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Santiago Peña è il nuovo presidente, ma restano i nodi della corruzione e delle disuguaglianze

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Nell’America Latina dei grandi stravolgimenti politici, delle polarizzazioni e delle continue sorprese, c’è un Paese che resta “fermo”. Almeno apparentemente. Il Partito Colorado, come accade da oltre settant’anni (compreso il lungo periodo della dittatura di Alfredo Stroessner), con l’eccezione del periodo 2008-2012 (coinciso con la presidenza di Fernando Lugo), resta al potere anche dopo le elezioni presidenziali di domenica 30 aprile. Santiago Peña è il nuovo presidente (in Paraguay non è previsto il ballottaggio), e vince in modo più ampio di quanto prevedevano i sondaggi, avendo ottenuto domenica il 42,7% dei voti, contro il 27,5% del suo principale avversario, Efraín Alegre, come cinque anni fa alla guida di un’ampia ed eterogenea coalizione (circa 40 partiti), principalmente tra liberaldemocratici e la sinistra del fronte Guasú di Lugo. Molti voti sono andati anche al bizzarro candidato anti-sistema Paraguayo Cubas, che ha raggiunto a sorpresa il 22% dei consensi.

Il ruolo dell’ex presidente Cartes, sanzionato dagli Usa. In realtà, il rotondo risultato arriva al termine di una campagna elettorale sofferta, soprattutto per le crepe e le polemiche che hanno accompagnato il Partito Colorado. Catalogata come forza di destra, essa soprattutto si è sempre identificata con il potere statale e con le sue molte ramificazioni, lecite e non lecite, e con lo status quo, in uno dei Paesi più diseguali al mondo. Spesso profondamente diviso al suo interno, tanto da svolgere contemporaneamente il ruolo di governo e opposizione, il Partito Colorado ha quasi sempre saputo compattarsi in occasione delle elezioni presidenziali, in quello che in Paraguay chiamano “abrazo republicano”. Cosa che stavolta sembrava in dubbio, dato che il presidente uscente, Mario Abdo Benítez, leader della corrente “Fuerza republicana”, non ha in pratica fatto campagna elettorale per il successore, che gli avversari politici considerano una “marionetta” in mano dell’ex presidente Horacio Cartes (2013-2018), leader della componente “Honor colorado”.

Proprio il ruolo ingombrante di Cartes ha condizionato la campagna elettorale, visto che l’ex presidente lo scorso anno è finito nella lista nero del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, che gli ha tolto il visto e accusato di corruzione e contiguità con gruppi criminali, oltre che si aver ostacolato un’indagine penale transnazionale. Lo scorso gennaio, il Dipartimento del Tesoro ha stabilito dure sanzioni contro Cartes, la sua famiglia e le sue imprese (che formalmente l’ex presidente ha poi lasciato), oltre che contro il vicepresidente uscente Hugo Velázquez. La controversia con Washington ha impedito a Cartes di insistere su una sua ricandidatura, ma non di “piazzare” come candidato, in seguito alle primarie, il fedelissimo Peña.

Nel Paese “la corruzione è istituzionale”. Il nuovo presidente eredita una situazione certamente non facile, e sarà chiamato ad affrontarla cercando di liberarsi da ingombranti tutele, e a partire dalle sue competenze di economista, con un passato al Fondo monetario internazionale. È scettico Raúl Ricardi, sociologo e docente alla Facultad latinoamericana de Ciencas sociales (Flacso) e all’Universidad Nacional di Asunción. “Viviamo in un Paese nel quale la corruzione può essere considerata istituzionale, in cui l’ex presidente e membri di Governo sono dichiarati corrotti dagli Stati Uniti, in cui durante la campagna elettorale neppure quest’anno sono mancati favori e clientelismi. In questo contesto, la gente vive la politica con poco entusiasmo, anche con una certa apatia. Questo ha reso difficile anche la realizzazione di sondaggi attendibili”. Proprio perché la corruzione è un fenomeno “politico, sociale, commerciale e culturale, difficile pensare a grandi cambiamenti politici. I grandi gruppi imprenditoriali, delle costruzioni, dei medicinali godono di favoritismi aperti e la corruzione è spesso alla luce del sole. Se il nuovo presidente è vicinissimo a Cartes, il suo principale avversario era legato a gruppi di potere, senza peraltro possedere un grande carisma”.

Non manca, da Ricardi, l’allarme per l’aumento del narcotraffico: “Non c’è dubbio, lo Stato è permeato da mafie e narcotraffico, aumenta il potere dei cartelli brasiliani. Il Paese è una zona strategica di passaggio”. I segni di speranza, conclude il docente, arrivano dai giovani, ma si tratta di iniziative timide, nell’ambito di una società civile molto debole”.

Educare alla cittadinanza, sfida di lungo periodo. Nelle ultime settimane, la Chiesa del Paraguay non ha mancato di far sentire la sua voce. In un messaggio, la Conferenza episcopale del Paraguay ha alzato la voce per dire no a corruzione, compravendita di voti, frodi. I vescovi hanno invitato i cittadini a compiere il loro dovere e diritto di votare liberamente e con coscienza. E hanno chiesto esplicitamente ai cittadini di non vendere il proprio voto, cosa “contraria alla legge e alla morale”, ricordando che “un Governo pulito inizia con elezioni pulite”.

“Le dichiarazioni sono importanti, ma il loro effetto si esaurisce presto. È necessario un lavoro di lungo periodo, a livello di base, tra la popolazione – dice al Sir Roque Acosta, responsabile della Pastorale sociale della Chiesa del Paraguay -. Noi abbiamo cercato di avviare durante la Quaresima un cammino di educazione alla cittadinanza. Il clientelismo va combattuto con la cultura politica. Si tratta di un cammino molto lungo, ma è anche la nostra sfida. Non possiamo non farci un esame di coscienza, siamo un Paese dove il 90% della popolazione è di fede cattolica, ma anche uno dei più corrotti al mondo. A persone cristianamente formate dovrebbe corrispondere un criterio di discernimento. Rafforzare la società civile in Paraguay è la prima sfida”. Quanto alla situazione politica generale, “non c’è dubbio che la situazione del Paese impone molteplici sfide, pur in un contesto di stabilità macroeconomica. Ci affliggono i problemi della criminalità organizzata, del narcotraffico, del contrabbando. Le sanzioni degli Stati Uniti contro l’ex presidente Cartes, accusato di corruzione sistematica. Il nuovo presidente ha il compito di sanare il profilo istituzionale del Paraguay, ma sappiamo anche che è molto vicino a Cartes, i dubbi sul futuro sono ragionevoli”.

*giornalista de “La vita del popolo”

(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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