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Emilia Romagna. Munafò: “Occorre avviare una grande campagna di ‘rinaturalizzazione’ del territorio contro il consumo di suolo”

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Ancora allerta rossa oggi in Romagna. Ieri, domenica 21 maggio, la visita del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, alle zone colpite. “Il governo c’è. È stata una tragedia ma può essere un’occasione per rinascere più forti, difficile fare stime ma andranno mobilitate molte risorse”, ha detto la premier da Ravenna. Gli sfollati sono 26mila. Le alluvioni, l’esondazione di fiumi, le frane hanno messo in ginocchio un’ampia parte di una Regione, che negli ultimi anni ha registrato molto consumo di suolo. Come questo incida su tragedie come quelle che si sono viste in Romagna ci viene chiarito da Michele Munafò, responsabile del rapporto sul consumo di suolo dell’Ispra.

(Foto: ANSA/SIR)

C’è molto consumo di suolo in Emilia Romagna

Sì, l’Emilia Romagna ha un tasso elevato di consumo di suolo. Innanzitutto, in termini assoluti, ossia quant’è la superficie edificata o costruita rispetto al totale del territorio: stiamo parlando di circa il 9% del territorio che è direttamente sigillato, impermeabilizzato, costruito – ed è un valore elevato, basti pensare che la media nazionale è del 7% e la media europea è intorno al 4% -; qui si tratta di una media su tutto il territorio, ma nelle zone di pianura questi valori sono decisamente più alti, arrivano tranquillamente a superare il 10, il 15 e anche il 20% in alcuni ambiti. Questa è una responsabilità “storica”, cioè dipende da decenni di edilizia, costruzioni. Noi misuriamo ogni anno quanto cresce la superficie edificata: con “consumo di suolo” intendiamo proprio questo cambiamento da una superficie non costruita, non artificiale, agricola, naturale, a una superficie artificiale. Da questo punto di vista, nel 2021, l’ultimo anno di cui abbiamo i dati disponibili, l’Emilia Romagna è stata la terza regione in Italia, dopo Lombardia e Veneto, per incremento delle superfici artificiali. Stiamo parlando di 660 ettari circa in dodici mesi, un valore elevato che si pone subito dopo Lombardia, con 880 ettari in più, e Veneto, con 680 ettari in più. Dopo l’Emilia Romagna, abbiamo il Piemonte con 630 e la Puglia 500 ettari e via via le altre Regioni, con valori più bassi, anche sotto i dieci ettari come la Valle d’Aosta. Quindi, in un anno c’è stato un forte consumo di suolo, in un territorio molto critico, fragile perché ha ampie zone – quasi la metà del territorio – in aree a pericolosità idraulica media, un’area cosiddetta inondabile.

La gran parte del consumo di suolo dei 660 ettari in più sono stati proprio collocati in zone inondabili,

in zone a pericolosità idraulica: stiamo parlando di circa 500 ettari – sui 660 realizzati – in un’area a media pericolosità idraulica, cioè allagabili con una media di ritorno dell’ordine dei cento anni.

(Foto: ANSA/SIR)

Si è costruito proprio dove non si sarebbe dovuto, in pratica…

Semplificando il discorso, assolutamente sì. È chiaro che in quelle zone si possono fare interventi di messa in sicurezza. Tutto il consumo di suolo è in qualche modo elemento di rischio. Se realizziamo un cantiere finalizzato a un viadotto è un conto, se realizziamo un quartiere residenziale o anche solo un edificio residenziale è un altro. In generale, i dati sintetici ci mostrano che sarebbe stato meglio non costruire in tali zone. Poi è chiaro che in quel territorio, essendo zona di pianura, e soprattutto nella Romagna fondamentalmente essendo quasi tutto in area a pericolosità idraulica non si può pensare a fermare tutto, ma quello che noi diciamo sempre è che probabilmente bisognerebbe, prima di aumentare il grado di cementificazione del territorio, verificare se non ci siano superfici già costruite disponibili, quindi riutilizzare l’esistente, non aumentare la rigidità in qualche modo del territorio con altre costruzioni.

(Foto: ANSA/SIR)

Per quanto riguarda la Regione Emilia Romagna l’aumento di suolo registrato nel 2021 riguarda soprattutto la Romagna

In realtà tutte le zone di pianura, a livello di provincia quella di Ravenna ha avuto un incremento di 114 ettari nell’ultimo anno ed è la seconda in tutta la Regione, la prima è Modena con 135, la terza Piacenza con 103. Non è un problema solo della Romagna, ma lì c’è una maggiore pericolosità.

(Foto: ANSA/SIR)

Quello che sta avvenendo in questi giorni era in un certo senso prevedibile?

Se sono zone inondabili – con una frequenza di eventi estremi che tende a intensificarsi, come spiegano gli esperti di cambiamenti climatici -, qualche evento di allagamento è atteso. Da questo punto di vista le informazioni sono molto chiare, abbiamo tutto il territorio nazionale ben mappato con tutte le zone allagabili identificate, quindi sappiamo che lì in qualche modo è atteso un evento, quando non si può dire, ma prima o poi succederà un allagamento. In queste zone bisognerebbe stare particolarmente attenti sia in termini di evitare consumo di suolo sia in termini di prevenzione, informazione, formazione della popolazione che vive in quegli ambiti. Da questo punto di vista, oltre a fare interventi di messa in sicurezza che sono fondamentali e di cui da sempre si dibatte, bisognerebbe allo stesso tempo e parallelamente

avviare una grande campagna di “rinaturalizzazione” del territorio.

(Foto: ANSA/SIR)

In cosa consiste la “rinaturalizzazione”?

Quando noi ricopriamo il suolo di cemento e asfalto stiamo perdendo quella capacità del suolo naturale di trattenere l’acqua, di farla infiltrare, di rallentarla nel suo flusso. Insomma, il suolo naturale è in grado di assicurare un vero e proprio servizio ecosistemico, un beneficio di cui noi tutti godiamo “gratuitamente”: non dobbiamo fare opere, dobbiamo lasciare un suolo al suo stato naturale, non compattato, non coperto, non impermeabilizzato per farlo diventare un grandissimo serbatoio d’acqua naturale. Quando noi invece impermeabilizziamo il suolo con cemento e asfalto questo servizio viene meno. Quello che allora dovremmo fare adesso è esattamente il contrario: invece di aumentare questa impermeabilizzazione del suolo dovremmo ridurla in pianura, nelle nostre città, eliminando il cemento, “rinaturalizzando” il suolo, aumentando la presenza di vegetazione, che non cresce sul cemento e che ha un ruolo fondamentale perché trattiene l’acqua e riduce il ruscellamento superficiale. Quando passiamo da un suolo naturale a una area urbana la quantità d’acqua che scorre in superficie aumenta di sei, sette, anche dieci volte. Immaginiamo questo aumento ogni volta che costruiamo qualcosa e si fa in fretta a fare i conti di quanti metri cubi di acqua in più derivano da una nuova espansione urbana.

(Foto: ANSA/SIR)

Ma concretamente cosa si dovrebbe fare? Togliere cemento dove c’è ora

Abbiamo tantissime aree del nostro territorio non utilizzate, abbandonate, dismesse: capannoni non più utilizzati da anni, piazzali, parcheggi, aree di cantieri abbandonati, superfici enormi impermeabilizzate non utilizzate che potrebbero essere rese molto più permeabili. Abbiamo tessuti urbani che sono estremamente compatti con ambiti degradati, con ex zone produttive inserite in contesti urbani o peri-urbani non più utilizzate, abbiamo grandissimi parcheggi di centri commerciali, piazzali di centri logistici, abbiamo tantissime superfici impermeabilizzate ma che non hanno più alcuna funzione, un vero e proprio spreco che potrebbero essere riconvertite. Inoltre, dobbiamo riforestare le nostre città perché anche la presenza della vegetazione in città ha un ruolo importante, purché sia su un suolo naturale.

(Foto: ANSA/SIR)

Sono tutte opere da incentivare…

Assolutamente sì, perché l’adattamento ai cambiamenti climatici non si fa con un’unica soluzione. Non c’è la bacchetta magica che con un intervento risolve il problema.

In questa situazione di crisi climatica dovremo adattarci con una serie di interventi che tenteranno di rendere più resiliente il nostro territorio.

La resilienza si fa con una serie di piccoli, medi, grandi interventi, che però devono concorrere tutti nella stessa direzione, mentre aumentare il cemento va nella direzione opposta.

F(Foto: ANSA/SIR)

In zone a rischio idrogeologico quando piove tanto le frane sono inevitabili? E il consumo di suolo aggrava la situazione?

Quando piove tanto si possono innescare una serie di fenomeni anche franosi come purtroppo si sono visti in questi giorni. Le frane avvengono prevalentemente nelle zone montane e collinari dove il consumo di suolo è più ridotto, quello che è il risultato del consumo di suolo è un aumento dell’esposizione quando le nuove costruzioni vengono realizzate in zone dove c’è il rischio che s’inneschino questi fenomeni. Da un punto di vista tecnico-scientifico non è escluso un collegamento perché aumentando il consumo di suolo aumenta anche l’erosione per la velocità di scorrimento superficiale oltre che per la quantità di acqua che cade. Se l’acqua scorre più velocemente aumenta anche la capacità erosiva. Però di solito non è questo che innesca le frane, il problema è legato soprattutto all’aumento dell’esposizione: per ricordare un’altra tragedia recente, il caso di Ischia, dove si era costruito in zone franose e quando viene giù una colata di quel tipo si porta via le case costruite lì.

(Foto: ANSA/SIR)

Che appello vorrebbe lanciare anche ai semplici cittadini?

Dobbiamo capire l’importanza di quello che sta sotto i nostri piedi, perché spesso lo sottovalutiamo, l’importanza del suolo e delle sue funzioni, la regolazione delle acque che spesso viene un po’ dimenticata e ignorata. Dobbiamo continuare a guardare sopra, ma allo stesso tempo dobbiamo guardare in basso, sotto i nostri piedi, e capire che questa risorsa così poco considerata è invece fondamentale per regolare tutti i cicli ambientali, tutti i processi naturali: il ciclo delle acque, il ciclo del carbonio, il ciclo dei nutrienti è fondamentale per il nostro benessere, per la nostra vita. Poi non dimentichiamo che senza suolo non c’è produzione agricola, non si mangia. E, poi, una perdita di suolo nella gran parte dei casi è irreversibile, resterà lì a vita.

(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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