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Lodi. L’ex sindaco Uggetti assolto ma non è innocente: il reato c’è, ma non è punibile

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Uggetti non è un innocente: il reato c’è, ma non è punibile.
Un politico, ex sindaco di Lodi, Simone Uggetti, è stato “assolto” dalla Corte di appello di Brescia in ordine all’accusa di aver truccato la gara per la gestione di due piscine scoperte, accusa che gli era costata una condanna in primo grado alla pena di dieci mesi di reclusione.

La sentenza della Corte di appello è intervenuta dopo che la Cassazione aveva annullato l’assoluzione in secondo grado, rilevando che vi era stata “una lesione dell’interesse tutelato” ed evidenziando che “era stato consentito a un soggetto terzo, il principale soggetto interessato a quel procedimento, di incidere, di condizionare, di determinare il contenuto del bando, di mutare in più occasioni le bozze”.

Naturalmente si è subito gridato al “calvario giudiziario di Simone Uggetti”, alla “gogna durata sette anni”, alla “fine di un incubo”.

I fatti stanno, in realtà, in maniera molto diversa. Innanzitutto, l’”assoluzione” non è nel merito per insussistenza del fatto o per non aver commesso il fatto, bensì, perché è stata ritenuta “la particolare tenuità del fatto”; è stata, cioè, applicata una “causa di non punibilità” che, in quanto tale, non elide né l’elemento oggettivo né quello soggettivo del reato. Del resto, l’articolo 651 bis del Codice di procedura penale stabilisce che “nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni o il risarcimento del danno promosso nei confronti del prosciolto, la sentenza penale irrevocabile di proscioglimento (si noti: “proscioglimento”, ndr) pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e alla affermazione che l’imputato lo ha commesso”.

In secondo luogo, va osservato che la Corte di appello ha riqualificato il fatto contestato all’imputato da “turbata libertà degli incanti” (articolo 353 del Codice penale) in “turbata libertà del procedimento di scelta del contraente” (art. 353 bis C.p.) in cui “la condotta di collusione consiste nell’accordo clandestino diretto a influire sul normale svolgimento delle offerte, concretamente idoneo a conseguire l’evento del reato” (Cass. pen. n° 24477/2016), e ove “il mezzo fraudolento previsto dall’articolo 353 bis C.p. consiste in qualsiasi artificio, inganno o menzogna concretamente idoneo a mettere in pericolo la correttezza della procedura di predisposizione del bando di gara” (Cass. pen. n° 14418/2019).

In conclusione, l’accusa di persecuzione giudiziaria non risponde al vero perché non vi è stata alcuna assoluzione nel merito che abbia escluso la consumazione del fatto e la insussistenza dell’elemento soggettivo. Ma vi è stato soltanto il riconoscimento di una causa di non punibilità che presuppone, appunto, la commissione di un reato e che è legata a una valutazione di opportunità ispirata a una concezione gradualistica del reato e di proporzionalità del diritto penale.

D’altro canto, premature sono sembrate le dichiarazioni del Pg di Milano – pur avendo chiesto la conferma della sentenza della condanna di primo grado a dieci mesi di reclusione – di non impugnare la sentenza in quanto “non è questione di legittimità”. Sembrerebbe, invece, più opportuno aspettare il deposito delle motivazioni onde verificare la congruità, la logicità e la non contraddittorietà della sentenza nella parte in cui la Corte ritiene sussistere “la minima offensività” del fatto in una delicata fattispecie in cui è stata accertata la turbativa della pubblica gara.

(DI ANTONIO ESPOSITO – Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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