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Campania. Colidretti-Caritas: grande sinergia per una grande raccolta pro famiglie bisognose

Sono oltre 10 milioni i chili di cibo per le famiglie bisognose raccolti negli ultimi sei anni dagli agricoltori della Coldiretti attraverso la Spesa sospesa nei mercati contadini di Campagna Amica.

É il bilancio dell’iniziativa di solidarietà promossa da Coldiretti e Fondazione Campagna Amica per sostenere le fasce della popolazione sempre più in difficoltà, come evidenziato dal rapporto Caritas.

Un’operazione che, grazie alla collaborazione e alla solidarietà dei consumatori italiani, ha consentito di dare un piccolo aiuto a oltre 400mila nuclei familiari, con circa 100mila i bambini in condizione di grave privazione.

La Spesa sospesa – spiega Coldiretti – offre la possibilità ai consumatori di fare una donazione libera grazie alla quale acquistare prodotti a favore dei più bisognosi, sul modello dell’usanza campana del “caffè sospeso”, quando al bar si lascia pagato un caffè per il cliente che verrà dopo. In questo caso – conclude Coldiretti – si tratta di frutta, verdura, formaggi, salumi, pasta, conserve di pomodoro, farina, vino e olio 100% italiani. Le famiglie bisognose vengono individuate a livello locale assieme alle parrocchie e alle associazioni di solidarietà, con la successiva consegna dei pacchi.

(Roberto Esse – Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)

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Giubileo 2025. Roma: i senza dimora in 4 tensostrutture. La Caritas: “Solo per l’emergenza”

Non bastano quattro tendoni per risolvere il dramma dei senza dimora a Roma. È quanto espresso ieri dalla Caritas diocesana (di Roma, ndr) nel corso del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, convocato dal prefetto Lamberto Giannini. In vista del Giubileo, l’amministrazione comunale ha, infatti, previsto l’installazione di quattro tensostrutture, ognuna per 70 posti, vicino alle stazioni Termini, Tiburtina, Ostiense e San Pietro, dove solitamente i senza dimora, le persone più fragili, cercano un rifugio.
In tutto 280 posti, comunque pochissimi, rispetto alle 22mila persone (dati Istat) che vivono per strada nell’area di Roma Capitale. Un progetto che, oltretutto, durerà meno di due anni con un costo di più di 8 milioni. Eppure è bastato l’annuncio della realizzazione dei tendoni per scatenare le polemiche, soprattutto da parte del centrodestra, in particolare contro quello previsto nella grande piazza davanti a Termini, interessata anche dai lavori per il Giubileo.
Ieri da parte del prefetto l’annuncio che sarà spostato in via Marsala, uno dei lati della stazione, dove già esistono le strutture di accoglienza della Caritas e di Binario ’95, uniche a offrire accoglienza a queste persone. La destra parla di vittoria, anche se in realtà lo spostamento è di poche centinaia di metri, mentre la maggioranza di centrosinistra al Comune lo difende, ponendo però un problema di risorse. “Auspichiamo – dice il sindaco Roberto Gualtieri – che da parte di Governo e Parlamento ci sia anche un intervento per dare più risorse e mezzi a chi tutti i giorni è sul campo per cercare di affrontare un problema gigantesco”. La Caritas, come sempre, non chiude la porta ma, come detto nel suo intervento dal direttore, Giustino Trincia, chiede ben altro. “Il progetto che ci è stato presentato può essere da noi accolto solo come misura emergenziale e temporanea perché non rappresenta certo una di quelle misure strutturali che invece sarebbe indispensabile adottare e che continuiamo ad invocare”. Per questo Trincia ha espresso un dubbio e una certezza. Il dubbio “è legato alla possibile concentrazione di persone fragili, alcune molto fragili, in un quadrante territoriale problematico che, come tutti sappiamo è già molto sotto pressione da tempo, per la presenza di tante situazioni di disagio sociale”. Il riferimento è alla scelta di via Marsala, proprio accanto all’ostello “Don Luigi Di Liegro”, alla mensa sociale e all’ambulatorio Caritas.
“Non possiamo dire no alla possibilità di dare soccorso immediato a chi ne ha più bisogno perché vive in mezzo alla strada, come fece il buon Samaritano”, ma l’ipotesi progettuale “è destinata ad aumentare la pressione sui nostri servizi. Ci auguriamo di non ritrovarci da soli”. Così “come purtroppo in tanti altri casi, nei quali la Caritas ha risolto tanti problemi che toccavano ad altri”, ci spiega Trincia. Per questo, ha insistito in prefettura, “non è più rinviabile un intervento organico che preveda un forte investimento di risorse per assicurare, accanto alle necessarie strutture di prima accoglienza, anche altri interventi”. Cinque le misure indicate. In primo luogo l’aumento delle strutture abitative permanenti e dignitose, e il potenziamento dei servizi sociali e sanitari, con priorità alle patologie psichiatriche e alle dipendenze, con personale professionale che operi in strada, perché non bastano i volontari. Ma ci sono richieste anche più generali, come il potenziamento dell’illuminazione pubblica e dei servizi di igiene e di raccolta dei rifiuti nelle zone interessate, soprattutto in vista del Giubileo, il miglioramento della sicurezza, “come richiesto dai residenti e dagli operatori economici e sociali”, il rafforzamento della collaborazione tra le realtà del volontariato e le istituzioni pubbliche per la messa in opera di progetti di cura e di reinserimento sociale e lavorativo.

Articolo pubblicato originariamente su “Avvenire”

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Povertà in Italia. Caritas: aumenta il numero delle persone aiutate. Oltre 3,5 milioni di interventi

Cresce il numero delle persone accompagnate e aiutate dalle Caritas diocesane. Quelli presentati oggi da Caritas Italiana non sono solo “numeri”, sono soprattutto 269.689 “volti” di poveri, che a loro volta rappresentano altrettante famiglie, dato che la presa in carico risponde sempre alle esigenze dell’interno il nucleo familiare. Il Report statistico nazionale 2024 di Caritas Italiana sulla povertà in Italia, presentato oggi a Roma, valorizza le informazioni provenienti da 3.124 Centri di ascolto e servizi delle Caritas diocesane, dislocati in 206 diocesi in tutte le regioni italiane. Si tratta peraltro solo di quelli già in rete con la raccolta dati, dal momento che i servizi e le opere sui territori sono in realtà molti di più. Ne emerge una fotografia drammatica che chiama all’impegno di tutti.
Dal Report risulta che nel 2023 cala la quota dei nuovi poveri ascoltati, che passa dal 45,3% al 41%. Crescono invece le persone con povertà “intermittenti” e croniche, riguardanti in particolare quei nuclei che oscillano tra il “dentro-fuori” la condizione di bisogno o che permangono da lungo tempo in condizione di vulnerabilità: una persona su quattro è infatti accompagnata da una Caritas diocesana da 5 anni e più. Sembra quindi mantenersi uno zoccolo duro di povertà che si trascina di anno in anno senza particolari scossoni e che è dovuto a più fattori; il 55,4% dei beneficiari nel 2023 ha manifestato contemporaneamente due o più ambiti di bisogno.
Chi si rivolge alla Caritas? Si tratta di donne (51,5%) e uomini (48,5%), con un’età media che si attesta sui 47,2 anni (46 nel 2022). Cala l’incidenza delle persone straniere che si attesta sul 57,0% (dal 59,6%).

Alta invece l’incidenza delle persone con figli: due persone su tre (66,2%) dichiarano di essere genitori.

Oltre i due terzi delle persone in povertà, secondo i dati dei Centri di ascolto Caritas consultati, hanno livelli di istruzione bassi o molto bassi (67,3%), condizione che si unisce a una cronica fragilità occupazionale, in termini di disoccupazione (48,1%) e di “lavoro povero” (23%). Non è dunque solo la mancanza di un lavoro che spinge a chiedere aiuto: di fatto quasi un beneficiario su quattro è un lavoratore povero. Inoltre la percentuale dei percettori del Reddito di Cittadinanza, la misura di contrasto alla povertà sostituita oggi dall’Assegno di Inclusione, si attesta al 15,9%, dato in calo rispetto al 2022 e soprattutto al 2021: allora i beneficiari corrispondevano rispettivamente al 19,0% e al 22,3%.
In termini di risposte, le azioni della rete Caritas sono state numerose e diversificate. Complessivamente sono stati erogati oltre 3,5 milioni di interventi, una media di 13 interventi per ciascuna persona assistita (considerate anche le prestazioni di ascolto). In particolare: il 73,7% ha riguardato l’erogazione di beni e servizi materiali (distribuzione di viveri, accesso alle mense/empori, docce, ecc.); l’8,9% gli interventi di accoglienza, a lungo o breve termine; il 7,3% le attività di ascolto, semplice o con discernimento; il 5,2% il sostegno socio-assistenziale; l’1,7% interventi sanitari.

L’arcivescovo di Gorizia e presidente di Caritas Italiana, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, ha ribadito, in occasione della presentazione, l’importanza dell’“incontro con le persone bisognose per entrare in relazione, in ascolto per dare loro un aiuto”. “Vogliamo fare conoscere il nostro impegno per rispondere alle attese di tante persone, dei volontari e di chi firma l’8xmille alla Chiesa cattolica, di chi dà un sostegno e un aiuto ma anche ore e giorni per i poveri – ha aggiunto -. Il report non riguarda solo i centri di ascolto ma anche i vari servizi che Caritas offre ai territori come mense e dormitori e intende mettere in rete i propri dati con le altre realtà”.

Ricordando il messaggio per la Giornata dei poveri di novembre, l’arcivescovo ha ribadito che “siamo chiamati a essere amici dei poveri”. “Amici, non solo persone che aiutato ma che entrano in relazione”.

Il direttore di Caritas italiana, don Marco Pagniello, ha sostenuto che occorre puntare sulla “prevenzione” per “evitare che altre persone cadano nella povertà assoluta”.

“Avevamo studiato il reddito di cittadinanza e avevamo detto che non era la risposta. Anche le proposte dell’attuale governo vanno ricalibrate. Occorre un reddito minimo per le persone”.

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Libano: Caritas, 300 volontari esperti in emergenze in campo per gli sfollati del Sud

Resta alta la tensione al confine tra Israele e Libano dove da mesi si susseguono bombardamenti tra l’esercito con la Stella di David e Hezbollah, alleato di Iran e di Hamas. Scontri che hanno provocato circa 200mila sfollati nella Galilea (nord Israele) e oltre 90 mila tra i libanesi del sud. Aerei da combattimento israeliani hanno colpito, il 12 giugno, le infrastrutture di Hezbollah a Yater, nel sud del Libano, utilizzate per effettuare i bombardamenti missilistici sul nord di Israele. I razzi lanciati, nello stesso giorno, dal gruppo terroristico libanese sarebbero 170. Attacchi hanno preso di mira anche centri come Haifa e Tiberiade. Molti degli israeliani sfollati dalle zone della Galilea, a ridosso del confine con il Libano, sono stati accolti in numerose strutture alberghiere messe a disposizione dal Ministero del Turismo israeliano, altri ospitati da familiari, amici o sostenuti da sussidi e indennità di soggiorno e affitti a spese dello Stato.

AFP PHOTO/RAMZI HAIDAR

Libano. Diversa la situazione sul versante libanese. Il paese dei Cedri è senza un Presidente della Repubblica da più di un anno e mezzo e, come spesso ricordato dallo stesso presidente dei vescovi libanesi, il patriarca maronita, card. Boutros Bechara Rai, è in piena crisi economica e finanziaria. Circa 90mila sfollati dal sud del Paese sono fuggiti verso i grandi centri, come Beirut e Sidone, dove hanno trovato ospitalità soprattutto da amici e parenti. A sostenerli sono anche diverse agenzie umanitarie e la Caritas locale sta fornendo a tanti di loro il necessario per fare fronte ai bisogni più immediati come cibo e medicine, e in qualche caso anche alloggio. La Caritas Libano si avvale della collaborazione di altre Caritas internazionali, tra queste particolarmente attiva è quella Italiana. In particolare, la sinergia tra la Caritas locale e quella italiana si sta rivolgendo, spiegano da Caritas Libano a “quei libanesi che non possono lasciare i loro villaggi di confine, sotto tiro delle artiglierie sia di Israele che di Hezbollah, perché, essendo agricoltori e allevatori, hanno terre e animali da accudire. Caritas Libano dallo scorso novembre sta fornendo sostegno grazie anche a un continuo monitoraggio dei bisogni, anche medici e psicologici”.

Team soccorsi Caritas Libano (Foto Caritas)

Agli abitanti di questi villaggi a rischio bombardamenti danno aiuto i 300 giovani volontari dell’Emergency Response Unit di Caritas Libano: “I volontari di  vanno di persona a visitare le famiglie rimaste per accertarsi dei loro bisogni. Si tratta di giovani formati ed equipaggiati ad operare in situazioni di emergenza. Li abbiamo visti all’opera anche in Siria, dopo il terremoto del 6 febbraio dell’anno scorso, e al porto di Beirut dopo la terribile esplosione dell’agosto del 2020. La loro competenza è riconosciuta al punto che tengono corsi per la sicurezza nelle scuole, elaborano piani di evacuazione in caso di calamità e di incendio. Di recente hanno anche tenuto corsi di formazione per i Vigili del fuoco”. Tuttavia, “la loro preparazione non li mette al sicuro specie se si opera in aree di guerra”.

Elmetti e giubbotti per i volontari. “Per aumentare in qualche modo la loro sicurezza” Caritas Libano, con il supporto di Caritas Italiana e di altri donor, ha messo a loro disposizione una dotazione di 10 elmetti, 10 giubbotti anti-proiettili e una segnaletica con logo Caritas da apporre sulle auto e mezzi di servizio per evitare di essere colpiti da droni, aerei e mezzi militari.



Una scelta condivisa e sostenuta anche dal presidente di Caritas Libano, padre Michel Abboud, orgoglioso dei 2000 volontari che agiscono in seno al ‘Settore Emergenze’ del Dipartimento giovani della Caritas libanese, la cui punta di diamante è appunto l’Emergency Response Unit. Portare aiuto a questi villaggi di confine, per Caritas Libano vuole dire anche “rispondere al desiderio dei giovani di fare qualcosa per il loro Paese, di donare un contributo di pace. Oltre ad aiuti, cibo e medicine, i volontari portano un forte sostegno umano e vicinanza che non fanno sentire soli e abbandonati gli abitanti dei villaggi del sud”.

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Argentina. Report Caritas: metà della popolazione è in povertà. 1 persona su 4 costretta a saltare un pasto

In Argentina 1 persona su 4 si trova in una situazione di insicurezza alimentare totale, ossia è costretto a saltare almeno un pasto al giorno perché non può permetterselo. Va ancora peggio per i bambini e ragazzi: il dato sale al 32%. Il 10% della popolazione argentina (su un totale di 46,3 milioni di abitanti) sperimenta la fame frequentemente. Nel primo trimestre del 2024 il 50% della popolazione è in povertà mentre la povertà estrema raggiunge il 18%. Inoltre il 32% dei lavoratori regolarmente occupati appartiene alla categoria dei “working poor”, un dato che sale addirittura al 50 e 60% per chi lavora nell’economia informale. È la drammatica panoramica della situazione sociale in Argentina, che emerge dal rapporto di Caritas argentina e Osservatorio argentino del debito sociale (Odsa-Uca) dell’Università cattolica argentina intitolato “Radiografia della povertà in Argentina: realtà sociale e solidarietà che è speranza”. Il report, presentato il 3 giugno a Buenos Aires, è stato realizzato in vista della Colletta annuale della Caritas che si svolgerà sabato 8 e domenica 9 giugno, con lo slogan “La vostra solidarietà è speranza”.  Le problematiche sociali del Paese, l’alto tasso di inflazione, la crescente povertà, la droga e la criminalità stanno prostrando l’intera popolazione. Tanti sono gli argentini che emigrano all’estero, soprattutto in Italia, vista la doppia cittadinanza di molti figli di emigranti. Nel Paese di Papa Francesco si soffre letteralmente la fame.

La conferenza stampa di presentazione del report – (foto: Caritas Argentina)

La Caritas è presente con 3.500 centri sparsi in tutto il Paese e oltre a fornire alimenti e pasti caldi, offre ascolto, sostegno sociale ed educativo, con corsi di alfabetizzazione e borse di studio per gli universitari. Vengono raggiunge con aiuti alimentari almeno mezzo milione di persone. Speciale attenzione viene data alle donne in gravidanza e ai bambini fino ai 6 anni, fase cruciale della vita: un programma speciale accompagna oltre 2000 famiglie.

Il 50% dei minori mangia in mense scolastiche e comunitarie. Caritas e altre organizzazioni forniscono inoltre programmi alimentari compensativi che permettono al 50% dei minori di mangiare in mense scolastiche e comunitarie. Il governo argentino ha istituito l’assegno alimentare per i figli, che raggiunge il 42,6% dei minori e “borse alimentari” che arrivano nelle case del 37% dei bambini. “Aiuti che dovrebbero essere estesi, sia dallo Stato che dal settore privato. I recenti aumenti annunciati dal governo per il mese di giugno contribuiscono ad alleviare l’attuale crisi”, ha commentato Eduardo Donza, ricercatore e coordinatore dello Sviluppo dei dati, specialista in Lavoro e disuguaglianza presso l’Osservatorio del debito sociale argentino dell’Uca.

La conferenza stampa di presentazione del report – (foto: Caritas Argentina)

L’abbandono scolastico. Dopo la pandemia si è proposta anche una pressante questione educativa, con tanti bambini e giovani che hanno lasciato la scuola: 1 bambino su 4 di età compresa tra i 3 e i 5 anni non frequenta proprio la scuola, mentre nella scuola secondari (13/17 anni) l’abbandono scolastico è al 6,2%.

Mons Carlos Tissera (foto: Caritas Argentina)

“Ascoltiamo questi grandi dolori”. “La Caritas non è solo aiuto alimentare, che è comunque molto importante. La Caritas vuole mostrare che siamo esseri umani, non cose. I poveri sono esseri umani, con la loro dignità”, ha affermato mons. Carlos Tissera, vescovo di Quilmes e presidente di Caritas argentina: “La nostra capillarità e vicinanza ci permettono di ascoltare in prima persona questi grandi dolori, che riguarda persone di tutte le età e di tutte le regioni”.

La Caritas è presente soprattutto nei quartieri più poveri con programmi di educazione, lavoro, aiuto alla prima infanzia, integrazione dei quartieri popolari, gestione del rischio e delle emergenze, risposta alimentare. Sono state promosse oltre 1000 cooperative, unità produttive e imprenditoriali su tutto il territorio nazionale. Anche il tema delle dipendenze, soprattutto da sostanze stupefacenti, è molto pressante: in quest’ambito, ha spiegato Sofía Zadara, direttrice esecutiva di Caritas argentina: “Ci affidiamo alle Case di Cristo, promosse dall’allora cardinale Bergoglio”. “Abbiamo 250 centri di quartiere in tutto il Paese dove diamo una risposta globale, attraverso un programma di Case di accompagnamento comunitario”.

L’esperienza di aiuto ai minori nella rete dei Centri comunitari di Itatì, a Quilmes, una città nella provincia di Buenos Aires, è stata raccontata da Karen Burgos, assistente sociale. Nei quartieri popolari di Quilmes accompagnano ogni giorno circa 350 bambini e 200 giovani. “Vogliamo portare un po’ di luce sulla realtà che vivono i giovani e i bambini. Perché ci sono famiglie che, non avendo i mezzi, spacciano droga”, un fenomeno in crescente aumento: “Sta accadendo sempre più spesso e questa è per noi una sfida nuova ed enorme”.

 

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Don Pagniello (Caritas italiana), “Patto Ue su migrazioni, non basta pagare gli Stati per fare solidarietà”

“Oggi sui giornali si canta vittoria per il Patto europeo su migrazione asilo ma sappiamo che c’è ancora molto da fare. Non basta pagare gli Stati per fare solidarietà. È la stessa cosa che sta facendo il governo italiano, che paga l’Albania per portare lì i migranti. Noi fin da subito abbiamo detto che non condividiamo questa scelta”. Lo ha affermato oggi don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana, nel suo intervento di chiusura al 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane che si è svolto dall’8 all’11 aprile a Grado, in provincia di Gorizia. Vi hanno preso parte 613 delegati, tra cui 138 giovani, in rappresentanza di 182 diocesi.  In vista del Giubileo 2025 si è deciso di organizzare i convegni nazionali ogni due anni, alternati agli incontri a livello di delegazioni regionali, per dare spazio alle Caritas a livello locale. Il direttore di Caritas italiana ha poi annunciato una iniziativa che sarà lanciata durante il Giubileo: un progetto di microcredito sociale per persone indebitate e famiglie, in collaborazione con le Fondazioni antiusura, con una colletta nazionale che durerà tutto l’anno. Il tema di fondo approfondito e declinato durante il convegno è stato “Confini, zone di contatto e non di separazione”. Non a caso si è svolto tra Grado, Gorizia e Nova Gorica, terra di frontiera tra Italia e Slovenia. In vista delle elezioni europee dell’8 e 9 aprile don Pagniello ha anche invitato i delegati “a fare la propria parte” e “andare a votare”.

Con quali nuove consapevolezze tornano a casa i delegati Caritas?
Torniamo a casa con diverse consapevolezze: la prima è abitare il confine come luogo di incontro e contatto e difesa dei diritti delle persone che incontriamo, per far crescere la convivialità delle differenze e i propri confini. I confini ci aiutano a ridisegnare la nostra identità e non disperdere le energie. Poi c’è il tema importante del coinvolgimento della comunità, ossia non fare da soli ma agire insieme ad altri pezzi di Chiesa. Non lasciarsi confinare a chi ci vuole bravi uomini e donne, delegando a noi i servizi. Non lasciarci confinare in un servizio che rischia anche di farci sentire strumentalizzati. Dobbiamo avere il coraggio di sconfinare. La seconda grande consapevolezza è quella di voler essere “partigiani”, nel senso di “prendere parte”, fare insieme, sporcarci un po’ più le mani con la politica: non nel senso di scegliere partiti o una ‘chiamata alle armi’ ma dare maggiore valore politico a ciò che facciamo.  Il mio invito alle Caritas è “essere partigiani”, ossia fare la propria parte, conoscere il manifesto di Caritas Europa preparato in vista delle elezioni europee con le cinque priorità, andare a votare e invitare gli altri a votare.

Quali sono oggi i vostri temi e azioni prioritarie?
Azioni fondamentali sono oggi per noi

la difesa della legge 185/90 sul commercio delle armi, che rischia di essere smantellata.

Siamo tra quelli che l’hanno promossa. Difenderla rilancia la nostra identità. Oggi dobbiamo fare di tutto per dire no alla produzione di armi. Dobbiamo cominciare a costruire pace in assenza di guerre e conflitti. Se si usano le armi vuol dire che qualcosa non ha funzionato prima. Nel distretto di Brescia, ad esempio, c’è una grossa produzione di armi, che crea un indotto lavorativo. Se dico no alla produzione di armi devo pensare a proporre posti di lavoro alternativi, altrimenti rischiamo di essere percepiti come sognatori che non cambiano il corso delle cose.

Oggi il più grande peccato che possiamo fare è il silenzio, è tacere.

Siamo poi chiamati ad accogliere chi è diverso. Quando operiamo in emergenza non siamo i salvatori del mondo ma ci mettiamo accanto alle Chiese e, nel rispetto degli altri, proviamo a fare la nostra parte. È giusto accogliere, è giusto salvare in mare, ma a noi tocca anche fare cultura, animare la comunità. Il nostro vero compito come Caritas in Italia, al di là delle opere segno, è l’animazione della comunità, tornare a formare la comunità, la nostra funzione pedagogica.

In Italia la povertà aumenta e si rischia uno smantellamento del welfare. Qual è il vostro avvertimento?
Se perdiamo il sistema sanitario pubblico e il diritto alla salute ci sarà un’altra povertà, oltre alla povertà reale e a quella educativa, al tema dei working poor e del precariato. Mi preoccupa anche la povertà della delega, perché oggi non c’è più interesse nei confronti del bene comune, delle situazioni delle nostre città e luoghi. Il disinteresse è talmente alto che nemmeno andiamo più a votare. Vuol dire che ci stiamo rassegnando al fatto che le cose non possono cambiare.

Perciò dobbiamo custodire e innovare la cultura.

La Camera dei deputati ha approvato nei giorni scorsi  il ddl politiche sociali e terzo settore, che semplifica procedure gravose per le realtà sociali più piccole. Che ne pensa la Caritas?
C’è soddisfazione per l’approvazione. È il riconoscimento del lavoro di mediazione del Terzo settore come soggetto credibile e competente. Questo potrà permettere di accompagnare di più i poveri nell’inclusione e per riacquistare dignità.

Intanto in Ucraina la guerra non si placa e a Gaza sono state superate le 30.000 vittime, mentre la popolazione muore di fame perché viene impedito l’accesso degli aiuti umanitari. Cosa chiedete come Caritas italiana

Ribadiamo con forza la necessità di un cessate il fuoco immediato a Gaza e che ci sia data la possibilità di far arrivare gli aiuti.

Noi sosteniamo Caritas Gerusalemme ma è una situazione complessa perché si rischia di mettere a rischio la vita degli operatori. Il vero fallimento è non far arrivare il cibo e le medicine alle persone.

L’Europa ha approvato il Patto sulle migrazioni e l’asilo ma Caritas Europa e Migrantes hanno espresso molte perplessità. Come guardare al fenomeno delle migrazioni?
È importante saper guardare alle migrazioni come risorsa. Ricordiamo che una delle più grandi povertà in Italia è la denatalità, per cui abbiamo bisogno di fratelli e sorelle che vengano ad abitare sul nostro territorio, sviluppando modi legali per fare arrivare le persone in sicurezza, come i corridoi umanitari. Ad esempio, sarebbe bello portare in Italia persone che già sanno parlare l’italiano, per facilitare l’integrazione. E poi ricordiamo che c’è un diritto a partire ma anche un diritto a restare, per cui è importante rilanciare la cooperazione internazionale, ad esempio attraverso la Campagna 0,70 che chiede di destinare almeno lo 0,70 del Pil italiano.

 

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Landau (Caritas Europa), “una missione congiunta di ricerca e soccorso nel Mediterraneo” e “cessate il fuoco umanitario” a Gaza

(da Grado) – Dal 2014 ad oggi almeno 20.000 persone sono morte nel Mar Mediterraneo e i numeri aumentano giorno dopo giorno. Mentre nel mondo 108 milioni di persone sono costrette a lasciare le loro case a causa di guerre, persecuzioni, violenze, violazioni dei diritti umani. “La questione sta prendendo sempre meno spazio sui media a livello europeo, ma questo non può essere accettato e deve finire. L’Europa deve forse parlare di nuovo di una missione congiunta europea di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo”. È l’appello lanciato da monsignor Michel Landau, presidente di Caritas Europa, durante la seconda giornata del 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane in corso fino all’11 aprile a Grado, in provincia di Gorizia. Il presidente di Caritas Europa, network di 49 organizzazioni in 46 Paesi europei che interloquiscono con i responsabili politici nazionali ed europei in difesa dei poveri e vulnerabili, si è rivolto ai 600 delegati da 218 Caritas diocesane descrivendo una situazione mondiale ed europea attraversata da intensi cambiamenti dovuti a guerre, pandemie, cambiamenti climatici, migrazioni. Tutto ciò in vista delle elezioni europee che si svolgeranno l’8 e 9 giugno prossimo.  Caritas Europa ha anche diffuso nei mesi scorsi un memorandum ai candidati con cinque priorità, tra cui il salario minimo per i lavoratori, la difesa del welfare, dei diritti dell’infanzia e dei migranti e rifugiati. Mentre su Gaza monsignor Landau chiede, in questa intervista al Sir, “un cessate il fuoco umanitario” che consenta di far entrare gli aiuti in sicurezza.

Ci approssimiamo alle elezioni europee, che tipo di società auspica Caritas Europa

La chiave è mettere la dignità delle persone al centro. Non vogliamo una Europa che divide le persone e la società ma una Europa convinta delle importanti sfide che abbiamo davanti da affrontare solo insieme. Paragonati agli Stati Uniti o Cina o India ogni Paese europeo è piccolo  e se vogliamo avere un futuro dobbiamo averlo insieme. Non è sempre semplice. C’è una ricchezza di tradizione e storia. Ma penso che possiamo utilizzarla come fonte per crescere insieme.

Penso che abbiamo bisogno di più Europa e non meno Europa e più Caritas e non meno Caritas.

Tra le sfide per il continente europeo c’è il conflitto in Ucraina. Il Papa ha chiesto un negoziato, voi come Caritas siete impegnati sul campo in prima linea, accanto alla popolazione.

Prima di tutto abbiamo un chiaro mandato umanitario. Noi siamo accanto alle persone e questo è il grande vantaggio della rete Caritas che opera sul campo e rimane vicini alle popolazioni. Per me è stato molto toccante durante questo periodo, vedere come gli operatori delle Caritas in Ucraina spesso devono lavorare da un bunker. Come Caritas coordiniamo tutti questi sforzi per dare risposte efficienti alle persone che soffrono, questo è il primo dovere in situazione di conflitto. Supportiamo anche gli ucraini nei Paesi limitrofi e sappiamo che si sta facendo molto.

Speriamo e preghiamo che ci sarà presto una pace frutto della giustizia.

Intanto a Gaza si è arrivati a oltre 30.000 morti ma l’Europa ha assunto finora una posizione piuttosto debole. Cosa chiedete?

Anche qui il nostro dovere è rimanere vicino ai sofferenti.

Chiediamo che coloro che hanno bisogno di aiuto umanitario abbiamo accesso a questo tipo di sostegno. Non mancano i mezzi manca l’accesso.

E noi speriamo che ci sarà accesso per rendere possibile l’aiuto. Allo stesso tempo non dobbiamo dimenticare che ci sono ancora ostaggi e devono essere liberati, senza condizioni. Speriamo che ci sarà una soluzione che venga dall’interno e non da fuori. Chiediamo un cessate il fuoco umanitario il prima possibile. Dopo l’atto di terrorismo del 7 ottobre c’è stata così tanta sofferenza. Uno dei sopravvissuti dell’Olocausto ha detto: “Non esiste sangue ebreo, sangue cristiano, sangue musulmano, solo sangue umano”. E’ importante ribadire questo concetto.

Le migrazioni continuano a sfidare l’Europa. Cosa pensa del Patto per la migrazione e dell’approccio dell’Unione europea in materia

Da parte della Chiesa c’è abbastanza preoccupazione su questo nuovo accordo. Da un lato è importante raggiungere un accordo ma ci sono ancora molte questioni aperte. Penso si possa coniugare la cura degli esseri umani e la difesa dei confini in Europa. E’ importante andare alle radici delle cause delle migrazioni, che non sono state ancora affrontate abbastanza. Non ci sono prospettive nei Paesi da cui provengono i migranti. Il punto chiave è: chi ha bisogno di sicurezza deve trovarla.

Spiace che il meccanismo di Dublino non sia cambiato, perché attualmente è disfunzionale.

E la proposta di un meccanismo di solidarietà basato sul denaro e non sulla condivisione dei compiti, che invece  apprezzeremmo di più. E deve essere un compito europeo porre fine alle morti nel Mediterraneo, le iniziative private delle Ong sono lodevoli ma non bastano.

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Haiti. Father Pipinato (Caritas): “The country is blockaded and without food, no alternative to UN troops”

“The Pope’s heartfelt appeal for Haiti on Sunday 10 March, renewed the following Sunday, has encouraged us to rethink our projects, to strengthen our ties with the local Church, to re-evaluate the efforts we’ve been making for years, and thus to strengthen our contribution in the field of communication, in order to make civil society aware of the plight of this country”. Father Gabriele Pipinato, Director of the Service for Charitable Interventions for the Development of Peoples of the Italian Episcopal Conference, explains the reasons that led to the publication of a special document on Haiti. The report provides a detailed picture of the catastrophic humanitarian crisis afflicting a country that has been facing a constant emergency for years and is now in danger of plunging into a deadly civil war. With a population of around 10 million, Haiti is the poorest country in Latin America and the Caribbean, and the least developed in the entire northern hemisphere. With a poverty rate of 80%, Haiti is plagued by political instability and natural disasters.

What did your research reveal?

The clearest and most dramatic finding was the situation of the missionaries, all of whom have been driven out of the country. We realised that, ironically, their presence was a danger both to them and to all the volunteers who, together with the missionaries, serve and help the local population. An emblematic example is reported in the dossier and concerns the experience of Sister Marcella Catozza.

The nun was forced to leave her orphanage at the request of the nuncio. In this case, the local criminal gangs assume that Europeans have access to or have their own financial resources and are therefore considered potential targets for kidnapping and subsequent ransom demands.

Sister Marcella has fled the country. She is now in Santo Domingo whence she is trying to support the mission as best she can. Because they come from countries perceived as ‘rich’, missionaries are potential targets. However, according to news reports, bandit attacks have become indiscriminate.

How is the Italian Church responding?

First of all, with a strong appeal to civil society. We can’t provide care for the whole world, but with our efforts we are trying to help and support countries that are facing serious challenges, denouncing their plight one by one. These are countries where life is unliveable, and I can assure you that there are many of them. Then, with concrete gestures and with constant prayer, we try to focus our gaze on these populations.

It is a great consolation for them to know that they are not forgotten.

It may be hard to believe, but in fact the feedback we receive from these countries is always the same: “The Pope has phoned us and is thinking of us”, they tell us, and this encourages them not to give up. Now, even without phone calls, we must do something and show our closeness by any means. We need to show our presence as a Christian community, perhaps with a touch of boldness, leaving room for the imagination of the Holy Spirit. Even a small gesture would be important.

What are the most serious emergencies at the moment?

Certainly the lack of food. Food aid is not getting through. It is intercepted and blocked on the roads by criminal gangs. As a result, it is impossible to obtain basic food items, such as cereals. This has a ripple effect on other situations: schools cannot provide their services, hospitals cannot treat the population. One emergency leads to another, and together they form a detailed picture of a country that is completely stuck in its tracks.

This is an important report for informing civil society at national and international level. Who do you think should take action to stop this terrible situation?

The United Nations! I think the UN should mobilise and send a contingent to restore some order, because the situation is currently beyond control. The UN should resume its proper role. Unfortunately, I see no alternative to the UN force. I think it is the only option that can restore an acceptable level of normalcy.

As Holy Week draws near, I must point out that the Haitian people have been carrying the cross for a long time. They are a suffering people who have embraced the words of Jesus.

At the moment, the Middle East conflict and the war in Ukraine are in the world’s spotlight, and the Italian Church is also present in terms of assistance and concrete presence. But there are many other critical situations that are closely monitored by the Service for Charitable Interventions you chair. Could you tell us about these situations?

 

There are so many! There are many countries in dire straits that we know little about. For example, although Myanmar has appeared in the press, it is usually in connection with the life and travails of Nobel Peace Prize winner Aung San Suu Kyi. But the fact is that this is a country plagued by extreme poverty and persecution, with an untold number of missing persons. Countless numbers. A story similar to that of the many desaparecidos from Argentina, which has been and continues to be widely reported. But nobody talks about the thousands of young people who have literally disappeared in Myanmar and of whom nothing is known. They are not in prison and there is no knowledge of their whereabouts. So perhaps we should be more and better informed, we should start to ask questions and we should try to give some concrete answers.

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Volontari in Caritas: sono 84.248 in Italia, più della metà nelle regioni del Nord

Sono 84.248 i volontari nelle Caritas di tutta Italia, di cui 22.275 nei servizi diocesani e 61.973 nelle parrocchie. Il dato, relativo al 2023, è in calo rispetto agli oltre 93 mila volontari rilevati nel 2020, probabilmente a causa delle limitazioni sanitarie che hanno colpito gli anziani durante la pandemia.  È quanto emerge dal primo Rapporto sul volontariato Caritas in Italia, a cura di Caritas italiana, presentato stasera in un incontro on line. Il rapporto, intitolato “Tutto è possibile. Il volontariato in Caritas: dati e riflessioni”, fotografa in 80 pagine la presenza dei volontari nei centri e servizi residenziali e non residenziali a livello diocesano (mense, centri di distribuzione di beni, empori, ostelli notturni, case fa[1]miglia e comunità alloggio, centri di ascolto, ecc.). Maggioritaria è però la presenza in ambito parrocchiale, con oltre 61.000 presenze, soprattutto in Puglia e in Umbria. La metà dei volontari è attiva soprattutto e nelle regioni del Nord Italia (50,4%), il 16,6% nel Centro, il 33% nel Mezzogiorno (Sud e Isole). La regione con il più alto tasso di volontari sulla popolazione residente è l’Emilia-Romagna (in media 99 volontari per 100mila abitanti). Seguono le Marche e la Basilicata (90,5).  Fanalino di coda la Basilicata. In teoria ogni diocesi italiana può contare su un numero medio di 103 volontari, ma in genere le disponibilità spaziano da 2 a 50 presenze. Ci sono però estremi: diocesi con soli 2 volontari e diocesi che invece possono contare fino a 900 e 1200 presenze.

 

L’identikit del volontario Caritas sfata, in parte, l’idea che le persone anziane siano la maggioranza assoluta: il 38,3% è over 65, tutti gli altri sono di età compresa tra 18 e 64 anni. I giovani under 35 sono il 16,3%.

Il volto è però largamente femminile, con il 60,3% di presenze.

I volontari hanno un titolo di studio medio-alto: il 77,4% ha almeno la maturità (il 34,2% è laureato). Sono prevalentemente pensionati (41,8%) e occupati (34,8%).


Come si diventa volontari Caritas? Due sono i principali canali d’ingresso: la frequentazione del mondo parrocchiale o associativo cattolico (42%) oppure i contatti personali con operatori Caritas o altri tipi di figure attive nel contesto socio-assistenziale locale (41,3%). Scarsa invece è la presenza di giovani che restano in diocesi come volontari dopo aver svolto il servizio civile.

Le motivazioni. Il 78,8% dei volontari Caritas si impegna per “essere utile agli altri, alla società”. Al secondo posto spiccano le motivazioni legate all’esigenza di essere coerenti con la propria fede religiosa (49%). Poco rilevanti invece le motivazioni utilitaristiche (far carriera, ottenere crediti formativi, farsi strada in un nuovo ambiente di lavoro, ecc.), segnalate soltanto dal 2,8%. Il dato dimostra la forte componente di gratuità che caratterizza da sempre l’impegno volontario nel mondo della Caritas.

Cittadini responsabili. “Chi fa volontariato agisce per amore verso il prossimo, senza aspettarsi nulla in cambio – commenta don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana -. In questa visione, il volontariato è riconosciuto come promotore della cultura della gratuità, che va controcorrente rispetto alla dimensione del profitto individuale che, di fatto, domina la nostra società”. Il volontario si fa carico della cosa pubblica e vi prende parte attivamente parte, diventa “cittadino responsabile”, “attore politico nel senso più alto e nobile del termine, cioè come colui che si occupa del bene comune, che si fa promotore di giustizia e di cambiamento sociale, che si fa portavoce dei diritti e delle istanze dei più deboli e dei più poveri”.

Forte è il livello di impegno: poco meno di un volontario su quattro si impegna per più di 25 ore mensili. Ma ci sono persone che offrono anche solo 5 ore mensili. Ciò rende possibile assicurare l’apertura di servizi che altrimenti dovrebbero ridurre l’offerta o addirittura cessare di esistere.  Il 38,5% dei volontari Caritas è contemporaneamente attivo in più servizi, gestiti anche da altri enti, pubblici o privati, non solamente di matrice ecclesiale.

Non è volontariato improvvisato e occasionale: il 70% dei volontari Caritas può contare infatti su almeno tre anni di esperienza, con punte del 30,2% di volontari che svolgono attività da più di dieci anni. Le persone che hanno cominciato il servizio negli anni della pandemia (tra il 2020 e il 2022) non superano il 15% del totale. La maggioranza assoluta di volontari (88,3%) è attiva in una sola sede. “Il volontariato rappresenta il primo serbatoio di energia delle opere socio-assistenziali promosse e/o gestite dalla Caritas in Italia – commenta Walter Nanni, di Caritas italiana, tra i curatori del rapporto -. Nel corso degli anni si è registrata una crescita esponenziale della cultura e della presenza del volontariato, spesso a partire da luoghi vicini alla dimensione ecclesiale, sia istituzionale che informale”.

Dall’indagine emergono anche criticità e sfide per il futuro. L’aspetto critico più rilevante per i volontari Caritas è la difficile gestione delle situazioni umane delle persone richiedenti aiuto: è il parere del 68,3% dei volontari. Seguono la scarsità delle risorse materiali a disposizione (49,5%) e la difficoltà a conciliare tempi di vita e tempi di impegno in Caritas (36,8%). Nel complesso, a dispetto dei vari problemi segnalati, la quota dei volontari soddisfatti (del tutto o abbastanza) è maggioritaria: 95,8%. Solo un piccolo gruppo di volontari si dichiara insoddisfatto, e tra questi solamente lo 0,8% afferma di essere “del tutto insoddisfatto”.

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Ucraina. Don Marcin Iżycki (Caritas Polonia): “Aiutare gli ucraini è dovere della Chiesa”

“Non possiamo sentirci stanchi e annoiati dalla guerra che continua. Dobbiamo continuare ad aiutare gli ucraini. È il nostro dovere, il dovere della Chiesa”. Sono le parole del direttore della Caritas polacca don Marcin Iżycki che ricorda così il secondo anniversario dell’aggressione militare russa contro l’Ucraina.

In due anni sono quasi 7 milioni gli ucraini che hanno attraversato la frontiera polacca, di questi oltre 1 milione si è stabilito in Polonia.

Un aiuto concreto, che la Caritas Polska aggiunge a quello che già dal 2014 sostiene per il popolo ucraino, e cioè da quando Mosca ha annesso a se la penisola di Crimea senza dimenticare tutti coloro che dal 24 febbraio 2022, malgrado la guerra, sono rimasti nel paese.

Molti dei profughi accolti in terra polacca aspettano solo la fine del conflitto per tornare a casa. Altri, forse, resteranno in Polonia per anni considerando che – secondo i dati della Caritas – in Ucraina sono quasi 200 mila le case distrutte o gravemente danneggiate e quindi inabitabili. Si stima inoltre che a causa dei bombardamenti russi in Ucraina siano stati distrutti oltre 1.500 centri sanitari, quasi 500 edifici di culto, 25mila chilometri di strade, e 3.300 istituti scolastici.

Dall’inizio della guerra, presso i 28 centri di aiuto ai migranti e rifugiati della Caritas Polska si sono registrati 92 mila cittadini ucraini. Un terzo sono bambini in età scolare e prescolare,che l’organizzazione sta aiutando ad inserirsi in un ambiente nuovo a loro estraneo, offrendo sostegno educativo e assicurando loro almeno qualche giorno di vacanza.



In Polonia hanno trovato rifugio anche i bambini ucraini provenienti dai centri di affido. Per circa un centinaio di questi, a Olsztyn vicino Częstochowa, la Caritas è riuscita ad aprire una scuola con l’insegnamento in lingua ucraina. “Avere degli insegnanti che parlano la loro lingua – racconta Paulina Gradek della Caritas diocesana di Czestochowa – ha permesso a questi bambini di sentirsi più al sicuro e di proseguire con buoni risultati la loro educazione”.

Di pari passo all’insegnamento per i piccoli proseguono due programmi di aiuto e sostegno a lungo termine per chi è rimasto in Ucraina attraverso i quali la Caritas polacca fornisce beni di prima necessità ai più bisognosi rimasti nel paese. L’iniziativa “Pacco per Ucraina” nel 2023 è stata destinata a 270mila persone rimaste nel paese, soprattutto anziani e disabili ma anche sfollati o in altro modo duramente colpiti dalla guerra. Il programma ha permesso di inviare l’anno scorso in Ucraina oltre 90 mila pacchi con generi alimentari e di igiene. “Il contenuto del pacco basta per circa 15 giorni”, spiega don Iżycki -, ed è importante dare seguito all’iniziativa. Non possiamo cedere all’indifferenza riguardo a quanto sta accadendo ormai da due anni in Ucraina”.
L’iniziativa “Da famiglia a famiglia”, attiva anche in altri paesi tra cui in Siria dove la guerra continua da 11 anni, prevede un regolare sostegno mensile ad un nucleo bisognoso di aiuto che risiede nella diocesi di Kiev-Zytomyr o quella di Charkiv-Zaporizja. Attualmente tali aiuti sono destinati a 1.800 famiglie ucraine.

Gli ucraini in Polonia hanno trovato un forte sostegno da parte della società civile e dalle autorità nazionali. Ma anche da parte di molte organizzazioni come il Sovrano Ordine Militare di Malta,che già dal 2014 ha offerto la sua collaborazione. Successivamente, in collaborazione con il Ministero degli affari esteri polacco, ha avviato un programma pluriennale di formazione del personale paramedico ucraino. Dal 22 febbraio del 2022 l’Ordine, grazie ad alcune centinaia di volontari, sostiene i rifugiati sia lungo la frontiera tra la Polonia e l’Ucraina, sia nei grandi centri come Cracovia e Katowice, dove ha allestito dei presidi sanitari e organizzato una ventina di punti di raccolta dei doni portati poi a Leopoli, Drohobyc o Ivano Frankivsk.
L’Ordine ha anche predisposto numerosi convogli con medicinali, attrezzature mediche e generi alimentari destinati all’Ucraina. “Nei primi mesi di guerra, ritornando in Polonia – racconta Marek Grzymowski della Fondazione Servizio Medico dell’Ordine -, i pulmini e i tir partiti con gli aiuti, portavano a bordo altri rifugiati”. L’Ordine di Malta si adopera anche per sostenere i profughi ucraini in Polonia, organizzando la formazione professionale, viaggi terapeutici per bambini, al mare e in montagna e lo ha fatto lanciando l’iniziativa “Hotel di sostegno” grazie alla quale i proprietari di alberghi, hanno ospitato per qualche giorno le famiglie di soldati ucraini caduti al fronte.
Ad aiutare l’Ucraina, specialmente dal 24 febbraio del 2022, non poteva mancare la Croce Rossa polacca che ha sostenuto 1,8 milioni di ucraini e inviato nel paese in guerra oltre 1000 convogli con generi di prima necessità.



Sul territorio polacco la Croce Rossa ha istituito per i rifugiati 16 centri di integrazione, dove l’aiuto viene fornito non solo al 40% di profughi ucraini che in Polonia hanno trovato lavoro e pagano le tasse, ma soprattutto alle persone anziane, bambini e malati, bisognosi di un’assistenza continuativa.
Sin dall’inizio dell’aggressione russa, la Croce Rossa polacca collabora con le agende dell’Onu dedicate, ma – come osserva Michal Mikołajczyk, membro del consiglio direttivo – “purtroppo nelle condizioni di guerra in Ucraina non sempre il simbolo della Croce Rossa garantisce l’intoccabilità dagli attacchi russi”.Mikołajczyk sottolinea, inoltre, che a causa della guerra in Ucraina la sua organizzazione, come durante la Seconda guerra mondiale su richiesta dei famigliari si occupa di ricerca delle persone scomparse. “È incredibile che nell’epoca della comunicazione globale e dell’internet, in Ucraina ci siano migliaia di famiglie che cercano i loro parenti dispersi”.

La Croce Rossa ha già ricevuto quasi 10mila richieste di questo tipo, ma finora è riuscita a far ricongiungere solo 21 famiglie ucraine.

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Pakistan. Gulzar (Caritas): “Così aiutiamo i cristiani perseguitati e durante alluvioni e terremoti”

(da Islamabad) – Tre mesi e mezzo fa, in Pakistan, la minoranza cristiana che vive a Jaranwala, a 30 chilometri da Faisalabad, nello Stato del Punjab, è stata presa di mira da una folla inferocita che ha diffuso false accuse di blasfemia. In Pakistan vige da anni una legge che punisce con il carcere o la pena di morte chi insulta l’islam o il profeta Maometto. Oltre 500 famiglie, su circa 10.000 cristiani, hanno visto incendiare o distruggere le loro case, i beni saccheggiati, le croci, le bibbie e il cimitero profanati. Circa 30/40 chiese sono state vandalizzate. Ad intervenire in loro soccorso, oltre alla diocesi di Faisalabad, è stata Caritas Pakistan, che ha la sede principale a Lahore, con 250/300 operatori sparsi in 8 uffici del Paese.

(foto: Caiffa/SIR)

Amjad Gulzar – (foto: Caiffa/SIR)

“Il 16 agosto, appena accaduto l’assalto, ci siamo subito recati sul posto – racconta al Sir Amjad Gulzar, direttore esecutivo di Caritas Pakistan -. Mi è rimasto impresso il forte odore di prodotti chimici bruciati negli incendi, oltre alla distruzione delle case e delle chiese. Per fortuna non ci sono stati morti”. Caritas ha messo a punto un piano, insieme alla diocesi di Faisalabad, per assistere le 500 famiglie colpite.

Aiuti per la ricostruzione delle case, scuole e sostegno psicologico. Dopo una valutazione dei bisogni gli operatori hanno distribuito cibo e set da cucina, letti, lenzuola, coperte, lavatrici e dato supporto nella ristrutturazione delle case. Di recente hanno creato tre “Caritas community school”, frequentate da una novantina di studenti. Qui ricevono anche materiali didattici gratis e sostegno psicologico e sociale. “E’ una comunità molto povera e vulnerabile – precisa -. L’incidente è stato traumatico, molti bambini e anziani hanno ancora incubi, non dormono la notte, sono impauriti, si nascondono”.

Il progetto non è ancora concluso: il 16 dicembre distribuiranno a Faisalabad pacchi natalizi a 300 famiglie, con un pranzo di Natale a cui sono stati invitati molti bambini, “per far sentire loro che la Chiesa è vicina”.

(foto: Caiffa/SIR)

Ora la situazione a Jaranwala sembra essersi normalizzata. “C’è voluto un po’ di tempo ma i governi provinciale e federale hanno capito che sono necessari sforzi per creare armonia tra le persone – spiega Gulzar -. Si sono chiesti cosa fare per evitare altri incidenti. Il governo locale, insieme alla Chiesa cattolica e alle autorità musulmane, stanno lavorando insieme per ristabilire l’armonia”.

L’uso improprio della legge sulla blasfemia. Gulzar conferma che in Pakistan, con 224 milioni di abitanti e oltre 2 milioni e mezzo di cristiani, ci sono comportamenti discriminatori nei confronti delle minoranze. Spesso questi casi accadono nelle aree rurali, dove le persone sono povere e non istruite. “La legge sulla blasfemia viene usata come pretesto – spiega -. Spesso le indagini dimostrano che i casi sono falsi, le accuse vengono usate per casi personali”. Una discriminazione meno evidente emerge anche nelle grandi città: “Molti cristiani sentono che non viene dato loro il giusto spazio.

Devono cambiare la mentalità e i comportamenti delle persone”.

“Però ci sono anche episodi in cui famiglie cristiane sono state salvate da famiglie musulmane, li hanno accolti nelle loro case – sottolinea Gulzar -. In Pakistan ci sono tante buone persone ma riuscire a cambiare i comportamenti discriminatori è una sfida molto grande. Bisogna lavorare per evitare scontri e conflitti”.

“Rivedere la legge per impedire abusi”. Secondo il direttore di Caritas Pakistan, “sarebbe molto importante che la legge sulla blasfemia venga rivista perché molte volte non è applicata in maniera corretta. Ma soprattutto devono cambiare i comportamenti, la mentalità delle persone, far capire che anche se la religione di Stato è l’islam, la patria è stata fondata sulla coesistenza delle religioni”. Non a caso la parte bianca nella bandiera pakistana, su una parte verde che indica l’islam maggioritario, rappresenta proprio la presenza delle minoranze religiose.

“Bisogna iniziare dai bambini nelle scuole, fare informazione e training a tutti i livelli per imparare il rispetto delle diversità”.

(foto: Caiffa/SIR)

Caritas lavora in Pakistan dal 1965 ed è impegnata in primo luogo nella risposta alle emergenze, come alluvioni e terremoti. L’ultima disastrosa inondazione è stata nell’agosto del 2022. Grazie al sostegno di Caritas italiana e della Cei hanno potuto assistere più 10.000 famiglie con aiuti d’emergenza, tra cui cibo, beni non alimentari, tende, mezzi di sostentamento per allevamento e agricoltura, sicurezza alimentare, acqua e servizi igienici, educazione, aiuti ai bambini.

Costruire comunità resilienti a terremoti e alluvioni. Vista la frequenza delle alluvioni nella stagione dei monsoni, è interessante è anche il lavoro di prevenzione che Caritas Pakistan porta avanti per costruire comunità resilienti nelle zone più a rischio, vicino ai fiumi. Una recente indagine ha dimostrato che in 35 villaggi in cui hanno lavorato l’impatto delle inondazioni del 2022 è stato minore rispetto ad altri villaggi: “Le persone hanno compreso i messaggi del governo, sono riuscite a mettere in salvo persone, gli animali e i beni personali, portando con sé i documenti nel momento della fuga”.

1.300.000 alberi piantati. Un altra importante sfida è la lotta ai cambiamenti climatici prevenendo i disastri attraverso la piantumazione di alberi: finora ne hanno piantati 1 milione e 300.000 in diverse zone a rischio del Pakistan, il progetto è ancora in corso. I finanziamenti per le tante e varie progettualità arrivano principalmente da Caritas italiana, Caritas Austria e Caritas Germania.

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Pakistan. Gulzar (Caritas): “We are helping persecuted Christians and victims of floods and earthquakes”

(Islamabad) – Three and a half months ago, the minority Christian community of Jaranwala, 30 kilometres from Faisalabad in Punjab province, was the target of an angry mob that spread false accusations of blasphemy. Pakistan’s blasphemy law, which has been in force for years, stipulates that anyone who insults Islam or the Prophet Muhammad must be punished with imprisonment or the death penalty. The homes of more than 500 families, out of an estimated 10,000 Christians, have been burnt or destroyed, their property looted, their crosses, Bibles and cemeteries desecrated. Some 30 to 40 churches have been destroyed. Caritas Pakistan, with its headquarters in Lahore and 250/300 staff spread over 8 offices in the country, intervened in their rescue, along with the Diocese of Faisalabad.

“On 16 August, we rushed to the scene immediately after the attack,” Amjad Gulzar, executive director of Caritas Pakistan, told SIR. “I was inundated by a terrible stench of chemicals burnt in the flames, surrounded by devastated houses and churches. Fortunately, no one died.” Caritas, in collaboration with the Diocese of Faisalabad, has drawn up a plan to help the 500 households affected.

Support for rebuilding homes, schools and psychological counselling. After an assessment of the specific needs, the Caritas workers distributed food and kitchen items, bedding, sheets, blankets, washing machines and offered help in home reconstruction works. Three ‘Caritas Community Schools’ have recently been opened, with approximately 90 students attending. The students also receive free educational materials, as well as psychological and social support. “This is a very poor and vulnerable community,” he says. “It was a traumatic event. Many children and old people still have nightmares, they don’t sleep at night, they are afraid, they hide.”

The project continues: on 16 December they will distribute Christmas presents

to 300 families in Faisalabad, with a Christmas lunch to which many children are invited, “to make them feel the Church’s closeness.”

The situation in Jaranwala now seems to have returned to normal. “It took some time, but the provincial and federal governments came to realise that something needed to be done to bring the people together,” says Gulzar. “They reflected on ways to prevent further violence. The local government, the Catholic Church and the Muslim authorities are working together to restore harmony.”

Misuse of the blasphemy law. Gulzar confirmed that minorities are discriminated against in Pakistan, a country of 224 million inhabitants, including more than 2.5 million Christians. Such incidents are often reported in rural areas where residents are poor and illiterate. “The blasphemy law is used as an excuse,” he explains. “Investigations often show that the cases are fabricated, charges are brought for personal cases.” However, major incidents of discrimination also occur in urban centres, although they are less noticeable: “Many Christians feel that they are not treated with due consideration.

People’s attitudes and behaviour need to change.

“But there are also cases where Christian families have been saved by Muslim families, who have taken them into their homes,” Gulzar points out. There are many good people in Pakistan, but successfully reversing discriminatory behaviour is a huge challenge. Our efforts to prevent clashes and conflict must continue.”

“Review the Law to prevent its misinterpretation.” According to the director of Caritas Pakistan, “it is essential to amend the blasphemy law because it is often misinterpreted. But the most important thing is to change the behaviour, the mentality of the people, to make them realise that even though the state religion is Islam, the country was founded on the basis of religious coexistence.” Unsurprisingly, the white stripe of Pakistan’s flag represents religious minorities and minority religions, while the green represents Islam and the Muslim majority.

“It is necessary to start with schoolchildren, providing information and teaching respect for diversity at all levels of education.

Caritas started its active presence in Pakistan in 1965. Its main commitment is to respond to emergencies such as floods and earthquakes. The last catastrophic flood was in August 2022. Thanks to the support of Caritas Italy and the Italian Episcopal Conference, more than 10,000 families have been reached with emergency aid, including food, non-food items, tents, agricultural and farming supplies, food security, water and sanitation, education and support for children.

Building communities resilient to earthquakes and floods. Caritas Pakistan promotes prevention efforts to build resilient communities in the most vulnerable areas near rivers, given the frequency of flooding during the monsoon season. A recent survey showed that 35 villages they worked in were less affected by the 2022 floods than others: “People listened to the government’s messages and managed to save people, animals and personal belongings, taking their documents with them as they fled.”

1,300,000 trees planted. Climate change mitigation through tree planting is also a major challenge: 1.3 million trees have been planted in various vulnerable areas of Pakistan so far, and the project is still ongoing. The funding for the many and varied projects is mainly provided by Caritas Italy, Caritas Austria and Caritas Germany.

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Società. Caritas: “In Italia 5,6 milioni di poveri assoluti (+357mila). Più povertà croniche, senza dimora e working poor”

Chi in Italia nasce povero probabilmente lo rimarrà anche da adulto. E avere un lavoro non è più sufficiente per vivere una vita dignitosa. È l’impietoso ritratto contenuto nel Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia 2023 “Tutto da perdere” di Caritas italiana, presentato oggi a Roma. A quasi trent’anni dalla prima uscita del volume aumenta ancora la povertà: nel 2022 si stimano oltre 5,6 milioni di poveri assoluti, pari al 9,7% della popolazione (erano il 9,1% nel 2021), ossia un residente su dieci. Sono scivolati nella povertà assoluta altre 357mila persone.  Si tratta di 2 milioni 187mila famiglie, a fronte di 2 milioni 22mila famiglie del 2021 (+165mila nuclei). Tra loro, vi è la cifra enorme di 1,2 milioni di minori in condizione di indigenza, il cui futuro sarà indubbiamente compromesso. Gli stranieri, pur rappresentando solo l’8,7% della popolazione, costituiscono il 30% dei poveri assoluti. I lavoratori poveri che si rivolgono alla Caritas sono il 22,8% dell’utenza, di cui il 64,9% sono stranieri. Secondo la Caritas, anche a causa dei conflitti in Medio Oriente e Ucraina,

“i recenti fatti internazionali potranno avere pesanti conseguenze in termini economici che si andranno a innestare su un tessuto economico globale in frenata”.

Sono 2,7 milioni i “working poor” in Italia (l’11,5% degli occupati rispetto a una media europea dell’8,9%). Il 47% dei nuclei in povertà assoluta risulta infatti avere il capofamiglia occupato. Tra le famiglie povere di soli stranieri la percentuale sale addirittura all’81,1%. Ai working poor il volume dedica un focus specifico, con una indagine nazionale di tipo partecipativo.

In Europa il 21,8% a rischio povertà, in Italia il 24,4%. Oggi in Europa vivono in una condizione di rischio povertà e/o esclusione sociale oltre 95 milioni di persone, il 21,8% della popolazione (nel pre-pandemia l’incidenza si attestava al 20,7%). In Italia l’indicatore raggiunge il 24,4% per un totale di 14 milioni 304mila persone a rischio.

Caritas: 3,4 milioni di interventi nel 2022, aiutate 255.957 persone. La Caritas, con il suo lavoro capillare radicato nei territori, è un osservatorio privilegiato dove osservare la situazione e i cambiamenti.  Nel 2022 gli interventi di aiuto sono stati complessivamente 3,4 milioni, per una media di 13,5 prestazioni per assistito/nucleo (la media del 2021 era di 6,5). Nei centri di ascolto e servizi informatizzati (complessivamente 2.855) sono state supportate 255.957 persone, ossia l’11,7% delle famiglie in povertà assoluta, l’1% delle famiglie residenti. Gli stranieri sono il 59,6%, con punte che arrivano al 68,5% e al 66,4% nel Nord-Ovest e nel Nord-Est. L’età media è 53 anni per gli italiani e 40 anni per gli stranieri. Il 52,1% sono donne, il 47,9% uomini. Gli utenti sono accomunati da un basso livello di istruzione (il 66,5% ha la licenza di scuola media inferiore) e fragilità occupazionale. Il 48% è in condizioni di disoccupazione e di “lavoro povero” (22,8%).

I lavoratori poveri che si rivolgono alla Caritas sono il 22,8% dell’utenza, di cui il 64,9% sono stranieri. L’età è compresa fra i 35 e i 55 anni, il 53,7% sono coniugati, il 75,9% ha figli, il 76,7% vive in case in affitto. Lavorano come colf, badanti, addetti alle pulizie, operai, manovali, impiegati nella ristorazione e nel commercio.

Le nuove povertà pesano per il 45,3% tra gli utenti Caritas ma sono ancora moltissime le persone che faticano a risollevarsi: il 24,4% è seguito da cinque anni e più, il 21% da 1-2 anni, il 9,3% da 3-4 anni. Ci si rivolge alla rete Caritas soprattutto per problemi economici (il 78,5%), occupazionali (45,7%) e abitativi (23,1%), disagi legati all’immigrazione (24,2%), problemi familiari (13%), di salute (11,6%), legati all’istruzione (7,8%), alle dipendenze (3,1%), alla detenzione e giustizia (3,1%) o all’ handicap/disabilità (2,9%).

Le novità: calano assistiti (-2,3%) ma aumentano persone sole, povertà croniche e senza dimora. Da un confronto tra i dati Caritas del primo semestre 2023 rispetto al primo semestre 2022 emerge un calo del numero di assistiti del 2,3%; si irrobustiscono le povertà croniche (+9,6% delle persone in carico da molti anni), mentre risulta in calo il numero dei nuovi ascolti (-7,2% delle persone ascoltate per la prima volta nel 2023); si abbassa la quota dei nuclei familiari (-5,4%) e sale invece quello delle persone sole (+5,4%) e dei divorziati (+ 3,2%); torna a rafforzarsi la grave esclusione sociale e abitativa: le persone senza dimora in soli dodici mesi aumentano del +12,3%;  dal 2022 al 2023 tende ad aumentare la quota di persone con problemi abitativi (mancanza di casa, accoglienza provvisoria, abitazione precaria/inadeguata) e connessi allo stato di salute.

Al Sud e nei piccoli comuni va peggio. I dati nazionali evidenziano ancora lo svantaggio del Mezzogiorno e dei piccoli comuni con meno di 50mila abitanti: 8,8% di persone in povertà assoluta a fronte del 7,7% delle aree metropolitane. Da un anno all’altro peggiora la condizione dei piccoli comuni del Nord Italia (dal 6,9% all’8,1%).

La povertà dei bambini. Secondo l’Istat nel 2022 sono 1 milione 270mila i minori che vivono in povertà assoluta (13,4% in Italia, 15,9% nel Sud). Il 7,5% dei minori è in condizioni di grave deprivazione abitativa, con tassi di sovraffollamento che sfiorano il 50% nel caso delle famiglie mono-genitoriali. Positivo è però il calo della dispersione scolastica: 11,5% nel 2022 (era il 16,8% nel 2013). I giovani Neet rappresentano quasi il 20% di tutti i 15-29enni (1,7 milioni), oltre 7 punti percentuali in più della media europea (11,7%).

La povertà energetica in Italia, ossia la difficoltà a pagare le bollette delle utenze domestiche o poter scaldare la propria casa, colpisce il 9,9% della popolazione (dato Istat/Eurostat), con una tendenza all’aumento negli ultimi 10 anni. Nel 2022 il 19,1% degli assistiti Caritas ha ricevuto un sussidio economico (86mila sussidi), il 45% è stato a supporto di “bisogni energetici”.

Reddito di cittadinanza. Nei primi sette mesi del 2023 i nuclei familiari che hanno fatto affidamento sul RdC sono stati 1 milione e 331 mila (Inps, 2023), per un totale di più di 2,8 milioni di persone coinvolte. Nel 2021 erano quasi 4 milioni di persone.

 

 

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Gaza Strip. Antone (Caritas Gaza): “Our priority now is to survive. We will rebuild our homes”

“The situation in Gaza is terrible: there is destruction everywhere, the roads are interrupted, there is no electricity, no water, no food… With the exception of a few areas, all telecommunications infrastructure, including the Internet, is out of order. The Israeli army is targeting everything, factories, shops, houses, people, even animals.” George Antone, administrative director of Caritas in Gaza, spoke to SIR from the Catholic parish of Holy Family, where he is sheltering with his family. He posted photos and video clips on social media to substantiate his story.

The Hamas attack on Israel on 7 October and the Israeli army’s harsh response have plunged the people of Gaza back into the never-ending nightmare of war. Since withdrawing from Gaza in 2005, Israel has fought four wars against Hamas terrorists, in 2008, 2012, 2014 and 2021. This is the fifth armed conflict, with an unprecedented number of dead and wounded on both sides. The situation on the ground has been further inflamed by Israel’s ultimatum to the population of Gaza to evacuate from the north and centre of the Strip to the south – in preparation for the ground offensive – and by the massacre at the Al-Ahli Anglican hospital, which left hundreds dead and wounded, with the blame being passed back and forth between Hamas and Israel. The Latin Catholic parish opened its doors to the displaced since the beginning, and today, two weeks after the outbreak of the war, it has become a sanctuary of solidarity and humanity that even Pope Francis looks at with concern and closeness. The Holy Father has made several direct telephone calls to the parish and to the parish priest, Father Gabriel Romanelli, who is currently stranded in Bethlehem because of the war, waiting to return to the Strip.

Antone, what is the situation in the parish and how are the faithful who have sought refuge there from the bombs and rockets?

In our Catholic parish of Holy Family, we are currently hosting over 500 displaced Christians, while another 350 are sheltering in the Greek Orthodox parish of St Porphyrios. Many have lost their homes, their jobs, their shops have been destroyed or partially damaged by the bombing. Everyone here is in a state of anxiety, fear and confusion: we don’t know what is going to happen next.

What was your reaction to the massacre at the Anglican Al Ahbi Christian hospital?

Everyone here in the parish was horrified by this despicable attack. It has always been our belief, and not just ours, that Christian places are safe because they have no political, military or ideological affiliations. They offer services to everyone without distinction, they serve the community as a whole. That is why the attack on Al Ahbi hospital came as such a shock to us. A place of humanitarian service, like a hospital, was desecrated. The Anglican hospital was doing nothing but treating and helping people, instead it was attacked. This is a criminal act.

How have you organised yourselves in the parish to deal with this humanitarian emergency?

As a Church we are trying to cope with this very serious emergency by trying to keep all the people in the parish together. There are families, old people, sick people, people with disabilities. We are providing them with water, food and some electricity as far as we can. We’re also trying to get mattresses and blankets, because we don’t have enough for everyone. We are trying to give them some peace and security in the current difficult situation.

What concrete initiatives have you put in place?

We have formed small groups, each with a specific task: thanks to Caritas Jerusalem, we set up a small outpatient clinic where we distribute medicines and offer medical examinations. We have another group that is in charge of the kitchen, and a third that deals with telecommunications to ensure better communication. Caritas vehicles are available to transport people, for example, to the hospital for a medical check-up. It is dangerous to leave the parish and drive around. We only do so in emergencies.

There are also many children. What are you doing for them?

There are indeed many children and young people here in the parish. They spend their days playing, praying and studying as much as they can. For our part, we do what we can to put a smile on their faces, to relieve them of the enormous burden of this tragedy.

 

The phone calls from Pope Francis, expressing his closeness and his prayers, have had a strong echo…

Pope Francis has called us many times to check on our condition and to express his solidarity and prayers. This is very reassuring for us because we don’t feel abandoned. We also receive extensive human, spiritual and material support from the Latin Patriarch, Card. Pierbattista Pizzaballa, and the entire Patriarchal Diocese.

In the past few days, the Israeli army instructed all residents of northern and central Gaza to evacuate to the south, a decision that supposedly precedes a ground offensive. You decided to remain, why?

Together with the parish priest, Father Gabriel Romanelli, and the Patriarch, Card. Pizzaballa, we decided to stay in the parish and not go to the south of the Strip, as Israel ordered, because this is our home, our homeland. Every day we pray and ask Jesus to protect us. We are sure that he will protect us from the evil that surrounds us. Gaza will never be without the Christian presence that is a sign of hope for all.

How do you see the future of Gaza

The future of Gaza For now, let us concentrate on surviving. Then, when even this war is over, we will rebuild our homes, our city, our workplaces, as we have always tried to do over the years. This also means healing the many traumas that this conflict is causing the people of Gaza. We will rebuild our city, but now, I repeat, we must think about protecting our families, our children. That is the priority. We don’t know what will happen in the future.

In the midst of so much uncertainty and anguish, there is only one certainty left, which Antone posted on his social media, and that is the words of Thomas More: ‘Earth has no sorrow that Heaven cannot heal.’

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Striscia di Gaza. Antone (Caritas Gaza): “Priorità è sopravvivere, ricostruiremo le nostre case”

“La situazione a Gaza è terrificante: macerie ovunque, strade interrotte, non c’è elettricità, non c’è acqua, non c’è cibo. Le comunicazioni sono saltate, anche la rete internet eccetto che in alcune zone. L’esercito israeliano spara ad ogni cosa, fabbriche, negozi, abitazioni, persone anche agli animali”. Mentre parla con il Sir dalla parrocchia latina della Sacra Famiglia di Gaza, dove si trova con la sua famiglia, George Antone, direttore amministrativo di Caritas a Gaza, invia – a mezzo social – foto e spezzoni di video per dare ancor più peso alle sue parole.

George Antone (a dx) (Foto Latin Parish)

L’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre scorso, e la conseguente, durissima, reazione dell’esercito israeliano, ha fatto ripiombare la popolazione gazawa nell’incubo, mai sopito, della guerra. Da quando si è ritirato da Gaza nel 2005, Israele ha già combattuto ben quattro guerre con i terroristi di Hamas, nel 2008, 2012, 2014 e 2021. Questa è la quinta che sta mietendo un numero impressionante di vittime e feriti da ambo le parti, come mai accaduto fino ad oggi. A rendere ancora più incandescente la situazione sul terreno l’ultimatum di Israele alla popolazione di Gaza a spostarsi da nord e centro verso il sud della Striscia – in vista dell’offensiva terrestre – e la strage, con centinaia di morti e feriti, all’ospedale anglicano Al-Ahli con rimpallo di responsabilità tra Hamas e Israele. Sin da subito la parrocchia latina ha aperto le porte agli sfollati ed oggi, a due settimane dallo scoppio della guerra, è diventata un presidio di solidarietà e di umanità al quale anche Papa Francesco guarda con attenzione e vicinanza. Più volte il Pontefice ha chiamato direttamente la parrocchia e il parroco, padre Gabriel Romanelli, che a causa della guerra è ancora bloccato a Betlemme e in attesa di rientrare nella Striscia.

Antone, come è la situazione in parrocchia, qual è lo stato d’animo dei fedeli che vi hanno trovato rifugio dalle bombe e dai razzi?
Nella nostra parrocchia cattolica della Sacra Famiglia attualmente accogliamo oltre 500 sfollati cristiani mentre altri 350 sono in quella greco-ortodossa di san Porfirio. Molti hanno perso la casa, il lavoro, i loro negozi sono andati distrutti o parzialmente danneggiati dai bombardamenti. Qui siamo tutti preoccupati, impauriti e confusi, perché non sappiamo cosa potrà accadere in futuro.

(Foto ANSA/SIR)

Come avete reagito alla strage nell’ospedale cristiano al Ahbi, della Chiesa anglicana
Tutti qui in parrocchia sono rimasti inorriditi da questo ignobile attacco. Abbiamo sempre creduto, e non solo noi, che i luoghi cristiani fossero sicuri perché non coinvolti a livello politico, militare, ideologico. Essi offrono servizi a chiunque, senza distinzioni, sono a servizio della comunità nella sua interezza. Per questo motivo l’attacco all’ospedale al Ahbi ci ha scioccato. Un luogo di aiuto umanitario, come un nosocomio, che non è stato rispettato, profanato. L’ospedale anglicano non faceva altro che curare e assistere le persone, invece è stato attaccato. Un gesto criminale.

Come vi siete organizzati in parrocchia per fronteggiare questa emergenza umanitaria
Come Chiesa stiamo cercando fare fronte a questa gravissima emergenza cercando di tenere insieme tutte le persone nel compound parrocchiale. Ci sono famiglie, anziani, malati, disabili. Diamo loro, per quanto possibile, acqua, cibo, e un po’ di energia elettrica. Inoltre stiamo cercando di reperire materassi e coperte perché non ne abbiamo a sufficienza per tutti. Cerchiamo di trasmettere loro un po’ di serenità e di sicurezza, nella gravità del momento.

Parrocchia di Gaza (Foto archivio Lpj.org)

In concreto che iniziative avete messo in campo?
Ci siamo organizzati in piccoli team, ognuno con un incarico specifico: grazie a Caritas Gerusalemme abbiamo avviato un piccolo ambulatorio dove diamo medicine, forniamo visite. Un altro gruppo si occupa della cucina, un altro di telecomunicazioni così da avere maggiori possibilità per comunicare. Abbiamo alcune auto della Caritas che servono a trasportare persone, per esempio, in ospedale per visite specialistiche. Uscire dalla parrocchia e andare in giro è pericoloso. Lo facciamo solo per emergenze.

(Foto Latin parish)

Ci sono anche tantissimi bambini. Cosa fate per loro?
Vero, abbiamo molti bambini e ragazzi qui in parrocchia. Essi passano le loro giornate giocando, pregando, studiando nei limiti consentiti dalla situazione. Da parte nostra facciamo il possibile per farli sorridere alleviando loro il peso enorme di questa tragedia.

Hanno avuto una grande eco le telefonate arrivate da Papa Francesco che vi ha espresso vicinanza e preghiera…
Papa Francesco ci chiama spesso per sapere come stiamo e per esprimerci tutta la sua solidarietà e preghiera. Questo ci conforta moltissimo perché non ci sentiamo abbandonati a noi stessi. Riceviamo tanto sostegno umano, spirituale e materiale anche dal patriarca latino, card. Pierbattista Pizzaballa, e da tutta la diocesi patriarcale.

Nei giorni scorsi l’Esercito di Israele ha intimato a tutti gli abitanti del nord e del centro di Gaza di evacuare verso il sud, decisione che dovrebbe precedere l’offensiva terrestre. Voi avete deciso di restare, perché?
Abbiamo deciso insieme al parroco, padre Gabriel Romanelli, e al patriarca, card. Pizzaballa, di restare dentro la parrocchia e non spostarci al sud della Striscia, come intimato da Israele perché questa è la nostra casa, questa è la nostra terra natia. Ogni giorno preghiamo e chiediamo la protezione di Gesù. Siamo certi che ci proteggerà dal male che ci circonda. A Gaza non mancherà mai la presenza cristiana che è un segno di speranza per tutti.

(Foto ANSA/SIR)

Come vede il futuro di Gaza
Il futuro di Gaza Pensiamo intanto a sopravvivere e poi quando anche questa guerra sarà finita torneremo a ricostruire le nostre case, la nostra città, i nostri luoghi di lavoro, come abbiamo sempre cercato di fare in questi anni. Fare questo significa anche curare i tanti traumi che questo conflitto sta provocando nei gazawi. Ricostruiremo la nostra città ma adesso, ripeto, dobbiamo pensare a proteggere le nostre famiglie, i nostri bambini. Questa è la priorità. Non sappiamo, infatti, cosa accadrà in futuro.

In mezzo a tanti dubbi e angosce resta solo una certezza che Antone ha ‘postato’ sui suoi social e sono parole di Thomas More: “Non c’è dolore sulla terra che il cielo non possa guarire”.

(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)