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Affettività: governo pronto a ‘riconoscere il diritto’

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Questa richiesta è avvenuta nel contesto della discussione sul “Decreto Carceri”, ritenuto da più parti completamente inefficace per risolvere l’emergenza penitenziaria, su cui l’esecutivo ha posto la fiducia, impedendo di fatto la discussione degli emendamenti proposti in commissione. Magi ha risposto al sottosegretario Delmastro sottolineando che probabilmente si è trattato di una svista, visto che l’ordine del giorno non prevede altro che il rispetto della sentenza della Consulta, ed è “davvero incredibile che il governo intenda chiedere al Parlamento di essere autorizzato a valutare l’opportunità di rispettarla”. A quel punto, c’è stato un accantonamento per una rivalutazione, e grazie all’osservazione del deputato di +Europa, il governo lo ha riformulato con l’impegno a “garantire ai detenuti e agli internati il diritto a una vita affettiva”.

Sarebbe stata la prima volta che l’esecutivo chiede non solo di rimuovere le premesse dell’ordine del giorno, ma anche di modificare il dispositivo in modo da impegnare il governo semplicemente “a valutare la possibilità” di attuare quanto stabilito dalla sentenza della Corte Costituzionale. Parliamo della n. 10/2024 che ha rappresentato una svolta significativa nel riconoscimento del diritto all’affettività dei detenuti. Vale la pena ricordare le affermazioni di principio riportate dai giudici costituzionali:

L’impossibilità per il detenuto di esprimere una normale affettività con il partner si traduce in un vulnus alla persona nell’ambito familiare e, più ampiamente, in un pregiudizio per la stessa nelle relazioni nelle quali si svolge la sua personalità, esposte pertanto ad un progressivo impoverimento, e in ultimo al rischio della disgregazione. Una pena che impedisce al condannato di esercitare l’affettività nei colloqui con i familiari rischia di rivelarsi inidonea alla finalità rieducativa.

Da questo punto di vista si evidenzia la violazione dell’articolo 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto una pena che impedisce al condannato di esercitare l’affettività nei colloqui con i familiari rischia di rivelarsi inidonea alla finalità rieducativa.

L’intimità degli affetti non può essere sacrificata dall’esecuzione penale oltre la misura del necessario, venendo altrimenti percepita la sanzione come esageratamente afflittiva, sì da non poter tendere all’obiettivo della risocializzazione.

Il perseguimento di questo obiettivo risulta anzi gravemente ostacolato dall’indebolimento delle relazioni affettive, che può arrivare finanche alla dissoluzione delle stesse, giacché frustrate dalla protratta impossibilità di coltivarle nell’intimità di incontri riservati, con quell’esito di “desertificazione affettiva” che è l’esatto opposto della risocializzazione”.

Affermazioni contenute nella motivazione della sentenza n. 10 del 2024 della Consulta, investita dal magistrato di Sorveglianza di Spoleto della questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) “nella parte in cui non prevede che alla persona detenuta sia consentito, quando non ostino ragioni di sicurezza, di svolgere colloqui intimi, anche a carattere sessuale, con la persona convivente non detenuta, senza che sia imposto il controllo a vista da parte del personale di custodia”: ciò in riferimento agli art. 2, 3, 13, primo e quarto comma, 27, terzo comma, 29, 30, 31, 32 e 117, primo comma, della Costituzione.

L’accoglimento della questione da parte della Corte costituisce una vera e propria rivoluzione culturale nella concezione stessa della pena detentiva, vista non più come una necessaria e totale privazione dei diritti del condannato, ridotto ad essere una non-persona quanto alla dimensione affettiva della sua stessa esistenza. Non va infatti taciuto che la Corte ha significativamente considerato non solo la sfera sessuale, ma l’intera sfera affettiva delle persone condannate e delle persone che con esse hanno rapporti di coniugio, di unione ed anche di semplice convivenza. Osserva infatti la sentenza che la compressione – sino all’annullamento – del diritto all’affettività dei detenuti si riverbera necessariamente sui loro partner, costretti a subire, anche per periodi lunghi di tempo, una restrizione senza avere avuto colpa alcuna.

La Corte ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 18 della legge sull’ordinamento penitenziario, nella parte in cui non prevede che i detenuti possano avere colloqui senza il controllo a vista del personale di custodia con il coniuge, il partner dell’unione civile o la persona stabilmente convivente. L’ordine del giorno di Magi, basandosi su questa sentenza e sul confronto con altri ordinamenti europei più avanzati in materia, impegnava il governo a garantire ai detenuti, in tutti gli istituti penitenziari, il diritto a una visita mensile di almeno sei ore con le persone autorizzate ai colloqui, in apposite unità abitative senza controlli visivi e auditivi. La richiesta iniziale del governo di modificare sostanzialmente questo impegno appariva alquanto singolare e sarebbe apparsa come un tentativo di diluire l’efficacia della sentenza della Consulta e di rallentare l’implementazione di misure concrete per garantire il diritto all’affettività nelle carceri italiane. Riccardo Magi ha espresso forte disappunto, e fortunatamente il governo lo ha recepito, riformulando l’ordine del giorno. D’altronde non si sta parlando di una possibilità da valutare, ma di un diritto che deve essere garantito nel più breve tempo possibile.

La questione si inserisce in un più ampio dibattito sulla riforma del sistema carcerario italiano e sul rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti. Mentre altri paesi europei, come Francia, Spagna e Germania, hanno già implementato misure simili, l’Italia sembra faticare ad adeguarsi agli standard internazionali in materia di diritti dei detenuti. La Corte Costituzionale sancisce come il riconoscimento effettivo del diritto all’affettività sia cruciale non solo per la dignità dei detenuti, ma anche per il loro percorso di reinserimento sociale.

(di Damiano Aliprandi, Il Dubbio, 8 agosto 2024 – Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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