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Attualità

*Gioventù perduta: gli Hikikomori* di Vincenzo D’Anna*

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 *Gioventù perduta: gli Hikikomori*

di Vincenzo D’Anna*

Abbiamo più volte scritto, su queste stesse colonne, dei rischi che corrono le future generazioni, di come la società digitale (ed il proliferare incontrollato dei contatti impersonali) stia radicalmente modificando i comportamenti sociali sovvertendo, in generale, anche le antiche certezze ed i vecchi valori morali. Più in generale: abbiamo più volte sottolineato come la sempre maggiore dipendenza dalla tecnologia stia desertificando la cultura ed i saperi degli individui. Ne consegue che più avanza l’ignoranza maggiore diventa la dipendenza dalle macchine con l’inevitabile riduzione della capacità di ragionare e di esprimersi. Il risultato è un’umanità che viene orientata non più dal discrimine individuale bensì dagli strumenti tecnologici di cui abbiamo piena disponibilità (smartphone, computer, smart tv, ecc). Una società alienante, che si trascina dietro un paradosso: quello che ci mostra quanto grande sia diventato l’isolamento dei giovani seppur questi abbiano veloci e frenetiche interazioni interpersonali (virtuali!) attraverso la mendace rete dei social network. Giovani, per dirla con altre parole, capaci di entrare in contatto con il mondo intero in un batter d’occhio eppure ritrovarsi, dal punto di vista esistenziale, sempre più soli. Oramai tanti, troppi di noi hanno rifiutato di essere ragionevoli ed avveduti, solidali e plurali, partecipi di un umanesimo nel quale l’interazione tra gli individui sia in grado di apportare nuove conoscenze sul piano dei rapporti umani. All’opposto, si è preferito gonfiare il petto e rivendicare il culto della propria libertà senza responsabilità, rivendicare il diritto di modificare la scala dei valori etici condivisi, modificare ed impoverire il linguaggio, riducendo a non più di trecento vocaboli il proprio bagaglio cognitivo e con esso la capacità stessa di articolare il pensiero logico e l’espressività dialettica. Si stima che oltre tre miliardi di persone nel mondo siano dipendenti dagli strumenti di comunicazione di massa, alienati da una frenesia di sapere tutto ed al contempo di non essere in grado di comprendere i contenuti di un…banalissimo testo scritto!! Una condizione, se vogliamo, sub umana se è vero che il progresso dell’homo sapiens è stato dovuto alla capacità di saper vivere in comunità e di apprendere un linguaggio con il quale interagire con i propri simili. In questa condizione di solitudine, di oggettiva e progressiva ignoranza, aumenta il rifiuto ad essere parte della società ancorché sia aumentata la capacità di trasformare in diritti garantiti ogni pulsione ed ogni necessità che si attagli ai propri bisogni. Espressione di questa condizione sono i cosiddetti “Hikikomori”, termine giapponese che significa “stare in disparte”, utilizzato per indicare chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, alle volte anche per anni interi. Stiamo parlando di persone – in prevalenza giovani e giovanissimi – che si rinchiudono in casa rifiutando la scolarizzazione e ogni attività di socializzazione. Una specie di autismo sociale, insomma, che li emargina dal mondo con il quale si entra in contatto “solo” attraverso la rete social. Un’abulia che progressivamente li isola anche dai loro stessi familiari. Le cause di questo triste fenomeno possono essere diverse e caratteriali. Gli Hikikomori sono ragazzi sovente intelligenti, ma anche particolarmente introversi e sensibili, che vanno incontro a disturbi del comportamento e ad una vera e propria fuga dalla realtà. Recenti studi portano a determinare in oltre centomila il loro numero anche nel nostro Paese, con un progressivo e preoccupante incremento. In una nazione ove gli indici di natalità sono molto bassi, la sindrome potrebbe colpire una percentuale significativa delle nuove generazioni. Se questa particolare categoria studiasse saprebbe che la parola “ idiota “ deriva dal greco e significa persona isolata. Vivere come un idiota è un avvilimento personale che occorrerebbe rifiutare. Un segmento che si aggiunge a coloro che smettono di cercare lavoro, senza prospettive di inserimento nel mondo attivo e produttivo, brodo di coltura per l’insorgere di devianze e delinquenza. Uno dei capolavori di Alberto Moravia “Gli indifferenti”, pubblicato nel 1929, portò a conoscenza la tematica della noia e dell’alienazione giovanile già quasi cento anni fa. L’opera del grande scrittore romano anticipava la questione della “incomunicabilità” partendo dagli stessi presupposti a cui sarebbero giunti, pochi anni dopo, anche altri intellettuali come J.P. Sartre con il romanzo “La Nausea”, a testimonianza di un’identica fenomenologia esistenziale. In entrambi i saggi citati l’alienazione dei protagonisti traeva origine da una critica alla società capitalistica, al regime dell’induzione dei bisogni effimeri, dalla corsa ad una vita priva di idealità e di impegno politico e sociale. Ancora oggi se si rincorrono le cose che hanno sempre un prezzo e mai un valore, non c’è da meravigliarsi che tale forma di disagio permanga anche moderna quanto anonima società digitale del Terzo Millennio.

*ex parlamentare

FONTE:

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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