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Papa in Asia e in Oceania: bilancio di un viaggio ai confini del mondo

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Due continenti, quattro paesi, 32mila chilometri percorsi. Papa Francesco è appena ritornato dal suo 45° viaggio apostolico, il più lungo del pontificato, e una delle immagini che resteranno può sembrare marginale, ma non lo è affatto: la presenza di un gruppo di fedeli cinesi, nell’ultimo momento pubblico prima del ritorno a Roma, la messa nello stadio di Singapore. Quasi un presagio e il simbolo di un sogno, che il papa “venuto dalla fine del mondo” vorrebbe indicare come una delle prossime mète, come ha ribadito ancora una volta conversando con i giornalisti a bordo dell’aereo che lo ha riportato a Roma. Intanto, questa immersione tra Asia e Oceania lo ha certamente rinvigorito, grazie al calore e all’affetto con cui non solo il popolo cattolico lo ha accolto e che lui ha ricambiato con sorrisi, abbracci e gesti di vicinanza, tra tutti quelli con i bambini, i disabili, i giovani. Altra istantanea indimenticabile, la sterminata distesa di 600mila persone – la metà della popolazione di tutto il Paese – che ha riempito la spianata di Taci Tolu per la messa a Timor-Leste, segno eloquente del calore degli abitanti di questa porzione di Asia dove vive la maggioranza dei cattolici del continente e dove il cattolicesimo è diventato l’anima di una nazione. Un popolo giovane, come quello di Papua Nuova Guinea, apprezzato da Francesco, per la prima volta in Oceania, per la sua gentilezza in armonia con la magnificenza dell’ambiente naturale. Dialogo, la parola chiave della tappa in Indonesia, mentre di fronte all’opulenza di Singapore il Papa ha messo in guardia dai rischi di uno sviluppo senz’anima, che lasci indietro gli emarginati e gli esclusi.

“Uniti nella diversità”. L’esordio in Indonesia è un omaggio al segreto del popolo indonesiano e nello stesso tempo l’indicazione di rotta al mondo per “contrastare l’estremismo e l’intolleranza”, “isolare le rigidità, i fondamentalismi e gli estremismi” e scongiurare conflitti e guerre, “alimentati anche dalle strumentalizzazioni religiose”. Nell’arcipelago di 17.508 isole dove vive la maggioranza della popolazione musulmana mondiale, all’insegna dell’armonia delle differenze, il Papa cita la poetessa Wanda Szymborska per spiegare che la fraternità vuol dire essere “diversi come due gocce d’acqua”.

Al centro delle due giornate pubbliche indonesiane, la visita alla moschea Istiqlal, la più grande dell’Asia, dove si è svolto l’incontro interreigioso ed è stata firmata una Dichiarazione congiunta, cinque anni dopo l’analoga firma della Documento di Abu Dhabi sulla fratellanza umana,

Subito prima, Papa Francesco e il grande imam, Nasaruddin Umar, hanno raggiunto insieme il “tunnel dell’amicizia”, che collega la cattedrale di Nostra Signora dell’assunzione e la Moschea Istiqlal, offrendo così un’immagine plastica di dialogo.

“Favorire ogni iniziativa necessaria a valorizzare le risorse naturali e umane, in modo tale da dar vita a uno sviluppo sostenibile ed equo, che promuova il benessere di tutti, nessuno escluso”. Bergoglio arriva per la prima volta in Oceania e da Papua Nuova Guinea, un arcipelago con centinaia di isole dove si parlano più di ottocento lingue cui corrispondono altrettanti gruppi etnici, descrive il Paese “così lontano da Roma eppure così vicino al cuore della Chiesa cattolica” come un paradiso da tutelare, nelle sue immense ricchezze naturali, facendo appello “al senso di responsabilità di tutti, a partire dalle multinazionali per lo sfruttamento delle risorse.

“Pace, pace per le nazioni e anche per il creato”,

l’appello senza confini pronunciato all’Angelus.

“L’amore è più forte di tutto questo e la sua bellezza può guarire il mondo, perché ha le sue radici in Dio”, ribadisce Francesco a Vanimo, cittadina di 11mila abitanti immersa nella foresta pluviale e dotata di uno dei tassi di biodiversità più alti del pianeta. Per il Papa sono i bambini, con i loro sorrisi contagiosi e la loro gioia prorompente, l’immagine più bella che chi parte da qui può portare con sé e conservare nel cuore. E proprio quello con i bambini di strada e disabili è stato uno dei momenti più commoventi della seconda tappa del viaggio del Papa in Asia e Oceania. “Nessuno di noi è come gli altri, siamo tutti unici davanti a Dio”, assicura Francesco, che da una periferia quasi dimenticata dal mondo esorta ad essere vicini alle “periferie di questo Paese”, come hanno fatto i missionari che “non si sono arresi: questa è la vita missionaria, partire e ripartire”.

Pace, purificazione della memoria, lotta per lo sviluppo. Sono gli auspici del Papa per Timor-Leste. “Voglia il cielo che pure in altre situazioni di conflitto, in diverse parti del mondo, prevalga il desiderio di pace e di purificazione della memoria, per chiudere le ferite e sostituire all’odio la riconciliazione e alla contrapposizione la collaborazione!”, l’augurio per questa porzione di Asia, che ha saputo arrivare ad una “piena riconciliazione” con l’Indonesia, e per il mondo. A Timor-Leste, dove il 65% della popolazione è al di sotto dei 30 anni, il Papa chiede di investire sull’educazione per “costruire un Paese libero, democratico e solidale, dove nessuno si senta escluso ed ognuno possa vivere in pace e dignità”.

Da Singapore, il Papa torna a parlare dello scenario internazionale, “minacciato da conflitti e guerre sanguinose”, e rende omaggio ad una delle tigri asiatiche per aver promosso il mutilateralismo. Prestare “particolare attenzione ai poveri, agli anziani” e “tutelare la dignità dei lavori migranti”, la prima richiesta alle autorità dell’isola-Stato, messe in guardia dal rischio di “legittimare l’esclusione di coloro che si trovano ai margini dei benefici del progresso”.

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