Marcia Perugia-Assisi: in cammino per condannare tutto ciò che è violenza e guerra
È un impegno che va oltre l’ordinario quello che il popolo della pace della marcia Perugia-Assisi mette in campo in un momento drammatico e – per molti versi – anche catastrofico a causa dei conflitti attivi nel mondo, specie quelli russo-ucraino e israelo-palestinese.
Nella data che ricorda il 75° anniversario della Dichiarazione universale dei Diritti umani – era il 10 dicembre 1948 -, la Fondazione PerugiAssisi e la coalizione “Assisi Pace Giusta” hanno organizzato l’incontro nazionale dei costruttori e delle costruttrici di pace, alla Domus Pacis di Santa Maria degli Angeli, accanto alla Porziuncola assisana. Apre la mattinata l’intervento di Flavio Lotti, uno dei promotori della giornata. Il suo pensiero va al 1989 e al ricordo dell’iniziativa Time for Peace che aveva portato a Gerusalemme circa
1.400 europei, italiani e americani per realizzare una grande catena umana con 30 mila israeliani e palestinesi che, tutti insieme, si sono dati la mano lungo le mura della città santa.
“Quelli che stiamo vivendo ora sono giorni davvero tristi – ha detto Lotti con la voce rotta dalle lacrime -, giornate spaventose e terrificanti. Lavorare per la pace è sempre stato difficile, ma oggi lo è ancora di più in questo stato di guerra e di forte polarizzazione.
Nessuno spazio di riflessione, solo grida, urla, scontri, censure, attacchi alle iniziative non violente, e poi nascondimento, sequestro, deformazione e falsificazione della realtà. Noi oggi siamo qui perché non vogliamo perdere la speranza e non vogliamo permettere che uccidano anche quella che ancora ci rimane”.
Sono tanti gli interventi che si avvicendano l’un l’altro, a cominciare dal collegamento da Gerusalemme con Andrea De Domenico, direttore dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari umanitari nei territori palestinesi occupati. Dopo la sua ricostruzione della situazione attuale a Gaza e in Cisgiordania, prendono il via racconti, pareri, opinioni e slogan: tutti nella direzione del sostegno alla pace e degli appelli per fermare guerre e violenze. Decine di volti, di testimonianze e di storie dal mondo delle associazioni, delle organizzazioni non governative, della politica e del sindacato, degli enti locali e della Chiesa, come don Luigi Ciotti, padre Alex Zanotelli e in collegamento dal Kenya, padre Renato “Kizito” Sesana.
In collegamento da Dubai, dove sta seguendo la conferenza sulla crisi climatica Cop 28, interviene la sindaca di Assisi, Stefania Proietti, per ribadire ancora una volta che guerre, clima e migrazioni sono connesse fra loro. “Stiamo vivendo – dice – una tragedia dell’unica famiglia umana. Non ci sono differenze tra i bambini uccisi e decapitati dai terroristi o morti sotto le bombe e le macerie. Dobbiamo indignarci, alzarci in piedi e marciare. Insieme a Papa Francesco, condanniamo tutto ciò che è violenza e guerra. Oggi per parlare di pace ci vuole coraggio, come quello che avete tutti voi che siete oggi ad Assisi”.
Il giornalista, già direttore di Avvenire, Marco Tarquinio torna sul campo della comunicazione su guerra e pace. “C’è un problema informativo in questo Paese, specie su questi temi. La pace si costruisce sul riconoscimento reciproco tra Israele e Palestina. La nostra Italia ha una storia precisa e preziosa sulla questione mediorientale ma oggi l’Italia si astiene. E allora, c’è da ricostruire un pensiero, perché è stato picconato e distrutto, a cominciare dalle informazioni che facciano crescere una consapevolezza collettiva su ciò che sta accadendo sulla terra. Russia-Ucraina e Israele-Palestina sono due facce dello stesso problema, quello di dividere il mondo in due blocchi. Quando uno accetta la guerra, alla fine si adegua a essa e vincono le ragioni irrazionali e irragionevoli della guerra, come accade quando non si vota all’Onu il cessate il fuoco. Sulla terra noi abbiamo globalizzato il mercato, ma non i diritti dei popoli e delle persone”.
Chiusa la conferenza partecipativa del mattino, il popolo della pace si mette in cammino di nuovo, a poco più di sei mesi dalla marcia Perugia-Assisi del maggio scorso. Stavolta i passi dei costruttori di pace e fraternità coprono solo la distanza tra la basilica della Porziuncola e quella del Sacro Convento sulla tomba di san Francesco.
Lungo la salita della “mattonata” e nell’ultimo tratto verso il centro di Assisi, la fatica e il fiatone di chi cammina sembrano l’“icona”
della sofferenza di chi trova muri insormontabili sulla via del cessate il fuoco, in Ucraina, a Gaza e in decine di altri angoli del mondo. Alla “bandiera arcobaleno” che traccia il percorso si affiancano e seguono decine e decine di cartelli: tanti sono neri come la guerra e la distruzione e riportano la scritta “cessate il fuoco”. Sia alla partenza sia all’arrivo del corteo, si susseguono gli appelli perché le armi possano fermarsi. Tra questi, ci sono anche le parole accorate di padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia francescana di Terra Santa. Da settimane ripete, a ogni occasione, che il momento attuale è il più drammatico negli ultimi decenni, peggiore pure dell’assedio alla basilica della Natività del 2002, che lui ha vissuto in prima persona.
La marcia assisana del 10 dicembre si chiude con la messa nella chiesa inferiore della basilica di San Francesco. “Giustizia è assicurare – sottolinea nella sua omelia fra Marco Moroni, custode del Sacro Convento
– che ogni fratello e sorella nel mondo abbia il necessario per una vita dignitosa e sicura, che possa accedere alle risorse, alle cure, all’istruzione, alla possibilità di lavorare e di riceverne un salario equo per mantenere se stessi e la propria famiglia. Nel mondo odierno l’esistenza dei poveri non si può considerare una fatalità, ma è piuttosto una responsabilità di tutti. Finché vi saranno uomini e donne considerati degli scarti, rifiutati, non accolti, non vi sarà giustizia e sarà impossibile la pace”.
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