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Attualità

Oggi più di ieri, l’Antimafia è per molti una bella parola per fare carriera e proteggere chi la utilizza per interessi personali, calpestando il ricordo e l’impegno di chi ha dato la vita per il cambiamento e la lotta alla criminalità organizzata.

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L’Antimafia è stata ridotta a passerella per impresentabili

DI SAUL CAIA

24 MAGGIO 2023

L’Antimafia è delusa, illusa e ingannata. Trentuno anni dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, cosa rimane di quel movimento e di quelle idee che nei giorni in cui Palermo grondava di sangue appendeva lenzuola bianche in segno di protesta Oggi più di ieri, la commemorazione è diventata la giornata della “tragedia”, della teatralità e non del ricordo. Le passerelle si susseguono, con uomini e donne che prima stavano dall’altra parte della barricata e oggi sono in prima fila con la fascia e gli onori della gloria.

Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni, dice “basta con l’Antimafia di carriere e passerelle”. E un anno fa ammoniva quella “politica” che “non si può permettere sponsor che non siano adamantini, Dell’Utri e Cuffaro non lo sono”. Oggi, invece, cammina al fianco del sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, e del presidente della Sicilia, Renato Schifani, politicamente scelti dall’asse Dell’Utri-Cuffaro. “Troppo spesso i cittadini ricevono dall’alto segnali che invitano a convivere con ambienti notoriamente in odore di mafia”, sentenzia il cognato di Falcone, Alfredo Morvillo, ex procuratore di Trapani, che alle commemorazioni non va più da quando sono presenti “alcuni” politici.

La spaccatura nell’Antimafia è tangibile. Rita Borsellino ci aveva messo la faccia nel 2001, candidandosi contro Totò “Vasa Vasa”. Salvatore Borsellino è ancora in prima linea col movimento delle Agende Rosse. Ma i figli del giudice hanno scelto di defilarsi, rilasciando interviste centellinate in cui si esprime il dissenso per molte inchieste giudiziarie non andate a buon fine o travisate. Giovanni Paparcuri, sopravvissuto alla strage in cui perse la vita il magistrato Rocco Chinnici, ha deciso di lasciare il “bunkerino”, il museo del tribunale di Palermo dedicato a Falcone e Borsellino. Caterina Chinnici, figlia del giudice, eletta eurodeputata nel Pd e candidata col centrosinistra alle ultime Regionali, ha saltato la staccionata entrando in FI al fianco dell’ex avversario Schifani. Lì ha trovato Rita dalla Chiesa, figlia del generale ucciso dalla mafia. E pazienza se FI è stata fondata – insieme a B. – da Dell’Utri, condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa; se più collaboratori di giustizia hanno confermato che mafia e ’ndrangheta votarono in massa per gli “azzurri” nel 1994 e dopo; se Vittorio Mangano, boss palermitano, era stato “stalliere” nella villa di B. Quel Mangano che fu definito da Borsellino “testa di ponte dell’organizzazione mafiosa nel Nord Italia” e da B. e Dell’Utri “eroe” per non avere parlato.

E cosa rimane della lotta antimafia se la nuova Commissione parlamentare sceglie come presidente Chiara Colosimo, legata all’ex Nar Luigi Ciavardini, condannato a 30 anni per la strage di Bologna, e annovera fra i suoi membri tre imputati (Giuseppe Castiglione, Francesco Silvestro, Anastasio Carrà) e un’indagata (Dafne Musolino)? Cosa possono pensare i siciliani che vedono seduto nella Commissione regionale Antimafia Giuseppe Gennuso, sotto processo per estorsione, che dopo il polverone mediatico sollevato dal Fatto ha deciso semplicemente di autosospendersi dalla carica di vicepresidente vicario?

Che insegnamento può dare l’Antimafia quando viene arrestata per peculato e corruzione la preside “paladina” Daniela Lo Verde, direttrice dell’istituto “Falcone” allo Zen di Palermo? Senza dimenticare i casi giudiziari di finti paladini antimafia come Roberto Helg, ex presidente della Camera di commercio di Palermo, Silvana Saguto, presidente del Tribunale delle misure di prevenzione palermitano, e Antonello Montante, già presidente di Confindustria Sicilia e nominato dall’allora ministro Angelino Alfano componente dell’agenzia dei beni confiscati, condannato in appello a 8 anni (in un filone parallelo è imputato anche Schifani).

Oggi più di ieri, l’Antimafia è per molti una bella parola per fare carriera e proteggere chi la utilizza per interessi personali, calpestando il ricordo e l’impegno di chi ha dato la vita per il cambiamento e la lotta alla criminalità organizzata.

FONTE:

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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