Campania. Elezioni regionali, Gasparri (FI) ‘gela’ Zinzi, puntando tutto su ‘non politicanti’

'Se un uomo non ha il coraggio di difendere le proprie idee, o non valgono nulla le idee o non vale nulla l'uomo' (Ezra W.Pound)
Sono decenni ormai che si coltiva l’idea che gli Stati Uniti siano la quintessenza dell’imperialismo, la fonte di tutte le guerre, la causa di ogni male. A voler selezionare e catalogare questo preconcetto ne verrebbe fuori una sintesi tassonomica, ovvero una classificazione sulle diverse cause di quella che appare come una vera e propria idiosincrasia nei confronti degli States, che affonda le proprie radici in quell’ideologia politica che combatte il capitalismo in ogni sua forma e manifestazione. Compresa l’esaltazione del libero mercato di concorrenza e dunque della competizione stessa. Molto meglio, per gli anti-americani, mettersi sotto l’ala protettiva dello Stato, che di tutto si occupa e di tutti si preoccupa. Uno Stato capace di forgiare una società più giusta perché costruita sugli uguali, ossia preordinata e programmata in modo che ciascuno possa ricevere la propria porzione di benessere e di tranquillità. Uno Stato che coordina, decide e garantisce. Peccato però che così non sia mai stato nonostante il postulato accreditato sotto il nome di “giustizia sociale” al quale qualunque politicante fa ricorso e si aggrappa quando intende spendere i soldi del contribuente!! Falso perché, innanzitutto, la competizione, sotto l’imperio delle leggi e dei controlli che la disciplinano, è una forma altissima di collaborazione, senza la quale non avremmo avuto progresso tecnologico, merceologico e benessere. Ad esempio: sport e scienza sono competitivi ed è grazie a questa leale ed ordinata competizione che si migliorano i record, si approda a nuove scoperte, si premiano i più capaci e si induce quel cambiamento che ci tiene al passo con la modernità. Confondere pertanto l’uguaglianza con la giustizia rappresenta un errore marchiano. Che è poi quello di fondo commesso dagli idolatri dello statalismo, dal momento che fare parti eguali tra diseguali è la più grande delle ingiustizie, che penalizza i più talentuosi per equipararli a quelli meno dotati. Basterebbe invece sostituire il concetto di uguaglianza con quello di equità per rendere migliori le cose ed i rapporti stessi tra gli esseri umani. Un’industria che compete sulla base delle nuove tecnologie di cui è dotata, avrà bisogno di forza lavoro qualificata e ben pagata. Non la si potrà mai mettere nelle mani di uno Stato che se ne frega altamente dell’efficienza degli esiti. Va da sé che coloro i quali non possono competere – non quelli che non vogliono! – avranno comunque ogni forma di protezione dalla rete sociale che i contribuenti stessi finanzieranno sulla base della ricchezza prodotta da ciascuno di essi. Ahinoi, purtroppo questo è il modo di vedere il mondo contrario agli incapaci, agli svogliati, agli incolti, agli invidiosi ed ai rancorosi sociali. In questo brodo di cultura nasce l’avversione al capitalismo, alle “big society”, alle nazioni, prima di tutti gli Usa, nelle quali vige l’uguaglianza delle opportunità e non quella degli esiti di vita etero imposti dalla programmazione statale. Poiché il presupposto al capitalismo è la libertà di poter fare, di rivendicare diritti civili e autonomia di impresa, la difesa della libertà degli individui diventa il necessario, ontologico, presupposto per la democrazia. Gli Stati Uniti vengono bollati dai socialisti e dai leader degli Stati illiberali come facitori di conflitti, eppure quel Paese le guerre le ha fatte prevalentemente per difendere la libertà e la democrazia degli altri. Una lezione che è scritta nei libri di Storia e che nessun mistificazione contemporanea potrà mai cancellare. Gli Americani non hanno mai aggredito oppure occupato altre nazioni, ed anche la guerra a talune satrapie medio orientali (Iraq e Afghanistan in primis) è scaturita da atti premeditati contro gli interessi e la vita degli statunitensi. L’11 settembre 2001 con l’attacco alle Torri Gemelli di New York, rappresenta, in tal senso, la prova più eclatante. Ma non si tratta solo di un giudizio fine a sé stesso per amore di verità, di valori storici e politici, quanto anche di un diretto interesse economico per i paesi in cui vige il libero scambio. L’incertezza sugli esiti del voto negli Usa, il pericolo della vittoria del populismo aggressivo di Donald Trump, il disimpegno americano che ne deriverebbe, per l’arrendevolezza confusionaria della Casa Bianca, sta devastando i mercati affossando le borse. Questo significherà aumento del costo del denaro, speculazione finanziaria, meno credito alle imprese, meno lavoro, meno ricchezza, meno “liquidi” nella casse dello Stato, tasse ed interessi più alti sui mutui, debito statale in aumento. Questo evidentemente non interessa ai nostri Fratoianni, Bonelli e Franceschini, i quali hanno anche le mogli in Parlamento. E neanche alla “proletaria” Elly Schlein, milionaria di famiglia. Ma a tanta brava gente sì, che non avrà mai da temere laddove libertà, democrazia ed individui sono sacri.
*già parlamentare
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L’anno delle elezioni – questo 2024 – prosegue mantenendo la sua carica potenziale ed effettiva di movimentazione della situazione politica internazionale. I mutamenti nel Regno Unito e in Francia ne sono un esempio eloquente; mentre le conferme, a volte scontate e a volte no, in altre nazioni (dalla Confederazione Russa all’India, all’Iran…) rivelano le modalità e le concezioni diverse del metodo elettorale e del suo influsso sulle politiche degli Stati. Si va concludendo l’iter della nuova governance europea innescato dalla grande operazione elettorale continentale del giugno scorso, con un rinnovamento inferiore a quanto ci si poteva attendere dai risultati, con il bis alle presidenze del Parlamento e della Commissione: e attendiamo con ansia quanto ciò potrà influire sulle pressanti problematiche dei 27 (e di quanti saranno ammessi all’UE). In quest’ampio panorama che prevede, ad esempio, ad ottobre ancora un appuntamento alle urne per un grande Paese, il Brasile, indubbiamente la scadenza del 5 novembre, quella cioè che chiamerà ai seggi la popolazione degli Stati Uniti d’America, è la più rilevante, non fosse solo per l’enorme battage suscitato, oltre che ovviamente per il peso preponderante che ha quella nazione sull’intera geopolitica mondiale; ma anche perché queste sono davvero “elezioni”, non certo una messinscena come ad esempio quelle russe. In questa tornata c’è poi un elemento in più che ha sconvolto i piani di quanti già avevano calcolato sondaggi e previsioni: il ritiro, per quanto possa apparire tardivo o in qualche modo obbligato, del principale contendente, cioè l’inquilino della Casa Bianca che puntava decisamente a un suo bis. Il gesto di Biden si può giudicare diversamente, ma sta di fatto che, alla fine, ha saputo anteporre quello che anche lui ha ritenuto l’interesse del Paese al proprio. E non tanto per l’età – poiché di ultraottuagenari ai vertici non mancano esempi: lo stesso nostro presidente Mattarella ha compiuto 83 anni qualche giorno fa, e il papa, la cui responsabilità non è di poco peso, viaggia verso gli 88; senza riandare alla gerontocrazia che ha guidato l’URSS nella sua ultima fase – ma per la consapevolezza della propria fragilità e dei propri limiti. Anzi – ha affermato -, per dedicarsi più completamente, con le residue efficaci energie, agli ultimi sei mesi impegnativi di governo. Le carte, dunque, vengono così rimescolate. Il malcelato disappunto del contendente Trump, che sembra irridere la nuova antagonista designata, la vicepresidente Kamala Harrys, si è rivelato nell’assurda richiesta di risarcimento per le spese di gran parte della campagna orchestrata fin qui contro Biden… Il tycoon, ormai così sicuro di stravincere, persino come “unto del Signore”, ora avrà qualche dubbio di fronte ad una figura, questa sì, molto più giovane che fa risaltare la di lui vicinanza agli 80. I sondaggi sono ancora tutti a favore di Donald, ma per Kamala si sono già mobilitati in molti, con tanto di sostegno economico (oltre 100 milioni di dollari raccolti praticamente in due giorni!), a quanto pare fondamentale nel gioco elettorale statunitense. In realtà sarà ufficialmente nominata candidata alla convention di Chicago il 19 agosto (dai conteggi non si prevedono sorprese). I demeriti della sua vicepresidenza, che sembrano essere più dei meriti, potrebbero frenare la sua ascesa allo studio ovale. Ma se molti, anche da noi (soprattutto i filoputiniani, in buona compagnia con i vari autocrati mondiali), potrebbero gioire della vittoria di Trump, l’affermazione del tycoon renderebbe certamente più fragile lo schieramento delle democrazie occidentali, compresa la UE che si troverebbe a fare i conti concretamente con le avvisaglie già più volte emerse (il protezionismo dell’America First, le questioni di sicurezza e difesa connesse all’indebolimento della Nato, guerre rapidamente concluse ma senza una “pace giusta”, ecc.). Intanto sogniamo una pace ispirata alla “tregua olimpica”, come chiede il papa (a quanto pare inascoltato). La kermesse sportiva mondiale che si apre a Parigi questo venerdì 26 luglio fa intuire l’armonia in cui potrebbe vivere l’umanità, ma non è certo in grado di realizzarla.
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Ballottaggi, Meloni crolla nelle città e La Russa vuole cambiare il doppio turno.
FLOP FDI&C. – Male in tutti i capoluoghi di Regione e il presidente del Senato sbotta: “Questa legge elettorale è inaccettabile”
La lettura è piuttosto forzata. Il centrosinistra tiene le sue due roccaforti Firenze – grazie alla dem Sara Funaro che va oltre il 60 per cento contro Eike Schmidt – e Bari, dove Vito Leccese spazza via le polemiche per le inchieste giudiziarie sul Pd locale vincendo di 40 punti contro il leghista Fabio Romito. La vittoria più significativa è quella di Perugia con Vittoria Ferdinandi, dopo 10 anni di amministrazione di destra. Altro capoluogo strappato dai dem è Potenza, con una clamorosa rimonta di Vincenzo Telasca (64 per cento) contro Francesco Fanelli. Passa al Pd anche Campobasso, dove prima governavano i 5 Stelle: Marialuisa Forte ce la fa per un pelo contro la destra di Aldo De Benedittis. Con Cagliari, capoluogo conquistato al primo turno con Massimo Zedda, il centrosinistra fa dunque en plein, 6 Capoluoghi sui 6 (Bari, Firenze e Perugia sono in Regioni che andranno presto al voto).
Per la destra va un po’ meglio in provincia: tiene Vercelli e Urbino, strappando alla sinistra Lecce, Rovigo e Caltanissetta. FdI e alleati però cedono Vibo Valentia, mentre a Verbania e Avellino trionfano Giandomenico Albertella e Laura Nargi, due civici. Il conto è presto fatto: ai ballottaggi il centrosinistra vince in 7 città capoluogo, la destra in 5 e i civici in due. Se si considera anche il primo turno, la destra passa da 13 sindaci a 10, i 5S ne perdono 2 e il centrosinistra (in alcuni casi incluso il Movimento) passa da 14 a 17, fermi restando i due civici. Youtrend calcola che nei 224 Comuni con più di 15 mila residenti, Pd e alleati hanno guadagnato 11 sindaci e la destra 2 a scapito dei civici.
Il dato politico, dunque, fa registrare nella prima sfida alle Amministrative tra Schlein e Meloni una netta vittoria della prima. Che ieri chiama tutti, vincitori e sconfitti. E peraltro, porta a casa successi di segno opposto: il modello Firenze, nel quale il Pd targato Dario Nardella al primo turno è andato da solo; il modello Bari, dove vince il candidato di Antonio Decaro, nonostante lo strappo di Giuseppe Conte e il tentativo – come rivendicano nel Pd – di seppellire il partito sotto la questione morale; il modello Perugia, con il civismo della neo eletta Sindaca, appoggiata da tutti. E allora, la segretaria rilancia il “campo progressista”, quello delle forze alternative al centrodestra che “il Pd riesce a mettere insieme”. E mentre ancora una volta nei dem hanno vinto tutti, l’alleanza a trazione giallorosa, almeno per un giorno, finisce sullo sfondo.
(DI LORENZO GIARELLI E WANDA MARRA – Fonti: Fatto Quitidiani -Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
“Oggi c’è molta paura e ansia ed è quello che è emerso nel voto europeo. Per questo, i cristiani sono chiamati ad essere portatori di speranza. In un mondo in cui molte persone sono pessimiste e tristi perché non vedono vie d’uscita ai problemi, noi dobbiamo essere uomini e donne di speranza, non per dire che va tutto bene e che niente è grave, ma per dire che esiste uno sguardo più ampio”.
Foto Sir
È mons. Antoine Hérouard, arcivescovo di Digione e vicepresidente della Commissione degli episcopati dell’Unione europea (Comece), ad analizzare il voto europeo e le conseguenze che ha avuto nel suo Paese con la vittoria schiacciante dei partiti di destra e la decisione del presidente Macron di sciogliere l’Assemblea Nazionale e andare ad elezioni anticipate. Lo abbiamo intervistato a Roma, dove insieme alla presidenza della Comece sta partecipando ad una serie di incontri in Vaticano e con papa Francesco. “I risultati delle elezioni europee in Francia – dice subito – purtroppo non sono stati una sorpresa. Sono stati annunciati da tutti i sondaggi approssimativamente in questa proporzione”. “Credo siano il segno di un profondo disagio. Sebbene siano state fortemente centrate sulle questioni nazionali, c’è stato indubbiamente anche un giudizio abbastanza negativo nei confronti dell’Unione europea vista come un’entità distante, che si fatica a capire, troppo tecnocratica, che si concentra su molti dettagli ma non fornisce alle persone ciò che pensano di dover ricevere”.
Ma era proprio necessario andare ad elezioni anticipate?
Molti hanno criticato questa decisione dicendo che in questo modo il presidente ha messo il Paese in una situazione molto difficile. Ci stiamo avviando verso il periodo estivo e soprattutto verso i Giochi Olimpici di Parigi, che sono un appuntamento molto importante per il Paese. La scadenza inoltre è molto breve. Il termine è ovviamente previsto dalla Costituzione ma i partiti hanno poco tempo per definire il programma, scegliere il candidato. Insomma, si ha l’impressione che sia tutto un po’ affrettato e che le persone siano un po’ perse. Allo stesso tempo, va detto che dopo la sua rielezione nel 2022, il presidente Macron ha avuto una crescente difficoltà a governare il Paese, a causa del fatto che non esisteva una maggioranza assoluta nell’Assemblea Nazionale. Il governo ha dovuto così fare un ricorso massiccio all’articolo 49, comma 3 della Costituzione che consente al governo di approvare un testo anche se non ha la maggioranza. Ciò è avvenuto anche per le votazioni sul bilancio e poi per un certo numero di leggi emblematiche come la riforma delle pensioni. Il presidente ha dunque pensato che era meglio prendere l’iniziativa e avviare il processo per le elezioni legislative.
Questa situazione in Francia, l’abbiamo vista anche in altri Paesi d’Europa, vale a dire la vittoria dei partiti populisti o di estrema destra. Come legge questo dato dal punto di vista europeo?
Penso che la lettura a livello europeo sia più sfumata. Questa vittoria dei partiti di estrema destra è vera ma si è registrata in alcuni Paesi e non è così diffusa. Anzi, in alcuni Paesi abbiamo assistito addirittura ad un calo. Si è però creata una situazione alquanto paradossale: i Paesi in cui questi partiti di estrema destra o populisti hanno ottenuto il loro miglior risultato sono i Paesi fondatori dell’Unione europea. Penso ovviamente alla Francia. Ma penso anche alla Germania, al Belgio e anche all’Italia con il partito del presidente Meloni. Al contrario, nei Paesi dell’Est europeo, che in passato sono stati sensibili ai partiti di destra, si è registrato una sorta di riflusso. Anche in Ungheria dove Orban resta in testa ma il suo partito ha perso quasi 20 punti. O in Slovacchia dove il premier – nonostante l’attentato di cui è stato vittima, che avrebbe potuto portare un certo numero di elettori a sostenerlo – ha perso nei confronti di partiti più europei. E la stessa cosa in Romania. Sono Paesi arrivati nell’Unione recentemente e si trovano più vicini all’Ucraina e alla guerra russa in Ucraina. L’Unione europea è evidentemente vista come fattore di protezione del loro futuro.
Alla luce di questi risultati, quali sono le sfide che il Parlamento europeo dovrà affrontare?
Anche se alla fine i principali equilibri del Parlamento europeo non cambieranno, occorre assolutamente mettersi in ascolto del messaggio che è emerso dagli elettori e soprattutto dalla parte più critica, da chi non ha più chiaro quanto sia importante l’Unione europea e come influisce concretamente sulla vita delle persone. L’Europa inoltre si confronta sempre più spesso e in maniera determinante con il resto del mondo. Penso alle questioni economiche, commerciali e di competizione rispetto ai grandi Paesi leader come Stati Uniti e Cina. Penso alle questioni di difesa e al tema importante e molto delicato della migrazione. Sta emergendo la percezione del fatto che le soluzioni non debbano essere cercate solo sul piano nazionale ma che spesso richiedano un livello europeo. Questa percezione sta progredendo e penso che sia una buona cosa.
E le Chiese, che ruolo hanno?
La Chiesa è impegnata nella costruzione europea e lo è sempre stata, fin dall’inizio. È un progetto al quale aderiamo. Ci crediamo e soprattutto perché è innanzitutto un progetto di pace. Non dobbiamo dimenticare che l’Unione europea è nata dalla riconciliazione franco-tedesca alla fine della Seconda guerra mondiale affinché i conflitti non possano essere risolti con la guerra. È ancora questo il ruolo principale dell’Unione europea, in un momento in cui oggi i conflitti sono purtroppo alle nostre porte con la guerra in Ucraina e, in un certo senso, con la guerra in Israele e a Gaza. Crescono le tensioni e le divisioni. Le nostre società sono attraversate da discorsi di odio, di incomprensione, di giudizio definitivo sugli uni sugli altri. I cristiani dovranno sempre più dare prova di essere persone capaci di dialogare anche laddove non si hanno le stesse opinione, costruttori di ponti che accolgono e non rifiutano, artigiani di pace.
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Il quadro economico e sociale attraversato durante gli anni della pandemia ha messo a dura prova le amministrazioni comunali che si sono trovate a governare in una situazione mai conosciuta prima.
La risposta in quel momento storico è stata di un forte intervento del Governo italiano e delle istituzioni europee a sostegno dei cittadini, delle politiche sociali, della sanità pubblica e dell’equità, soprattutto attraverso il piano del Next Generation UE, caratterizzato da un imponente investimento di risorse verso l’Italia.
Questo Piano ha come principale obiettivo quello di ridisegnare l’Italia e l’Europa del futuro guardando alle prossime generazioni europee (Next Generation EU, appunto), passando per un’azione di restringimento della forbice degli squilibri tra Nord e Sud Italia, aree interne e città metropolitane e tra strati sociali della popolazione, partendo dai bisogni essenziali dei cittadini e quelli strutturali del Paese.
Un obiettivo strategico che impone la responsabilità e il coinvolgimento di forze politiche e amministrazioni che si richiamano ai valori e principi dell’Unione europea e della Costituzione italiana, imponendo un approccio nuovo, fatto della consapevolezza che non basteranno forze cittadine e risultati elettorali frutto di frammentazioni e aggregazioni personalistiche e/o di interessi locali. Che preveda un coinvolgimento concreto delle forze sociali, mettendo al bando ogni forma di trasformismo, falso civismo o qualunquismo.
Occorre una politica e un’azione amministrativa che non si limitino all’ordinaria amministrazione, ma che sappiano inserirsi coerentemente in un contesto istituzionale regionale, nazionale ed europeo coerente.
Per questo ci aspettiamo che i candidati a sindaco che vanno al ballottaggio si impegnino con atti concreti, già in questi giorni di campagna elettorale e successivamente nella loro azione amministrativa, su una serie di punti fermi, a livello nazionale e locale:
– netto contrasto alla proposta di riforma per l’autonomia differenziata, contraria ai principi di equità territoriale e sociale e a quelli del Next Generation EU e che, con l’assenza dei LEP, penalizza e danneggia ulteriormente amministrazioni e cittadini del Sud Italia allargando la forbice delle disuguaglianze con il Nord del Paese e tra la popolazione;
– netto contrasto alla proposta di riforma per il premierato, che genera confusione e conflitti di potere tra le massime autorità dello Stato e mortifica le prerogative del Presidente della Repubblica, unico vero garante dell’unità nazionale;
– certezza dell’impegno all’approvazione di un regolamento che consenta l’affidamento di lavori del comune esclusivamente a imprese che, come indicato dall’UE e presente in tutte le grandi democrazie europee, adotteranno un salario minimo di 9 euro l’ora per i propri dipendenti;
– certezza dell’impegno all’introduzione dell’assegno unico comunale, destinato alle famiglie con reddito basso e figli a carico;
– certezza dell’impegno a evitare qualsiasi ampliamento di cementificazione di suolo, con garanzia che le opere pubbliche troveranno ospitalità esclusivamente all’interno della “città consolidata”, recuperando i “luoghi perduti” e restituendo loro vitalità e utilità;
– certezza della messa a punto, con il coinvolgimento e la condivisione dell’opposizione, di un piano per la prevenzione della corruzione e creazione di un’unità specializzata nell’analisi delle pratiche corruttive, con personale qualificato e dotato di strumenti investigativi avanzati.
Con queste premesse valuteremo le reali intenzioni in campagna elettorale e l’operato amministrativo dei candidati al ballottaggio e del prossimo sindaco, tenendo un confronto pubblico costante con i cittadini sia in città che tra i banchi del consiglio comunale.
E su questi punti ci aspetteremmo da subito l’ascolto e un pronunciamento pubblico e chiaro dei candidati che vanno al ballottaggio.
(Partito Democratico – Movimento 5 Stelle – Eugenio Marino, nella foto – Commissario PD Aversa – Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)
“Siamo destinati a cambiare la storia e il futuro di Capodrise”. In una gremitissima piazza De Filippo, allac hiusura della campagna elettorale, Nicola Cecere, candidato a sindaco della lista “Capodrise insieme”, ha tenuto il suo ultimo comizio:
“Oggi – ha detto –, si conclude un lungo viaggio, iniziato a fine marzo proprio in questa piazza. Ho imparato tanto! Questa esperienza mi ha insegnato a conoscere un’ulteriore aspetto delle persone e mi ha fatto capire che la responsabilità di un candidato a sindaco è simile a quella del buon padre di famiglia”.
Proseguendo: “Un buon sindaco deve ritornare tra la gente, lasciarsi interrogare, stimolare e criticare. Non ci sarà una stagione nuova per Capodrise, se non scenderemo per strada, se non ci uniremo alle persone, se non apriremo un confronto con i giovani, se non sapremo apprezzare la saggezza degli anziani, la sensibilità delle donne. È in strada – ha aggiunto –che si colgono i problemi delle famiglie, degli artigiani, dei commercianti, degli imprenditori.
È nei quartieri che si colgono i bisogni di coloro che sono venuti da fuori e che hanno scelto di vivere a Capodrise.
E magari sono più bravi di noi nel volontariato, nella cittadinanza attiva. In quasi venti minuti di intervento, Cecere ha ringraziato le capodrisane e i capodrisani: “Voi che siete qui così numerosi, tutti quelli che ho incrociato per strada e coloro, tantissimi, che mi hanno aperto la porta e mi hanno accolto nelle loro case, raccontandomi le loro storie, i loro sogni, le loro preoccupazioni”.
Un grazie anche ai suoi candidati: Vincenza Abussi, Orazio Costantino, Pasquale De Filippo, Rosa Di Cesare, Michele Di Paolo, Tommaso Fattopace, Silvestro “Silvano” Ferraro, Marcela Gigliano, Federica Montebuglio, Margherita Nero, Luisa Nicolò, Luisa Palazzo, Vincenzo Perri, Vincenzo Rossetti, Donato Russo Raucci e Michelangela Topa. Un grazie ai quattro pilastri di questa lista:
“Le amiche e gli amici di Siamo Capodrise, del Partito democratico, di Alleanza per Capodrise e di Capodrise futura. È la prima volta nella storia di questa città che forze che si sono contrapposte in una competizione elettorale si ritrovano insieme, con la voglia di unire una comunità lacerata e di lavorare per il benessere di tutti”. Un grazie alle ragazze e ai ragazzi del comitato elettorale e tutte le persone che lo hanno frequentato e gli hanno dato
una mano. E infine un grazie alla moglie Antonella, alla figlia Giorgia e al cane Alì.
Il comizio, intitolato “Capodrise saprà scegliere”, è iniziato con gli interventi dei candidati Nicolò, Perri, Rossetti e Russo Raucci.
Poi, è proseguito con i saluti di Pietro Pontillo di Siamo Capodrise, di Giuseppe Fattopace del Partito democratico, di Maria Belfiore di Alleanza per Capodrise e di Filippo Topo di Capodrise futura. Ha presentato Simona Di Giovanni.
É così che il popolo plaudente ha trascinato Nicola Cecere verso la vittoria, puntualmente sancita dalle urne: auguri.
(Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)
Patriarca (FI): “Il partito guarda alle prossime regionali“; la deputata azzurra: “Abbiamo la percentuale di crescita più alta della coalizione“.
«L’ottimo risultato ottenuto alle elezioni europee da Forza Italia in Campania conferma il trend positivo del partito, in costante crescita ormai da tempo, e il suo radicamento come punto di riferimento per l’elettorato moderato e liberale».
A dirlo è Annarita Patriarca, componente dell’ufficio di presidenza della Camera dei deputati e coordinatrice azzurra della provincia di Napoli.
«La presenza sui territori e la serietà e l’impegno, dimostrati a tutti i livelli, dalla classe dirigente e dai rappresentanti istituzionali del partito sono segni distintivi di un lavoro proiettato verso la grande sfida delle prossime elezioni regionali – ha aggiunto la Patriarca – che dovrà vedere tutto il centrodestra unito e compatto per battere la sinistra e il suo fallimentare modello di governo».
«Forza Italia è pronta, come sempre, a fare la sua parte nel lavoro di squadra che ne deriverà e ad assumersi anche le responsabilità che i recentissimi e lusinghieri esiti delle urne le attribuiscono. Difatti, come si può facilmente leggere dai dati elettorali, Forza Italia in Campania è, fra i partiti di centrodestra, quello con la più alta percentuale di crescita rispetto al dato nazionale.
E – ha concluso la deputata azzurra -.in politica contano i numeri».
(Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)
Dopo un’attenta riflessione e qualche giorno di necessario riposo, prendiamo atto che Casal di Principe si conferma una città di fondamentale importanza per Fratelli d’Italia. I risultati elettorali recenti, sia alle elezioni europee che amministrative, evidenziano il significativo contributo della lista di ispirazione Fratelli d’Italia con il progetto “La Svolta”.
La percentuale importante ottenuta dalla lista rappresenta un valore aggiunto per la coalizione guidata da Ottavio Corvino, fornendo i dati necessari per avanzare verso il ballottaggio e, soprattutto, per farlo con determinazione per raggiungere il primato.
Il lavoro instancabile svolto negli anni alla guida della sezione locale del partito e dalla preparazione e competenza politica della squadra, durante questa prova elettorale ha dato i suoi frutti. Siamo orgogliosi e soddisfatti dei risultati ottenuti finora, riconoscendo il contributo fondamentale di ogni membro della squadra.
Ora, con rinnovato impegno, ci prepariamo ad affrontare la prossima battaglia con l’obiettivo chiaro di portare alla vittoria Ottavio Corvino. Siamo pronti a lavorare incessantemente per il bene di Casal di Principe e dei suoi cittadini.
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Il dirigente di FdI: “Sbagliato rivendicare candidature su base partitica.
È evidente che anche in Campania il Centrodestra cresce e si consolida, nonostante la forte concentrazione dell’apparato amministrativo e clientelare del sistema PD unita all’ultima coda dei nostalgici del reddito di cittadinanza.
La compattezza della coalizione di centrodestra supera il 35% e si avvia toccare il 40% a fronte di un centrosinistra ancora privo di una strategia”.
Lo afferma Luciano Schifone (nella foto), componente della Direzione Nazionale di FdI commentando i risultati elettorali.
“Interessante – sottolinea – notare il travolgente successo del candidato campano Gambino con oltre 92.000 preferenze e la sorprendente performance della professoressa Docimo, proposta dal ministro Sangiuliano, che, senza preventiva organizzazione, ha raccolto circa 35.000 voti, piazzandosi al primo posto dei non eletti.
Se per il primo va segnalata la presenza omogenea su tutta la regione, segno di una riorganizzazione territoriale del partito, sulla seconda va evidenziata l’ottima resa in tutta la città dove è la più votata, ovviamente dopo Giorgia, e in particolare nella zona di Chiaia dove è la prima con 1000 voti sui 4000 della città.
Quest’affermazione è indicativa del recupero del partito nel ceto medio, da tempo distante.
Parlare ora di candidature alla Presidenza della Regione è prematuro ed è anche sbagliato rivendicarla su base partitica, anche perché su questo piano non c’è dubbio che spetterebbe a FdI l’indicazione, viste le percentuali raccolte alle Europee.
Quindi sarebbe opportuno non insistere e lavorare insieme per trovare il candidato migliore che, a prescindere dalla collocazione partitica, sia in grado di garantire una attrazione anche di fette di società civile e di ambienti ‘oltre’ il centrodestra, per recuperare quel 10% che sarà necessario.
D’altra parte è evidente che anche in Campania si comincia a riconoscere la validità e l’efficacia di uno sforzo che il Governo, a cominciare dalla Cultura, sta profondendo in maniera concreta”, conclude Schifone.
(Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)
“Pace Terra Dignità è viva. Se non abbiamo raggiunto il quorum è dipeso da vari fattori, primo tra tutti l’ostracismo e il silenzio nell’informazione”.
Dopo il voto le parole della lista pacifista promossa da Raniero La Valle e Michele Santoro:
Ai candidati, agli amici, ai firmatari per la presentazione delle liste, agli elettori e agli altri cittadini.
Pace Terra Dignità è viva. Pace Terra Dignità ringrazia quanti hanno contribuito al suo successo nell’opinione pubblica, nell’elettorato e nel cuore di innumerevoli persone.
Pace Terra Dignità non ha raggiunto il quorum del 4 per cento per accedere con propri deputati al Parlamento europeo. Ciò è dipeso da vari fattori che non si ripeteranno in future analoghe occasioni.
Il primo fattore è stato costituito dall’interdizione, dal silenzio e dall’ostracismo di cui la lista è stata oggetto nell’informazione. Ciò è dipeso dal fatto che i démoni della guerra si sono sentiti minacciati dal sopraggiungere del messaggio di pace, hanno avuto paura di essere scacciati dalle tombe in cui erano insediati, e hanno cercato di sottrarsi alla fine.
Pace Terra Dignità è stata poi insidiata dalla narrazione fatta prima di tutto dalla TV di Stato della competizione elettorale in corso come di uno scontro “Kramer contro Kramer” tra la Schlein e la Meloni, ciò che ha portato molti elettori a sentirsi vincolati al “voto utile” a contrastare la destra mediante il suffragio dato al PD, nonostante l’incerta affidabilità della sua politica per la pace.
Altro fattore che ha indirizzato altrove molti consensi congeniali a Pace Terra Dignità è stata la presenza di una lista ad personam, scelta tra diverse liste dal padre di Ilaria Salis per assicurare alla figlia detenuta in Ungheria la libertà. Ciò ha fatto avvertire questo voto come immediatamente produttivo di un risultato, sia pur riduttivo.
I fini di Pace Terra Dignità non sono quelli di un qualunque successo, ma di attivare un processo politico per porre termine alla guerra in Europa e al genocidio di Gaza, e per la liberazione non solo di una persona, per quanto rappresentativa, ma di tutti gli oppressi assoggettati al sistema di dominio e di guerra.
Non più trattenuta da questi vincoli Pace Terra Dignità resta in campo come formazione politica permanente, ordinata, come proclamava il suo atto istitutivo, a dare sovranità e rappresentanza ai tre beni, “sì belli e perduti”, che sono la Pace, la Terra e la Dignità di tutte le creature.
A tal fine Pace Terra Dignità proporrà presto le forme di organizzazioni territoriali, iniziative culturali sui temi più importanti del nostro tempo e darà vita a una scuola di formazione politica.
(Roberta Savona – Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)
Macron, Macron e ancora Macron. Dopo la batosta elettorale subita alle europee (Renaissance, la sua coalizione, ha preso la metà dei voti dei sovranisti lepenisti del Rassemblement National), il Presidente della Repubblica francese si riprende la scena e ne ha per tutti. L’esito delle urne lo ha convinto in poche ore a sciogliere l’Assemblea nazionale: oltralpe si voterà al primo turno il 30 giugno e il 7 luglio per i ballottaggi. Un sistema elettorale a doppio turno, quello francese, che finora ha intralciato il cammino dei nazionalisti. Ma ora lo scenario è diverso e sembrerebbe che ciascuno – destra estrema, repubblicani gollisti, centristi liberali, e sinistra di varia marca – voglia fare corsa a sé.
Sprezzante con la destra. “No allo spirito di disfatta. Sì al risveglio”, ha affermato oggi lo stesso Emmanuel Macron durante una infuocata conferenza stampa, durante la quale si è detto fiducioso nell’elettorato per bloccare l’avanzata dei lepenisti che puntano ora al governo e poi, a tempo debito, all’Eliseo. Macron, commentando il voto del 9 giugno – i cui risultati hanno assunto un peso più nazionale che europeo –, ha affermato di aver compreso la “collera” dei cittadini e di voler fornire una risposta concreta a questa rabbia. Ha poi ripreso il tema della propria “responsabilità, nel senso in cui non ho offerto risposte rapide e radicali alle inquietudini dei francesi, alle loro paure, al senso di declassamento di alcuni nostri quartieri”. Certo, ha osservato, le destre avanzano in tutta Europa, ma è indiscutibile che in Francia abbiano fatto il pieno di voti. Per poi osservare: “Il progetto promosso dal Rassemblement National non permetterà di rispondere all’insicurezza. Del resto, qual è la risposta concreta che propongono? Sanno solo dire di no, ma poi non danno alcuna risposta” ai problemi dei francesi.
Attacco alla sinistra. Il Presidente – che forse qualche esame di coscienza politico lo dovrebbe pur fare – non si è limitato ad attaccare i lepenisti. Di un possibile Front Populaire di sinistra (che raccoglierebbe Partito socialista, Partito comunista, Verdi e France Insoumise) ha detto: “Non è nemmeno qualcosa di barocco, è indecente”. Non esattamente una mano tesa a possibili alleati del secondo turno. Salvo poi invocare una convergenza degli elettori centristi, radicali, ecologisti, democratico cristiani e progressisti… Non di meno il giudizio su Eric Ciotti, presidente dei gollisti, che ieri aveva annunciato l’alleanza con il Rassemblement National. Per Macron, Ciotti (oggi espulso dal suo stesso partito) “ha fatto un patto con il diavolo”.
Il momento dei chiarimenti. Una cosa è certa. In queste ore la Francia è in subbuglio. Di politica si parla in ogni caffè, sui bus, nei luoghi di lavoro. Chi vota destra estrema intravvede il miraggio di Palazzo Matignon, sede del governo; chi sostiene Macron trema al pensiero di vedere Jordan Bardella, giovane presidente di Rn, alla guida dell’esecutivo; gli elettori repubblicani e della sinistra appaiono disorientati. Come la stessa Francia. Dunque o la si prende sul ridere, o si resta senza parole di fronte a quanto sta avvenendo in Francia in questo inizio di (seconda) campagna elettorale: lo sottolinea Séverin Husson nell’editoriale odierno del quotidiano cattolico La Croix. Dopo aver sintetizzando i movimenti sorprendenti che i partiti politici francesi stanno compiendo in questi giorni e ore, afferma, che “è il momento dei chiarimenti di cui ha bisogno la nostra democrazia, scossa dall’elezione di Emmanuel Macron nel 2017”. Il quale – secondo l’editorialista – avrebbe “offuscato i parametri di riferimento, indebolito i gruppi politici e contribuito alla smobilitazione elettorale”. “Invece di strategie politiche, trattative piccole e grandi manovre”, Husson sostiene che “gli elettori si aspettano idee dai presunti candidati. Quali sono le loro proposte per rivitalizzare la socialdemocrazia, per rompere con l’isolamento del potere, per porre fine a questa falsa impressione che lo Stato non possa fare nulla o molto poco. Non basta invitare a fare muro, a votare contro. Noi vogliamo votare per”.
Disillusione e incertezza. “Ci troviamo in una fase di disillusione, incertezza, riguardo alla possibilità di costruire uno spazio europeo. In molti Paesi, i movimenti di estrema destra o nazionalisti si oppongono all’idea di un organismo sovranazionale. E anche il partito che è all’origine dell’Unione, il Partito popolare europeo, nato dalla Democrazia cristiana, modera il suo impegno, per paura di dispiacere a un’opinione pubblica riluttante”: è lo storico francese Christophe Charle che, sempre sulle pagine de La Croix, offre una riflessione di ampio respiro a partire dall’esito elettorale del 9 giugno, esito che colpisce tanto più dopo la crisi Covid-19 e l’aggressione russa in Ucraina, anni in cui l’Europa è apparsa “uno strumento al servizio degli europei”. L’affluenza aumentata rispetto al 2019 mostrerebbe secondo Charle che “il voto europeo non è più lontano ed è attraversato da divisioni molto reali”.
Manca “l’Europa culturale”. Riflettendo sul ruolo degli intellettuali in questo contesto, lo storico Charle afferma che “la loro voce non è molto udibile, anche se la situazione molto particolare in Francia, dopo il risultato storico del Rassemblement National e lo scioglimento dell’Assemblea nazionale sta risvegliando alcuni di loro”. Si tratta però di un’élite ristretta e senza voci paragonabili a quelle di Goethe o Émile Zola, o uno Jürgen Habermas francese. A questo si aggiunge il fatto che “il livello di conoscenza reciproca si sia indebolito” e i passati nazionali ritornino in auge: esempi ne sarebbero “l’Ungheria ossessionata dalle conseguenze della prima guerra mondiale, l’Italia di Giorgia Meloni che vorrebbe fare di Roma la capitale europea, la Gran Bretagna che ha scelto la Brexit, la Francia dove Rn sta conducendo una campagna su una grandeur nazionale da ritrovare”, tutte “manifestazioni di un inconscio storico che risale a molto tempo fa”. Ma sarebbe, secondo Charle, l’indifferenza a segnare il rapporto degli intellettuali con l’Europa perché di fatto “non abbiamo mai costruito l’Europa culturale”. Oggi però, conclude lo storico “l’emergenza climatica e la crisi democratica richiedono dibattiti sugli stili di vita e scelte di civiltà, al di là della preoccupazione meramente finanziaria. Non è quindi impossibile che, grazie a queste sfide senza precedenti, nel continente rinasca un dibattito intellettuale tanto vivace quanto cruciale”.
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