*Libertà di stampa, falso allarme* di Vincenzo D’Annna*
*Libertà di stampa, falso allarme*
di Vincenzo D’Annna*
La faccia tosta e la memoria corta sono talenti politici che si spendono senza alcun risparmio dalle nostre parti. Requisiti indispensabili per tutti coloro che, non avendo niente di buono e di concreto da proporre, creano ed inseguono sterili polemiche su argomenti speciosi elevati al rango di questioni politiche basilari. Come una novella San Sebastiano, anche Giorgia Meloni viene fatta segno quotidianamente al lancio di frecce avvelenate su situazioni che nulla hanno a che vedere con il buon governo. Si tratta per lo più di elucubrazioni sui massimi sistemi e sulle virtù essenziali che caratterizzano lo Stato democratico: l’anti-fascismo, orfano dell’anti-comunismo; il moralismo, orfano della moralità di chi lo invoca; il debito statale, orfano di chi lo ha prodotto in precedenza al timone di Palazzo Chigi ed infine le libertà civili e politiche, orfane di quanti, su tali questioni, hanno dato, in precedenza, pessima prova di sé. Intendiamoci: a tanto si arriva dopo le generiche contestazioni e le ripetute richieste all’esecutivo di tirare fuori più soldi per tutto (sanità, contratti pubblici, ambiente) e di stangare i patrimoni, ossia elevare esose gabelle su chi produce ricchezza ed ha già pagato le tasse ordinarie. Insomma le opposizioni divagano su argomenti col piglio pensoso ed il sussiego che proviene da una supposta superiorità culturale. L’etica dei fini che perseguono? E’ quella dei buoni “altruisti” ossia da realizzare…con i soldi degli altri!! Così come avvenne al centurione convertito Sebastiano, messo a morte da Diocleziano, il corpo del Governo sopravvive e se la cava pur essendo bersagliato ripetutamente dai dardi scagliati dai vari “maitre a penser” di turno. L’ultima alzata d’ingegno di costoro? l’accusa all’esecutivo di centrodestra di voler limitare la libertà di stampa e di critica al governo. Secondo K.R. Popper, la libertà di critica rappresenta la massima prerogativa di un regime liberale. Il filosofo ed epistemologo austriaco scriveva che “la democrazia nelle società aperte consiste nella tolleranza che il potere costituito mostra nei confronti di coloro che lo sottopongono ad una continua ed incessante critica. Non è importante sapere chi governa ma come controllare e criticare i governanti”. Un principio basilare fondato sulla prerogativa che ciascun cittadino è portatore di diritti civili indisponibili per chi regge il timone della Nazione, tra questi quello di esporre liberamente il proprio dissenso in tutte le forme consentite: dalla libertà di parola e di associazione fino a quella di stampa. Tuttavia secondo la Comunità Europea, o meglio per i giornalisti di Reporter Sans Frontières, l’Italia sarebbe scesa sensibilmente nella classifica dei paesi con maggiore libertà d’informazione nonostante proprio di recente la UE abbia varato una legge che tutela i media ed il giornalismo indipendente. Ebbene, secondo questa “denuncia”, il Belpaese avrebbe perso tre posti scendendo dalla 43esima alla 46esima posizione, con i paesi Scandinavi ai piani alti della graduatoria e quelli dei Balcani (come l’Ungheria di Orban) scivolati piuttosto in basso. Paradossalmente la patria che invento’ la democrazia, ossia la Grecia, si trova all’88esimo posto. Tanto è bastato perché Bruxelles, per mano del suo primo ministro Ursula Von der Leyen, scrivesse al governo italiano per rappresentare la propria preoccupazione in merito al pericolo che lo Stivale starebbe correndo. Meloni le ha risposto per le rime chiarendo che molti dei presupposti sui quali è basato il declassamento dell’Italia deriva dalle fake news messe in giro, notizie create artatamente dalla stampa di opposizione e poi diffuse dalla minoranza politica, ossia da quei partiti che, guarda caso, fanno parte della maggioranza del parlamento di Bruxelles. Tuttavia tanto è bastato per imbastire su La 7 che, guarda caso, ha come direttore editoriale Marco Rizzo, leader della sinistra antagonista, un vero e proprio processo. La trasmissione è “In Onda” e la parte dei pubblici ministeri è toccata a Flavia Perina, giornalista ed ex deputata di Alleanza Nazionale passata dalle truppe di Fini e dalle colonne del Secolo d’Italia, storico giornale del Msi-Dn, al Fatto Quotidiano ed infine alla Stampa. Con lei ecco sfilare Gianni Cuperlo parlamentare dem, esponente, un tempo, della sinistra del partito del Nazareno. Ad aggiungere peso all’accusa non poteva mancare il giornalista Luca Telese e con lui la pasionaria Marianna Aprile. Nella vesti di avvocato difensore, il caporedattore di Libero Francesco Specchia. Ha avuto così inizio il dibattimento con le accuse alla Meloni di essere incoerente perché ha votato contro la Von der Leyen e poi le ha scritto per rientrare nelle sue grazie. E poi, ancora: la deriva oscurantista della Rai contro Scurati e Saviano (sic!!) e la relativa trasmigrazione di molte firme del giornalismo di sinistra verso altre emittenti!! Peccato che i trasmigratori (Annunziata, Fazio, Augias, Berlinguer, Gabanelli) oltre ad esser stati tra i più faziosi in viale Mazzini, abbiano fatto i bagagli di loro volontà oltre che per denaro, non certo perché esautorati o messi alla porta!! Peccato che la Meloni abbia votato in Europa,coerentemente, contro una maggioranza di centrosinistra Serve a qualcosa ricordare che, secondo l’Osservatorio di Pavia, alle opposizioni siano stati dedicati più minuti sulle Reti Rai che in passato? Macché! Meglio la solita manfrina menzognera delle solite mezze calzette che credono di recitare il ruolo di Alfred Dreyfus oppure di Antonio Gramsci, nel mentre purtroppo recitano a soggetto. Emulo di Totò e Peppino!!
*già parlamentare
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
Da Garattini a Parisi, il grido di allarme: “Il Servizio sanitario è in crisi tra difficoltà di cura e diseguaglianze. Serve piano di finanziamento straordinario”
Da tempo scienziati e ricercatori si affannano a evidenziare l’essenzialità del Servizio sanitario nazionale. Un pilastro – a cui servirebbero 15 miliardi per allinearsi all’Unione europea – e che vede il settore privato sempre più foraggiato. “Non possiamo fare a meno del servizio sanitario pubblico”. Ma “oggi i dati dimostrano che è in crisi: arretramento di alcuni indicatori di salute, difficoltà crescente di accesso ai percorsi di diagnosi e cura, aumento delle diseguaglianze regionali e sociali“. Molto “si può e si deve fare sul piano organizzativo, ma la vera emergenza è adeguare il finanziamento del Servizio sanitario nazionale agli standard dei Paesi europei avanzati (8% del Pil). Ed è urgente e indispensabile, perché un Ssn che funziona non solo tutela la salute, ma contribuisce anche alla coesione sociale”. È l’appello a difesa della sanità pubblica di 14 tra i più importanti scienziati italiani, tra i quali il premio Nobel per l Fisica Giorgio Parisi, il farmacologo Silvio Garattini, il presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli, l’immunologo Alberto Mantovani.
“Dal 1978, data della sua fondazione, al 2019 il Ssn in Italia ha contribuito a produrre il più marcato incremento dell’aspettativa di vita (da 73,8 a 83,6 anni) tra i Paesi ad alto reddito”, si legge nel documento che sottolinea come oggi il sistema sia invece in crisi. “Questo accade perché i costi dell’evoluzione tecnologica, i radicali mutamenti epidemiologici e demografici e le difficoltà della finanza pubblica hanno reso fortemente sottofinanziato il Ssn, al quale nel 2025 sarà destinato il 6,2% del Pil (meno di vent’anni fa). Il pubblico garantisce ancora a tutti una quota di attività (urgenza, ricoveri per acuzie), mentre per il resto (visite specialistiche, diagnostica, piccola chirurgia) il pubblico arretra, e i cittadini sono costretti a rinviare gli interventi o indotti a ricorrere al privato”. Continuare “su questa china, oltre che in contrasto con l’articolo 32 della Costituzione, ci spinge verso il modello Usa – avvertono i firmatari – terribilmente più oneroso (spesa complessiva più che tripla rispetto all’Italia) e meno efficace (aspettativa di vita inferiore di 6 anni).
“La spesa sanitaria in Italia non è grado di assicurare compiutamente il rispetto dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e l’autonomia differenziata rischia di ampliare il divario tra Nord e Sud d’Italia in termini di diritto alla salute. È dunque necessario un piano straordinario di finanziamento del Ssn e specifiche risorse devono essere destinate a rimuovere gli squilibri territoriali. La allocazione di risorse deve essere accompagnata da efficienza nel loro utilizzo e appropriatezza nell’uso a livello diagnostico e terapeutico, in quanto fondamentali per la sostenibilità del sistema”.
Per i 14 scienziati, il Servizio sanitario nazionale “deve recuperare il suo ruolo di luogo di ricerca e innovazione al servizio della salute. Parte delle nuove risorse deve essere impiegata per intervenire in profondità sull’edilizia sanitaria, in un Paese dove due ospedali su tre hanno più di 50 anni e uno su tre è stato costruito prima del 1940. Ma il grande patrimonio del Ssn è il suo personale: una sofisticata apparecchiatura si installa in un paio d’anni, ma molti di più ne occorrono per disporre di professionisti sanitari competenti, che continuano a formarsi e aggiornarsi lungo tutta la vita lavorativa. Nell’attuale scenario di crisi del sistema, e di fronte a cittadini/pazienti sempre più insoddisfatti, è inevitabile che gli operatori siano sottoposti a una pressione insostenibile che si traduce in una fuga dal pubblico, soprattutto dai luoghi di maggior tensione, come l’area dell’urgenza“.
È evidente che “le retribuzioni debbano essere adeguate, ma è indispensabile affrontare temi come la valorizzazione degli operatori, la loro tutela e la garanzia di condizioni di lavoro sostenibili. Particolarmente grave è inoltre la carenza di infermieri (in numero ampiamente inferiore alla media europea). Da decenni si parla di continuità assistenziale (ospedale-territorio-domicilio e viceversa), ma i progressi in questa direzione sono timidi. Oggi il problema non è più procrastinabile: tra 25 anni quasi due italiani su cinque avranno più di 65 anni (molti di loro affetti da almeno una patologia cronica) e il sistema, già oggi in grave difficoltà, non sarà in grado di assisterli”. Basti pensare che in 10 anni dimezzato il numero di chi si iscrive al test per infermieri.
Infine, rimarcano i firmatari, “la spesa per la prevenzione in Italia è da sempre al di sotto di quanto programmato, il che spiega in parte gli insufficienti tassi di adesione ai programmi di screening oncologico che si registrano in quasi tutta Italia. Ma ancora più evidente è il divario riguardante la prevenzione primaria; basta un dato: abbiamo una delle percentuali più alte in Europa di bambini sovrappeso o addirittura obesi, e questo è legato sia a un cambiamento – preoccupante – delle abitudini alimentari sia alla scarsa propensione degli italiani all’attività fisica. Molto va investito, in modo strategico, nella cultura della prevenzione (individuale e collettiva) e nella consapevolezza delle opportunità, ma anche dei limiti della medicina moderna”. A firmare il documento anche: Ottavio Davini, Enrico Alleva, Luca De Fiore, Paola Di Giulio, Nerina Dirindin, Francesco Longo, Lucio Luzzatto, Carlo Patrono, Francesco Perrone, Paolo Vineis.