“So che siete venuti per me, ma prima dovete parlare con loro”. È questo il senso delle prime parole rivolte da Alfredo Cospito ai quattro parlamentari Pd che gli hanno fatto visita nel carcere di Sassari, il 12 gennaio scorso. “Loro” sono Francesco Di Maio, Francesco Presta e Pietro Rampulla, compagni di reparto dell’anarchico al 41-bis fino al suo trasferimento nel penitenziario di Opera. Mafiosi irriducibili e di primo livello: Di Maio è un camorrista di spicco del gruppo di Francesco Bidognetti, Presta è un killer di ‘ndrangheta “di rara freddezza e capacità”. Mentre Rampulla, detto “l’artificiere”, è l’uomo che avrebbe dovuto azionare l’esplosivo della strage di Capaci.Cospito indica le tre celle accanto alla propria al senatore Walter Verini e ai deputati Andrea Orlando, Debora Serracchiani e Silvio Lai, arrivati in Sardegna per accertarsi delle sue condizioni di salute. E mette in chiaro, davanti a loro, che il suo sciopero della fame non ha il solo scopo di far revocare a se stesso il regime di carcere duro, ma quello di ottenerne l’abolizione per tutti, compresi i “vicini” mafiosi. Un gesto che non può non avere un valore, nelle logiche dei rapporti tra detenuti.D’altra parte, quello stesso giorno – come ha rivelato alla Camera il deputato di FdI Giovanni Donzelli – lui e Di Maio conversavano di una strategia comune durante l’ora d’aria: “Dev’essere una lotta contro il regime, noi al 41-bis siamo tutti uguali”, “Pezzetto dopo pezzetto si arriverà al risultato”.Come reagiscono i politici, rappresentanti delle istituzioni, di fronte a questo episodio? Il senatore Verini, raggiunto dal Fatto, minimizza: “Cospito voleva solo sottolineare che in quel carcere non c’era solo lui, ma anche altri. Credo che il senso fosse quello, o almeno noi l’abbiamo interpretata così”. Poi ammette che qualche frase di circostanza, tra i quattro parlamentari e i tre mafiosi, è stata scambiata. “Ma non abbiamo mica obbedito a Cospito: l’avremmo fatto comunque, anche se non ce l’avesse chiesto”. Com’è andata “Le celle erano chiuse, vedevamo solo le facce dallo spioncino. Chiedevamo ‘da quant’è che è qui?’ e loro rispondevano ‘trent’anni’, ‘venti’, ‘dieci’. Cose del genere. È normale, così accade quando si va in visita in carcere. Se vai in un reparto e ci sono altri detenuti che ti osservano, si chiedono cosa ci fai lì, non li puoi mica ignorare. Non mi pare un tema centrale”.
Qualche settimana dopo, però, verranno fuori i dialoghi ascoltati in carcere tra Cospito e i boss, in cui si ragiona in modo esplicito di un piano per arrivare all’abolizione del 41-bis. Su questo Verini è netto: “Bisogna assolutamente stroncare ogni rischio di saldature tra criminalità organizzata e terrorismo”, commenta. Aggiungendo però: “Se arriva uno che dice che il 41-bis va abolito, i mafiosi ovviamente ci vanno a nozze. Ma è per questo che bisogna cercare di non creare un martire, rispettando la legge, mandandolo magari in un carcere dove può essere curato, com’è stato fatto”. In linea di principio, precisa il senatore dem, “guai a chi tocca il 41-bis, che è uno strumento fondamentale. Chi pensa di modificarlo indebolisce la lotta alle mafie”. Ma ricorda che “le pronunce della Corte Costituzionale e della Cedu dicono che deve servire a evitare i contatti, senza inutili e superflue afflizioni. Nel caso di Cospito, non è un reato interrogarsi se sia una misura utile. Io però mi fido dei magistrati e attendo le loro valutazioni”.
Andrea Orlando, un altro dei parlamentari in visita, si è spinto oltre: “È urgente trasferire Cospito e revocare il 41-bis. Legare il 41-bis a una sorta di ritorsione significa fare il gioco di chi nega alla radice l’esistenza dello Stato di diritto”, ha scritto in un tweet.
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