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L’INCHIESTA

Morandi, processo a rischio come il Ruby-ter

IL “CAVILLO” DELLE DIFESE DEGLI IMPUTATI – L’ex Ad di Edizioni per i legali di Castellucci & C. “va indagato”: così le sue accuse sono inammissibili. I pm e la strategia iniziale su Atlantia

DI MARCO GRASSO
24 MAGGIO 2023

È l’uomo che inchioda i vertici di Aspi e l’ex amministratore delegato Giovanni Castellucci alla (presunta) consapevolezza – esplicitata durante una riunione di livello apicale – che il Ponte Morandi fosse a rischio crollo otto anni prima del disastro e che la sua “tenuta strutturale” fosse affidata a una “autocertificazione”. Dopo le sue dichiarazioni-choc, ribadite lunedì nell’aula in cui si celebra il dibattimento per i 43 morti del Ponte Morandi, Gianni Mion rischia però di trasformarsi in un problema per il processo: da supertestimone a indagato.

È quanto hanno chiesto i difensori dei principali imputati: “A Genova hanno indagato e imputato gente per molto meno”, dice al Fatto Giorgio Perroni, avvocato dell’ex direttore di tronco Riccardo Rigacci. Il nuovo procuratore Nicola Piacente ha fatto sapere che verranno acquisite le trascrizioni dell’udienza e che la Procura valuterà il da farsi. Perroni è anche uno dei legali di Silvio Berlusconi, che nel processo Ruby-Ter è riuscito a far invalidare le testimonianze delle Olgettine sulla base dello stesso principio: essendo le loro dichiarazioni potenzialmente “autoaccusanti” avrebbero dovuto essere sentite come indagate e non come testimoni. “Qui è la stessa cosa”, sintetizza Perroni.

Per fare un po’ d’ordine, occorre riportare indietro le lancette al 13 luglio del 2021. Davanti al pm Massimo Terrile si presenta Gianni Mion. Ai magistrati rilascia un verbale di sommarie informazioni di 15 pagine, anticipato dal Fatto nel dicembre del 2021. In quel verbale ci sono già tutte le accuse che deflagreranno due anni più tardi, quando Mion confermerà tutto in aula. Nella sostanza, il manager dei Benetton dice di essere stato messo a conoscenza di dubbi sulla tenuta strutturale del Morandi, espressi da tecnici di Aspi; e di essere rimasto “sconcertato” e “terrorizzato” da quell’episodio. Ma non fa niente, se non lasciare progressivamente le cariche nel gruppo. Ma se davveroMion sapeva che il ponte era a rischio crollo, è il ragionamento degli avvocati difensori oggi, perché non ha fatto niente? E perché la Procura non lo ha indagato già allora

La risposta a questa domanda ha due punti fermi. Il primo: Mion era un consigliere d’amministrazione di Atlantia. Non aveva ruoli in Aspi. Secondo l’accusa, non aveva ruoli operativi nella manutenzione del ponte, né poteva sapere che tutta la sicurezza autostradale era affidata a controlli farlocchi. Il processo imbastito dalla Procura di Genova è costruito su tre perimetri tipi di responsabilità: la concessionaria, Autostrade per l’Italia, di cui è indagata una catena di comando che risale fino a Castellucci; Spea, la società di monitoraggio che falsificava i report sulla sicurezza, a sua volta controllata da Aspi; il Minitero delle Infrastrutture e dei Trasporti, colpevole di non aver controllato. Atlantia, holding attraverso cui i Benetton guidavano Aspi, è fuori dalle contestazioni. E così Mion: non aveva doveri di legge, dunque non può essere indagato per reati omissivi.

C’è una seconda ragione che può spiegare questa scelta della Procura e rimanda alla strategia processuale: Mion è un’arma formidabile, quello che potrebbe essere definito un supertestimone. Finora è stato l’unico alto manager in questa vicenda a bucare il velo della corporation: nelle intercettazioni definisce Spea “una gang”; demolisce la principale tesi difensiva di Aspi, il “vizio occulto” del viadotto; davanti ai pm definisce Castellucci “un accentratore forsennato” e si rimprovera di non averne limitato il potere; dipinge i Benetton, che ha servito per una vita, come “inadeguati, la prima come la seconda generazione”. Giudizi che, rivela oggi, gli sono costati le dimissioni: “Era frustrazione da proletario”, dice con una battuta amara.

Ai giornalisti che lunedì gli chiedevano se teme di essere indagato, Mion ha risposto con tono rassegnato ma sereno: “Avrei dovuto far casino ma non l’ho fatto, forse temevo di perdere il lavoro. È il mio grande rammarico. Io purtroppo non posso rinascere, ho finito la mia corsa, sono arrivato fino qua, speravo finisse meglio. Mi vogliono indagare? Facciano quello che ritengono giusto”.

A ben vedere,c’è stato un momento in cui l’indagine di di Genova aveva puntato ai piani alti. La Finanza aveva acquisito documenti presso le sedi di Atlantia e redatto un’informativa sui profitti macinati dai Benetton. Era la primavera del 2021. La Procura decide però di sposare una linea prudente: era già enorme l’inchiesta con gli elementi raccolti fino a lì, un ulteriore allargamento, questo il ragionamento dei pm, avrebbe rischiato di allontanare gli accertamenti dalla caduta del ponte e compromettere il processo. Le indagini sono state chiuse, i vertici della polizia giudiziaria trasferiti.

Adesso il vestito da testimone indossato da Mion rischia di diventare un’arma a doppio taglio. Per i difensori, è troppo facile valutarne solo il ruolo formale e non anche il peso specifico di ambasciatore del principale azionista, i Benetton: “Era un consigliere di Atlantia, una società che aveva il compito di direzione e coordinamento di Aspi, dunque aveva un ruolo di responsabilità. – conclude Perroni – Detto ciò, nella seconda parte dell’udienza ha sconfessato quanto detto nella prima: è inattendibile”. È l’ultima bordata delle difese, che se non riuscissero a farlo indagare vorrebbero almeno demolirne la credibilità. Va in questo senso un comunicato diffuso ieri (secondo cui i giornalisti avrebbero “travisato” le frasi di Mion), firmato da una decina di avvo, e veicolato dal portavoce di Giovanni Castellucci, Andrea Camaiora, Ceo della società di lobbying romana The Skill srl, spin doctor ed esperto in “litigation”. Camaiora in passato è stato portavoce di Claudio Scajola e recentemente ha pubblicato un libro dedicato ai moderati con prefazione di Mario Sechi, portavoce della premier Giorgia Meloni. Nelle pieghe dell’inchiesta di Genova compare anche The Skill srl, a cui alla fine del 2021 Castellucci ha affidato una consulenza da 314mila euro. Un pagamento segnalato come operazione sospetta dall’antiriciclaggio di Bankitalia, perché ritenuto “di gran lunga superiore alla media delle fatturazioni della srl, che generalmente vanno da 1 a 5mila euro, fino a un massimo di 28mila”. A pagare The Skill, in definitiva, sarebbe Castellucci, anche se il comunicato diffuso l’altro giorno parlava a nome di molti altri imputati.

Il cinismo del manager è lo stesso degli azionisti

DI CARLO DI FOGGIA

24 MAGGIO 2023

Grazie alla complicità della grande stampa e di alleati in tutti i partiti politici:

L’ultima tappa giudiziaria della tragedia del Ponte Morandi è tanto ingannevole quanto sintomatica del cinismo che da trent’anni accompagna una delle pagine più buie del capitalismo italiano. Il cinismo è sempre stato la cifra distintiva dei Benetton, ma anche dei loro manager ed è in questa luce che vanno lette le esternazioni di Gianni Mion. Come noto, l’ex manager di Edizione, la holding della famiglia veneta, ha spiegato al processo di Genova quanto già detto ai pm nel luglio del 2021: la famosa riunione dei vertici di Atlantia, nel 2010, in cui emerse la piena consapevolezza dei rischi statici del ponte alla presenza di Gilberto Benetton e dell’Ad Giovanni Castellucci. Mion dice di essere rimasto “sotto choc” quando Castellucci spiegò che la valutazione dei rischi “ce la autocertificavamo” e anche per questo di aver lasciato il cda di Atlantia nel 2013. Il suo è un racconto spietato dell’inadeguatezza della famiglia (“degli inetti”): “Autostrade era una cosa troppo difficile per noi e per i miei azionisti”. Però non fece nulla, forse “per non perdere il lavoro”.

Dobbiamo questo racconto a un sussulto di coscienza Il manager è stato l’uomo che, scelto da Gilberto, ha trasformato il gruppo dei maglioni in una conglomerata finanziaria grazie alla presa a prezzi vili delle autostrade pubbliche. Per 30 anni a capo di Edizione, ha gestito i destini dell’impero reso ricco dalla concessionaria che Castellucci ha trasformato in una macchina da soldi spremendo dividendi anche a scapito della manutenzione e grazie alla “cattura” di ministri e governi di ogni colore. Fu Mion a chiamarlo alla guida nel 2006, intuendone forse il talento salvo poi prenderne le distanze. Crollato il Morandi, i Benetton hanno silurato Castellucci addossandogli tutte le colpe e richiamato Mion, l’uomo in grado di districarsi nel mondo di ricatti e trattative indicibili che circonda Autostrade da sempre. A lui la famiglia ha affidato il compito di fare la guerra al governo Conte per evitare la revoca, eseguito con successo grazie alla complicità della grande stampa e di alleati in tutti i partiti politici: ha incassato 8 miliardi per cedere la concessione allo Stato. Oggi ci dice cosa pensava dei suoi datori, ma solo dopo avergli garantito la buonuscita e a indagini chiuse. Ognuno tragga da sé la lezione di questa storia. Dire cinismo forse è riduttivo.

FONTE:

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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