alla chiesa, i partecipanti si sono portati nella sala GiFra per l’abituale taglio della torta.

I reverendi padri della comunità conventuale porticese: fra Claudio Joris, guardiano, fra Gioacchino Ricca, fra Salvatore Robustelli e fra Giorgio Tufano, guardiano a Sant’Anastasia, unitamente al sacerdote diocesano don Ferdinando Silvestrini, ex gifrino al convento di Sant’Antonio, hanno condiviso la gioia dei partecipanti.

In chiusura dell’evento, i promotori dell’iniziativa hanno rivolto calorosi ringraziamenti ai Frati, per aver loro dato la possibilità di celebrare questo anniversario e a tutti coloro che hanno collaborato per la realizzazione e la buona riuscita di esso… ma prima di tutto, hanno innalzato il grido: ... TI LODIAMO E RINGRAZIAMO SIGNORE PER AVERCI PENSATI COME FRATERNITÀ… buon cammino gifrini di ieri e di oggi.

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(Fonte: Lo Speakers Corner – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

La parola di una giovane e di un vescovo. “Da Marsiglia, una profezia di fraternità e speranza per il Mediterraneo”

(da Marsiglia) “Il Mediterraneo ha bisogno di fraternità e di spargerla ovunque, perché questo mare non è diventato solo un cimitero. È una vera e propria scena di crimini contro l’umanità”. Maria Serena Bonazzi Del Poggetto, della Comunità Papa Giovanni XXIII, traccia in questi termini le prime conclusioni degli Incontri del Mediterraneo che dal 17 al 23 settembre hanno riunito a Marsiglia 70 giovani di 25 Paesi e altrettanti vescovi. Provengono dalle cinque sponde del Mediterraneo: Nord Africa, Medio Oriente, Mar Nero, Balcani ed Europa Latina. I giovani sono studenti e giovani professionisti, di tutte le confessioni e religioni. Ci sono ebrei e musulmani, cattolici e ortodossi. Sono stati invitati a venire a lavorare per una settimana a Marsiglia, per aiutare i vescovi ad affinare la loro analisi della situazione e a esaminare le iniziative concrete da prendere. In questi giorni, hanno discusso – insieme e separatamente – su migrazioni, pace, cambiamenti climatici, educazione. Hanno ascoltato interventi e testimonianze. Hanno accolto anche le analisi di esperti come la presidente della Banca Centrale Europea, Marie Christine Lagarde. Hanno visitato i luoghi simbolo di questa città di porto, crocevia di popoli e culture.

Parlando a Papa Francesco, Maria Serena racconta la sua storia. Italiana, vive da due anni in Grecia con la Comunità Papa Giovanni XXIII. Prima a Lesbo e ora ad Atene dove in una casa famiglia operatori e persone migranti condividono la vita insieme. “Non siamo professionisti”, dice, “quello che cerchiamo di fare è offrire all’altro quello che siamo. Siamo tutti poveri e tutti abbiamo bisogno degli altri per condividere ciò che siamo, semplicemente accogliendoci a vicenda. Come lei ha detto Santo Padre nella sua visita all’isola di Lesbo respingere i poveri significa respingere la pace”. “Quando chiudiamo le porte, quando costruiamo i muri, respingiamo non solo i nostri fratelli ma anche Dio”. “In questi giorni vescovi e giovani hanno lavorato insieme. Sebbene provenienti ciascuno da contesti diversi, ho assistito ad un piccolo miracolo”, confida Maria Serena: “oltre a lavorare ed elaborare proposte si è costruita fraternità, una fraternità che tocca le 5 sponde del Mediterraneo”. A Marsiglia, vescovi e giovani hanno parlato dei migranti morti in mare e del diritto di “restare e di partire”, delle inondazioni che hanno messo in ginocchio Paesi come la Grecia e la Libia. Hanno espresso parole piene di compassione per i Paesi che stanno affrontando le tragedie delle guerre e dei disastri naturali: Marocco, Tunisia, Iraq, Siria, Turchia, Ucraina, Armenia, solo per citarne alcuni. Nonostante i problemi siano gravi, Maria Serena invita a non perdere la speranza perché, dice, ci sono tanti segni che vanno anche in questa direzione e “questa assemblea di vescovi e giovani insieme sono un esempio di questa speranza. Non dobbiamo avere paura”, “perché solo se si ha speranza, si è spinti ad incontrarsi, a dialogare e impegnarsi concretamente”.

Subito dopo la giovane italiana, ha preso la parola mons. Arjan Dodaj, arcivescovo di Tirana-Durazzo. “Di queste giornate – dice – conservo la certezza di uno sguardo positivo, gioioso e carico di speranza sulla realtà che ci rende testimoni credibili dello stile di Dio: vicinanza fraterna, compassione umana e tenerezza profetica. L’esperienza degli incontri del Mediterraneo è profetica perché permettendo un incontro tra vescovi e giovani, fa nascere una speranza”. “Ancora oggi nel Mediterraneo – osserva l’arcivescovo – ci sono tante persone che vivono situazioni difficili, ci sono tante distanze, quelle affrontate dai nostri fratelli migranti e quelle che segnano il vissuto dei nostri popoli dal punto di vista sociale ed economico. I migranti portano con loro non solo tante prove, sofferenze e violenze subite ma sono soprattutto portatori della grande speranza che custodiscono nel loro cuore e dona loro il coraggio di affrontare tanti sacrifici e barriere”. Ma ci sono anche “distanze positive legate alla ricchezza della diversità culturale e spirituale dei nostri popoli. In questi giorni a Marsiglia come chiese e credenti del Mediterraneo lo abbiamo vissuto”.

“Qui abbiamo sperimentato che la diversità in quanto ricchezza produce ricchezza, accorcia le distanze negative e alimenta la fraternità”.

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Papa a Marsiglia: “Siamo di fronte a un bivio di civiltà, scegliere tra fraternità e indifferenza”

(da Marsiglia) “Da una parte la fraternità, che feconda di bene la comunità umana; dall’altra l’indifferenza, che insanguina il Mediterraneo”. È questo il “bivio di civiltà” davanti al quale ci troviamo oggi, quando affrontiamo la sfida delle migrazioni. Da Lampedusa a Marsiglia, il “viaggio” compiuto da Bergoglio sul tema dell’accoglienza, al centro del suo pontificato, ai piedi della basilica di Notre-Dame-de-la-Garde ha assunto, se possibile, toni ancora più netti, che suonano come un’ennesima chiamata alla responsabilità.

“Non abituiamoci a considerare i naufragi come fatti di cronaca e i morti in mare come cifre: no, sono nomi e cognomi, sono volti e storie, sono vite spezzate e sogni infranti”,

l’esordio di Francesco. Da Marsiglia, nel momento di raccoglimento con i leader religiosi davanti al Memoriale dedicato ai marinai e ai migranti dispersi in mare il Papa ha chiesto ai presenti un momento di silenzio “in memoria di questi nostri fratelli e sorelle: lasciamoci toccare dalle nostre tragedie”, deponendo al termine dell’incontro una corona. “Dinanzi a noi c’è il mare, fonte di vita, ma questo luogo evoca la tragedia dei naufragi, che provocano morte”, le sue parole: “Siamo riuniti in memoria di coloro che non ce l’hanno fatta, che non sono stati salvati. Penso a tanti fratelli e sorelle annegati nella paura, insieme alle speranze che portavano nel cuore”.

“Davanti a un simile dramma non servono parole, ma fatti”,

l’appello di Francesco: “Prima ancora, però, serve umanità: silenzio, pianto, compassione e preghiera”.

“Troppe persone, in fuga da conflitti, povertà e calamità ambientali, trovano tra le onde del Mediterraneo il rifiuto definitivo alla loro ricerca di un futuro migliore”,

ha denunciato ancora una volta il Papa: “E così questo splendido mare è diventato un enorme cimitero, dove molti fratelli e sorelle sono privati persino del diritto di avere una tomba, e a venire seppellita è solo la dignità umana”. “Non possiamo rassegnarci a vedere esseri umani trattati come merce di scambio, imprigionati e torturati in modo atroce”, il grido silenzioso di Francesco: “Non possiamo più assistere ai drammi dei naufragi, dovuti a traffici odiosi e al fanatismo dell’indifferenza”.

“Le persone che rischiano di annegare quando vengono abbandonate sulle onde devono essere soccorse”,

il monito: “È un dovere di umanità, è un dovere di civiltà! Il cielo ci benedirà, se in terra e sul mare sapremo prenderci cura dei più deboli, se sapremo superare la paralisi della paura e il disinteresse che condanna a morte con guanti di velluto”.

“Alle radici dei tre monoteismi mediterranei c’è l’accoglienza, l’amore per lo straniero in nome di Dio.

E questo è vitale se, come il nostro padre Abramo, sogniamo un avvenire prospero”, ha sottolineato il Papa: “Noi credenti dobbiamo essere esemplari nell’accoglienza reciproca e fraterna. Spesso non sono facili i rapporti tra i gruppi religiosi, con il tarlo dell’estremismo e la peste ideologica del fondamentalismo che corrodono la vita reale delle comunità”.

“Oggi pure Marsiglia, caratterizzata da un variegato pluralismo religioso, ha davanti a sé un bivio: incontro o scontro”,

la tesi di Francesco, che ha ringraziato tutti coloro che si sono schierati sulla via dell’incontro, dell’ impegno solidale e concreto per la promozione umana e per l’integrazione, a partire da Marseille-Espérance, organismo di dialogo interreligioso che promuove la fraternità e la convivenza pacifica. Come lascito, le parole pronunciate da David Sassoli a Bari, nell’incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” voluto nel 2020 dalla Conferenza episcopale italiana: “Oggi sentiamo tutti, credenti e laici, la necessità di riedificare quella casa per continuare insieme a combattere gli idoli, abbattere muri, costruire ponti, dare corpo ad un nuovo umanesimo. Guardare in profondità il nostro tempo e amarlo anche di più quando è difficile da amare, credo che sia il seme gettato in queste giornate così attente al nostro destino. Basta avere paura dei problemi che ci sottopone il Mediterraneo! Per l’Unione europea e per tutti noi ne va della nostra sopravvivenza”. “Fratelli, sorelle, affrontiamo uniti i problemi, non facciamo naufragare la speranza, componiamo insieme un mosaico di pace!”, l’invito finale. Subito dopo, a braccio, Francesco si è rivolto di nuovo a coloro che salvano le persone in mare:

“Molte volte vi impediscono di andare, magari perché sulle navi manca qualcosa. Sono i gesti di odio verso il fratello travestiti da equilibrio”.

A fargli eco, poco prima, il saluto del card. Jean-Marc-Aveline, vescovo di Marsiglia: “Quando uomini, donne e bambini, che non sanno nulla di navigazione, che fuggono dalla miseria e dalla guerra, vengono derubati dei loro beni da trafficanti disonesti, che li condannano a morte facendoli salire su vecchie e pericolose imbarcazioni, questo è un crimine! E quando le istituzioni politiche vietano alle Organizzazioni non governative e anche alle navi che incrociano in queste acque di portare soccorso ai naufraghi, è un crimine altrettanto grave e una violazione del diritto internazionale marittimo più elementare”. Il primo giorno del viaggio marsigliese è cominciato con la preghiera mariana con il clero diocesano di Marsiglia, al centro del quale il Papa ha collocato un incrocio di sguardi: “da una parte quello di Gesù, dall’altra quelli di tanti uomini e donne di ogni età e condizione”. Il primo è uno sguardo di misericordia, quello di Gesù che accarezza l’uomo: “È uno sguardo che va dall’alto in basso, ma non per giudicare, bensì per rialzare chi è a terra”. Il secondo è uno sguardo di intercessione: “Apriamo le porte delle chiese e delle canoniche, ma soprattutto quelle del cuore”.

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Apostolato del mare: la fraternità per sovvertire una cultura che condanna alla solitudine

“Una terapia di fraternità per sovvertire una cultura che condanna i marittimi alla solitudine e isola; genera freddezza ed esaurisce; conduce a stanchezza e depressione”. È la strada che don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per l’Apostolato del mare, indica ai referenti diocesani, ai cappellani e ai volontari delle associazioni Stella Maris riuniti a Civitavecchia per il secondo convegno dell’Apostolato del mare in Italia. L’incontro, dal titolo “I marittimi: dalla solitudine alla fraternità”, ha visto la partecipazione di oltre sessanta delegati.

La fatica e la solitudine dei marittimi, le migrazioni e l’incontro tra culture, la cura del creato e la biodiversità, il primato dell’economia a scapito della dignità delle persone: sono “le sfide” a cui la Chiesa è chiamata a dare una risposta.

Ad indicarle è stato mons. Gianrico Ruzza, vescovo delle diocesi di Civitavecchia-Tarquinia e Porto-Santa Rufina ed anche promotore dell’Apostolato del mare in Italia, che ha aperto il convegno insieme al sindaco della città, Ernesto Tedesco, presso la sala conferenze del Forte Michelangelo. La rassegna si è svolta in tre sessioni che hanno messo al centro i temi che interpellano la “gente di mare”. Filo conduttore è stata l’enciclica Fratelli Tutti con la frase “Rimane sempre uno spazio per il dialogo”. Il sabato mattina è stato invece dedicato all’apporto dei marittimi al cammino sinodale della Chiesa italiana. “Abbiamo scelto il tema della solitudine – ha detto il presule – perché come Chiesa abbiamo imparato molto dal cammino sinodale”. “In questi due anni – ha aggiunto – ho ascoltato il grido di dolore di coloro che sono rimasti imbarcati lunghi mesi a causa del Covid, dei pescatori vittime delle eccessive restrizioni, dei lavoratori sfruttati. Siamo qui – ha aggiunto mons. Ruzza – con la voglia di una ricerca autentica della verità, alla luce della tradizione del mare, della vita di chi lo ama e della Dottrina sociale della Chiesa”.
Don Bignami ha tracciato alcune “attenzioni” che cappellani e volontari sono chiamati a coltivare: “Occorre aiutare la comunità cristiana ad aprire gli occhi sulle persone invisibili e che, invece, sono una colonna del mondo economico odierno. Senza marittimi non ci sarebbe commercio. Tuttavia, non possiamo accettare che tale economia sia sostenuta sistematicamente sullo sfruttamento dei lavoratori”.
Il sacerdote suggerisce di allargare lo sguardo sui problemi umani e psichici, ma anche di non lasciarsi intrappolare dalla tentazione di “essere dei superman che risolvono tutto”: l’invito a seguire l’esempio del Samaritano “imparare a fare la propria parte, senza dimenticare di far affidamento su chi ha maggiori competenze”.
Don Bignami ha poi sottolineato l’importanza del dialogo:

“L’ambiente marittimo si caratterizza per la presenza di persone provenienti da mondi culturali, religiosi, sociali molto differenti tra loro. La cassetta degli attrezzi di una pastorale d’ambiente non deve mancare della capacità di dialogo”. Si tratta di un dialogo paziente che si alimenta con la ricerca di punti di contatto e l’ascolto umile.

Su questi temi si è svolta la tavola rotonda coordinata da don Gabriele Quinzi, sacerdote salesiano e figlio di un marittimo. A mettere l’accento sulla formazione per i lavoratori del mare è stata Paola Vidotto, direttrice dell’Accademia della Marina Mercantile di Genova, parlando dell’impegno ad educare i giovani marinai per “reagire alle avversità imparando ad attivare le proprie risorse”; “superare l’analfabetismo emotivo abituandosi a socializzare”; “saper leggere e interpretare i diversi contesti di vita”. Francesco Buscema, psicologo dell’Università di Torino, ha illustrato i risultati della ricerca “Ma come fanno i marittimi?” realizzata nell’ambito del progetto “Psicologia del mare”. Da 880 interviste a lavoratori imbarcati è emersa “la richiesta costante di tempo da dedicare al riposo” e di “ambienti di qualità dove si faccia fraternità”. “Non basta fornire ai lavoratori una postazione internet – ha detto – ma anche spazi e tempi di socialità, di riposo e di momenti di confronto con chi comanda l’equipaggio”. Enrica Mammuccari, segretaria generale della Uila Pesca, si è soffermata sulla grave crisi del comparto e sulle difficoltà del ricambio generazionale in un settore che ha perso 35mila addetti dal 2005. Oltre a un essere “difficile, rischioso e pagato male”, quello del pescatore è anche un lavoro che “ha una cattiva narrazione”. “È passata l’idea, non solo per la pesca, che tutti i lavori faticosi siano poveri e vengano disconosciuti socialmente. I giovani hanno paura di sentirsi umilianti e marginalizzati. Spesso – ha aggiunto la sindacalista – si imputa ai pescatori anche la responsabilità della distruzione delle risorse marine. È innegabile che la pesca abbia un impatto sull’ambiente, ma ritengo che sia come tutte le attività antropiche”.

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73ª Settimana liturgica nazionale. Mons. Maniago: “Un’esperienza di vita cristiana e di fraternità”

Si è svolta dal 28 al 31 agosto a Chiavari la 73ª Settimana liturgica nazionale sul tema “‘È bello per noi essere qui. Bellezza e verità del celebrare cristiano”. “Coniugare semplicità, bellezza e nobiltà sembra essere una sfida che il nostro tempo è chiamato a raccogliere. Quando celebriamo con tale stile, noi stessi diventiamo semplici, belli, nobili, ossia partecipi di quella dignità che deriva dall’essere toccati dal dono di Dio”, ha scritto il segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, in un messaggio al mons. Claudio Maniago, presidente del Centro azione liturgica (Cal), che ha promosso l’evento insieme con la diocesi di Chiavari. A mons. Claudio Maniago, che è anche arcivescovo di Catanzaro-Squillace, abbiamo chiesto un bilancio della Settimana.

Eccellenza com’è andata la Settimana

Si è realizzato quello che è stato il titolo della nostra Settimana, a partire dalla citazione biblica: “È bello stare qui”. È stato bello essere insieme a Chiavari per il clima che si è creato. Infatti, la Settimana liturgica non è solo un convegno, è un evento, un momento veramente ecclesiale in cui, oltre alla riflessione che è una parte importante di questi giorni, c’è anche il momento celebrativo, che è accurato, coinvolgente. Poi c’è anche il momento di fraternità. Sono elementi che fanno parte della Settimana liturgica e che si sono realizzati armonicamente sia per la bella presenza di aderenti – il trend dopo la pandemia è in ascesa – sia per l’accoglienza, l’organizzazione da parte della diocesi di Chiavari, che davvero è stata esemplare. A questo hanno contribuito il livello dei relatori e la loro capacità di immergersi nella Settimana liturgica – la maggior parte ha vissuto con noi questi giorni – e coloro che sono venuti a celebrare, a partire dal presidente della Cei, il card. Matteo Zuppi, che ha voluto gustare e sottolineato il clima che ha trovato che è ben oltre quello di un semplice convegno. Per noi ritrovarci a riflettere sulle dinamiche della nostra fede, i pilastri della nostra fede, non può che aiutarci e già la Settimana liturgica è un’esperienza di vita cristiana e di fraternità.

(Foto: pagina Facebook Centro azione liturgica)

Cosa è emerso in particolare dalla Settimana

Il percorso pensato per questa Settimana liturgica è stato interpretato in maniera magistrale dai nostri relatori che si sono integrati in modo ottimo. La prolusione di mons. Bruno Forte, un maestro da sempre in questo campo, ha messo i punti fermi da cui partire. Ha delineato i tratti di una cattedrale che andavamo a costruire. Essendo un tratto della Settimana liturgica l’interdisciplinarità, abbiamo avuto contributi a diversi livelli. Rosanna Virgili ha fatto vedere come nella Bibbia il tema della bellezza-verità sia pregnante, importante, a cominciare dalle prime pagine della Scrittura in cui Dio giudica la creazione bella, buona, frutto di una donazione, e alla luce di questo arrivare a parlare fino alla nostra liturgia come qualcosa di bello perché rende presente l’incontro con il Signore e i fratelli, che diventa una cosa bella, che redime, purifica, che fa vivere con pienezza il progetto di Dio su di noi. Don Vito Mignozzi ha affrontato, da un punto di vista teologico, come la bellezza e la verità stiano nella presenza del Signore nella liturgia. E poi c’è stato l’approccio liturgico con don Loris Della Pietra, il quale ha preso spunto dalla “Desiderio desideravi”, il documento che ci ha guidato nella Settimana, proprio partendo dalle esortazioni che essa contiene e che chiedono una maggiore attenzione al linguaggio simbolico. Noi non possiamo vivere senza un linguaggio simbolico: la liturgia è un laboratorio assolutamente importante, decisivo, per mettere in campo la nostra capacità di un linguaggio simbolico, che deve essere educata. Qui rientra il discorso della formazione, al quale si è agganciato mons. Vittorio Viola spiegando come la formazione non sia semplicemente l’acquisizione di nozioni, ma l’essere educati a una maggiore consapevolezza di quanto la liturgia sia un incontro reale da vivere e di cui poi godere i frutti. Parlare di liturgia significa anche parlare di vari ambiti che non sono collaterali o opzionali perché la liturgia coinvolge tutta la persona, non solo la mente, ma prima ancora il cuore e anche i sensi: quindi è importante anche com’è organizzato lo spazio dove si celebra e di questo si è parlato in una tavola rotonda con l’intervento di un architetto, poi la musica e il canto, che non sono un riempitivo della liturgia, ma una realtà da curare in quanto parte integrante di questo linguaggio simbolico che deve stimolare una partecipazione sempre più attiva. L’ultimo giorno un uomo di Chiesa e di comunicazione, come padre Enzo Fortunato, ci ha esortato ancora di più a immergerci nella bellezza della liturgia per esserne testimoni.

(Foto: pagina Facebook Centro azione liturgica)

Quali sono i problemi attuali delle nostre liturgie? Il Papa ci mette in guardia dal rischio di un “estetismo rituale”, ma è da evitare anche la sciatteria nelle nostre celebrazioni.

Il nostro celebrare ce lo ha offerto la riforma che scaturisce dal Concilio Vaticano II e nella Settimana si è spesso fatto riferimento al Concilio e alla Costituzione Sacrosanctum Concilium, nel suo 60° anniversario, per non perderne la memoria delle nostre radici. Da questo punto di vista il lavoro da fare è ancora tanto per evitare di cadere nella tentazione da una parte di rinchiudersi in quello che appunto il Papa chiama, nella “Desiderio desideravi”, “estetismo rituale”, quindi chiudersi solo nelle forme senza andare a cercare la realtà dell’esperienza che è profondamente umana e coinvolgente a 360 gradi tutta la persona, ma dall’altra anche di ridurre la liturgia a una semplice cosa da fare, senza una cura dei vari aspetti. Nel messaggio per la Settimana del card. Pietro Parolin in cui riportava anche la vicinanza del Santo Padre richiamava a un impegno che va anche nella cura dei particolari della liturgia, perché la sua bellezza si sprigiona quando tutti i linguaggi sono in azione, per cui è necessaria un’attenzione e non una superficialità per quelli che sono gli aspetti che con semplicità, ma anche con dignità, nobiltà direbbe il Concilio, vanno messi in atto, non estetismi che ci chiudano e allontanino l’atto liturgico da una reale partecipazione del popolo di Dio, ma neanche una sciatteria che ci faccia relativizzare questo momento che è fondamentale. Non dimentichiamo che l’atto liturgico è un dono che il Signore ci ha fatto perché la Sua presenza possa continuare a guidare la nostra vita.

Per evitare questi rischi cosa è necessario? La formazione di cui parlava prima

Sì, durante la Settimana la parola che è ritornata molte volte è proprio formazione. Innanzitutto, è una formazione alla liturgia, cioè bisogna evidentemente penetrare in un contesto simbolico come la liturgia, bisogna essere iniziati, bisogna conoscerne i linguaggi e questo è compito dell’iniziazione cristiana. Già ai fanciulli dobbiamo dare non solo i rudimenti della dottrina, della fede, ma anche quelle che sono le dinamiche che porteranno i bambini, i ragazzi, i giovani a entrare in questo dialogo reale con il Signore. Non solo: una formazione alla liturgia non deve essere mai data per scontata anche per gli adulti e per chi celebra da tanto tempo, una formazione che è sempre importante anche in chi è chiamato a presiedere le liturgie come i ministri di culto, vescovi, presbiteri, diaconi. C’è una consapevolezza che va sempre alimentata e resa viva proprio perché non perda la sua freschezza e la sua concreta efficacia. Poi, c’è una formazione dalla liturgia. La liturgia stessa se celebrata in modo opportuno, con quell’attenzione e quella disciplina, che ci richiama a quella dinamica di fedeltà che è propria di ogni atto di amore, ci forma non soltanto alla celebrazione cristiana, ma anche alla vita cristiana, una vita vissuta sempre nella reale presenza del Signore accanto a noi, che non è solo una meta da raggiungere ma una compagnia che cammina con noi.

Dove sarà la Settimana liturgica nel 2024?

Il prossimo anno celebreremo la Settimana liturgica nell’arcidiocesi di Modena-Nonantola.

Per concludere vorrei sottolineare il fatto che la Settimana liturgica, promossa dal Centro di azione liturgica, è un’esperienza guardata con attenzione e sostenuta sia dalla Santa Sede, tanto che non è mancato il messaggio da parte della Segreteria di Stato, con la benedizione del Santo Padre, sia dalla Chiesa italiana, quest’anno presente attraverso il suo presidente, il card. Matteo Zuppi.

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Vicariato apostolico di Anatolia. Padre Ilgit: “La speranza di poter essere un ponte di fraternità”

(Foto Vatican Media/SIR)

“Essere d’aiuto per l’intera Chiesa di Turchia, unendomi a chi già da anni serve quella Chiesa con silenzioso impegno e in umiltà, per promuovere insieme la pace, consolare gli afflitti, soprattutto i terremotati, dare speranza ai giovani e servire nella carità i rifugiati”. Sono le prime parole pronunciate da padre Antuan Ilgit che ieri, lunedì 28 agosto, Papa Francesco ha nominato vescovo ausiliare del Vicariato apostolico di Anatolia (Turchia). Nato a Hersbruck (Germania), il 22 giugno 1972, da genitori turchi, è cresciuto in Turchia, a Mersin di Cilicia, a pochi chilometri da Tarso. È il primo e unico gesuita di nazionalità turca. E per la prima volta nella sua storia recente, la Turchia potrà contare su un vescovo originario di questa terra.

“Stavo facendo i miei Esercizi spirituali a Malta”, racconta, “quando qualcuno mi ha contattato per dirmi: ‘Il Santo Padre ti ha nominato vescovo ausiliare per il Vicariato dell’Anatolia. Lo accetti?’”. “Sono grato al Signore per questa nomina sebbene mi senta totalmente indegno”, dice oggi al Sir. “Sono grato anche al Santo Padre che con questa nomina non ha solo espresso la sua fiducia in me ma soprattutto nella Chiesa di Turchia e nei suoi giovani che ha appena incontrato a Lisbona”. Il riferimento è all’incontro che Papa Francesco ha avuto a Lisbona con i giovani turchi presenti alla Gmg. “Aveva detto loro: ‘Ora dovete ricostruire le vostre vite. Siete giovani e forti, siate coraggiosi!’”, ricorda padre Ilgit e quest’attenzione del Santo Padre verso i giovani “mi responsabilizza ancora di più” anche perché – spiega il sacerdote – “sono soprattutto i giovani le pietre vive con cui ricostruire ciò che il terremoto ha distrutto”.

Nel descrivere il suo popolo e la piccola ma viva Chiesa cattolica di Turchia, padre Ilgit ricorda una catechesi ascoltata a Barcellona, sulla via di Lisbona, pronunciata da un suo confratello gesuita p. Jean-Paul Hernandez. “Ci aveva accennato ad un aforisma di Antonio Gaudì che rimandava all’immagine dei ‘cocci di vasi rotti uniti dalla Divina Sapienza in un magnifico mosaico’. Oggi quando penso alla Chiesa in Turchia che amo, davanti ai miei occhi si realizza per davvero questo magnifico mosaico. Anche perché la Chiesa in Turchia con tutti i suoi fedeli, dai cristiani autoctoni agli studenti africani e ai rifugiati cristiani, è composta da tanti cocci rotti, che nel loro insieme risplendono”. “Essere un figlio di quella terra non mi rende speciale da solo”, prosegue. “La mia nomina raggiungerà il suo pieno significato solo nel lavoro d’insieme che faremo e che i vescovi, preti, suore, consacrati laici di tutte le nazionalità con molta dedizione in modo silenzioso portavano già avanti. Insieme siamo quel mosaico magnifico”. Il pensiero di padre Ilgit va al vescovo, mons. Paolo Bizzeti, a tutti i confratelli nell’episcopato che “con grande entusiasmo hanno colto la mia elezione a vescovo ausiliare”. Anni fa mons. Luigi Padovese – il vescovo italiano ucciso nel 2010 a coltellate dal suo autista – gli aveva scritto: “Sei un dono per la nostra Chiesa di Turchia; sei un dono prezioso. Ora dai quello che hai ricevuto: pace, consolazione, speranza, carità”. Nel raccontare il servizio finora svolto, a fianco del vescovo Bizzeti e in piena collaborazione con le autorità civili e l’amministrazione pubblica, padre Ilgit da “cittadino turco” conclude: “Questo mi dà molta speranza per poter essere un vero ponte, anche perché qui la Chiesa da sempre ha voluto promuovere la fraternità, la convivenza, lo sviluppo umano-sociale. Con passi umili ma sinceri continueremo a rimanere disponibili. La Turchia che da sempre è stata la culla di tante civiltà, ha sempre avuto le potenzialità per promuovere la ricchezza dell’unità delle differenze, la pace e la convivenza”.

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Cammino sinodale in Umbria. Assisi e Foligno: “Riseminare la fraternità”. Orvieto-Todi: “Il Cantiere del futuro e della speranza ‘appaltato’ ai giovani”

Riseminare la fraternità: quest’obiettivo ha accomunato il cammino delle Chiese sorelle di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Foligno, unite in persona Episcopi, mons. Domenico Sorrentino, nel secondo anno di Cammino sinodale.

(Foto: diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino)

“Fraternità attraverso le piccole comunità: per ri-seminare la fraternità portando Gesù nelle case” è il tema affrontato nel Cantiere sinodale della diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino. “Per comprendere il percorso sinodale universale di questi ultimi due anni dobbiamo volgere lo sguardo indietro nel tempo quando, nel 2012, nella diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino è iniziato il cammino del Sinodo diocesano indetto dal nostro vescovo Domenico Sorrentino dopo una visita pastorale alla diocesi”, al termine del quale, racconta fr. Emanuele Gelmi, referente del cammino sinodale diocesano, “il vescovo ha infine consegnato all’intera comunità diocesana il libro contenente i decreti sinodali quale orientamento e norma sui vari aspetti della vita pastorale e per promuovere il rinnovamento e lo slancio pastorale. È seguita una seconda visita conclusasi il 30 ottobre 2022”. In questo contesto di Sinodo svolto e vissuto da poco, prosegue il religioso, “abbiamo accolto con gioia l’iniziativa dei vescovi di un Sinodo universale che declinava le parole di Papa Francesco: ‘Il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio’”. Fr. Gelmi evidenzia: “Ci siamo resi conto come il Cammino sinodale già fatto aveva portato i suoi benefici.

(Foto: diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino)

Si è colto come segno forte dello Spirito il fatto che – a fronte di un grande desiderio di una Chiesa plasmata sul modello familiare emerso anche dalla nostra sintesi del primo anno – la diocesi già da dieci anni aveva avviato un progetto di rinnovamento attraverso le Comunità Maria Famiglie del Vangelo, pienamente corrispondente alla proposta del secondo Cantiere sinodale ‘l’ospitalità e la casa’. Il modello di questi gruppi è la prima comunità cristiana che si ritrovava nelle case, la loro specificità è il ritrovarsi intorno al Vangelo nelle abitazioni, rendendo lì presente la comunità ecclesiale, per poi ritrovarsi insieme la domenica per la celebrazione eucaristica parrocchiale. Il piccolo numero da cui sono composte (8-10 persone) consente di condividere e fare esperienza comunitaria della Parola, crescere in scelte di vita e di amore fraterno e sostenersi nelle fatiche”.

(Foto: diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino)

La proposta del secondo anno del Sinodo universale, precisa fr. Emanuele, “è stata rivolta innanzitutto a chi partecipava già attivamente al progetto diocesano delle Comunità Maria Famiglie del Vangelo e poi alle aggregazioni laicali sia prese nei loro ambiti specifici che coinvolte insieme, con l’attenzione e l’apertura costante a tutti”. Il religioso afferma:

“Abbiamo sperimentato che il processo sinodale ci incoraggia e spinge a maturare nella reale e profonda capacità di ascolto, di cui parte necessaria è fare veramente il vuoto dentro di sé per accogliere quanto lo Spirito sussurra in noi e viene espresso da tutti i compagni di cammino, anche da coloro che di fatto rischiamo di non tenere presenti. Questo tempo speciale ha certo permesso di diventare maggiormente consapevoli e responsabili, sperimentando di più e meglio il metodo nelle strutture sinodali già presenti e attive nella nostra diocesi”.


Il Cantiere dedicato a “Una preghiera per ri-evangelizzare le case – Piccole comunità per ri-seminare la fraternità”, affrontato nella diocesi di Foligno, dice la referente per il Cammino sinodale, Ortensia Marconi, “è aperto fin dal primo anno della fase di ascolto: siamo stati interpellati sia dalla situazione esistenziale della famiglia, caratterizzata da grande sofferenza e disagio, sia dalla necessità di recuperare la dimensione affettiva e familiare all’interno delle nostre comunità”. Ed “è emersa in maniera significativa la richiesta che la famiglia diventi, allo stesso tempo, uno degli ambiti prioritari della missione della Chiesa diocesana e soggetto di missione. Richiesta che ha trovato prontamente riscontro da parte del vescovo, mons. Domenico Sorrentino, dapprima nella lettera pastorale, ‘Vangelo, Famiglia, Giovani. La nuova frontiera della missione’ e successivamente nella proposta per la pastorale della diocesi e delle parrocchie in una prospettiva di rinnovamento fondata sul ‘principio-famiglia’ che è lo stesso insegnato da Gesù: rapporti ‘tu-a-tu’, nella logica del ‘volto’, che sono essenziali all’essere famiglia”.


Le “Famiglie del Vangelo”, percorso individuato dal vescovo come “strutturalmente missionario”, “attendono di diventare realtà e rappresentano il processo che la diocesi vorrebbe far crescere nei prossimi anni”. Allo stesso tempo invitano ad

“allargare lo spazio della nostra tenda” con particolare “attenzione alla disabilità e al lavoro”.

Per la prima, il progetto diocesano di evangelizzazione “Dopo di noi”, spiega la referente del Cammino sinodale, “si sviluppa quale risposta al bisogno della persona con disabilità priva del sostegno familiare di vivere e realizzarsi con una famiglia che la accolga riconoscendone dignità, abilità e specificità. È la strada per promuovere un processo di ‘fecondità allargata’ che diventi per le nostre parrocchie e associazioni possibilità concreta di vivere e praticare in modo reale e quotidiano la solidarietà, la prossimità e l’inclusione e, allo stesso tempo, preziosa occasione di evangelizzare la disabilità e lasciarsi evangelizzare dalla fragilità e dalla precarietà di questi fratelli e sorelle”. Per il secondo (il lavoro), l’annuale assemblea diocesana ha promosso una riflessione “affinché al Vangelo della casa si affianchi il Vangelo del lavoro ponendo lo sguardo dentro le dinamiche della vita, del territorio, dell’economia, della politica”.

Nella diocesi Orvieto-Todi al centro del secondo anno del Cammino sinodale è stato il Cantiere del futuro e della speranza. “La diocesi di Orvieto-Todi ha appaltato il quarto cantiere ai giovani, perché lo scorso anno era emersa una riflessione sincera, appassionata, lucidamente critica, ma anche piena di amore per la chiesa, da parte del gruppo giovanile diocesano. Il verbo ‘appaltare’ è stato suggerito dal nostro vescovo, mons. Gualtiero Sigismondi, per sottolineare che i protagonisti del cantiere erano i giovani, che si sarebbero mossi autonomamente. E c’è stato anche un gesto concreto di affidamento del Cantiere, l’incontro della Scuola della Parola durante l’Avvento”, racconta Michela Boccali, referente diocesana del Cammino sinodale.


“L’esperienza del quarto Cantiere si è focalizzata sulla testimonianza che i giovani della nostra diocesi si trovano a dare negli ambienti che abitano e sentono propri. Ma come interfacciarsi nelle realtà laiche, talvolta atee, del lavoro, delle associazioni, dello sport, non mascherando la propria identità di figli amati? Questa è stata la domanda cardine che, attraverso la modalità della conversazione spirituale tra giovani provenienti dalle diverse realtà presenti sul territorio, ha permesso di individuate le caratteristiche dell’atteggiamento dei testimoni credibili: ci vuole uno sguardo avvolgente, cattolico, ampio, quello di una Chiesa con una maternità da allargare; un avvicinarsi all’altro con discrezione, con una domanda e non con una risposta, ma con fierezza e coraggio, eliminando la paura di non essere all’altezza, poiché Dio non sceglie i capaci, ma ci rende capaci nelle situazioni della nostra vita”, osserva Boccali. È emersa anche “la necessità di aggiornare le modalità comunicative, perché molto spesso l’immagine che i giovani si trovano a dover smontare è quella di una Chiesa avulsa dalla società ed arroccata nelle proprie certezze, che sicuramente non parla la loro lingua, tantomeno quella dei coetanei esterni.

La Chiesa che sognano i nostri giovani è invece una Chiesa viva, che sappia parlare un linguaggio contemporaneo, che si ponga le questioni più spinose, sempre con uno sguardo aperto agli ultimi e alle povertà del reale.

Sognano una Chiesa meno clericale, in cui la loro voce venga ascoltata di più”. I giovani hanno infine raggiunto le varie realtà sociali in cui singolarmente sono coinvolti, attraverso delle interviste provocatorie con la domanda “Credi che la Chiesa possa avere un ruolo nel processo formativo dei giovani? E nella realtà che rappresenti?”. Questo processo, non ancora concluso, “mostra già alcuni frutti, soprattutto nella ritrovata creatività e spinta a lavorare con particolare attenzione nel mondo scolastico, in cui spesso l’insegnamento di religione sortisce l’effetto di una contro-testimonianza poco credibile”.


Inoltre, nel lavoro del Cantiere della strada, “l’equipe diocesana si è resa conto di un possibile e fecondo sviluppo futuro tra il secondo e il quarto Cantiere. Gli amministratori comunali cattolici ascoltati hanno segnalato una solitudine e un abbandono da parte della comunità ecclesiale e al tempo stesso hanno espresso il bisogno di accompagnamento, perché l’impegno in prima linea rischia di prosciugare le fonti e le motivazioni profonde; d’altro canto, i nostri giovani sono attratti da ‘testimoni’, persone che vivono ciò in cui credono, pur sbagliando e facendo errori. Per avvicinare i giovani alla politica, c’è bisogno di incontrare chi lavora, come lavora e perché lo fa. E avere dei giovani da incontrare, viceversa, significa dare futuro e senso all’impegno politico degli amministratori”. In questo contesto, conclude Boccali,

“si pensa di avviare, dal prossimo anno, l’esperienza della ‘cattedra dello statista’”.

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