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ROMA… NON FA LA STUPIDA STASERA… «Quanti assassini sarebbero rimasti cittadini dabbene se non avessero avuto una domenica libera» Gesualdo Bufalino

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LA CITTA’ DEI VIVI

Arresto –  di Fulvio Fiano e Rinaldo Frignani –   Corriere della Sera

«Dobbiamo prenderlo nelle prime 48 ore», rimarcava il procuratore Francesco Lo Voi all’indomani dei delitti. E, ieri all’alba, il killer delle tre prostitute uccise giovedì nel rione Prati è stato fermato dagli agenti della Squadra mobile e dello Sco nel quartiere di Ottavia. Si chiama Giandavide De Pau, ha 51 anni, romano, una lunga serie di precedenti penali, anche per stupro. Ma soprattutto è stato a lungo il factotum del boss Michele Senese, il camorrista di maggior rango nella Capitale.

I poliziotti lo hanno sorpreso mentre dormiva a casa della madre, dove si era rifugiato dopo ore di fuga confusa da lui stesso ripercorsa nell’interrogatorio in questura: «Ricordo di essere stato nella casa di via Riboty con delle ragazze cinesi. Al risveglio ho visto un uomo nero e molto sangue, ho tamponato la ferita alla gola di una di loro, ma poi ho un blackout, non ricordo più nulla. Non ricordo di essere stato in via Durazzo. Ho vagato per due giorni senza mangiare né dormire. Poi sono andato da mia madre, avevo i vestiti ancora sporchi di sangue, ero stravolto e mi sono messo a dormire per due ore sul divano. Alle 6 di mattina sono arrivati i poliziotti che mi hanno bloccato». È l’epilogo di due giorni di ricerche frenetiche nel timore che potesse colpire ancora, fino all’annuncio che ha anticipato la notizia del fermo – firmato dalla pm Antonella Pandolfi e dal procuratore aggiunto Michele Prestipino – fatto dal questore Mario Della Cioppa: «Ben consapevole delle aspettative della cittadinanza, posso affermare che la collettività può tornare a essere più tranquilla». Il 51enne è accusato di triplice omicidio volontario aggravato, anche se nega di aver incontrato la colombiana Marta Castaño Torres, uccisa un paio di ore prima delle due cinesi a meno di 900 metri da lì.

I suoi passi sono stati ricostruiti dagli investigatori incrociando alcune testimonianze decisive e le immagini delle tante videocamere di sicurezza che l’hanno inquadrato su entrambe le scene del delitto e lungo il percorso che le separa. Mercoledì sera De Pau dorme a casa di una prostituta cubana in via Milazzo, zona stazione Termini. Quest’ultima è amica di Castano Torres e le organizza un incontro con De Pau che si reca da lei di buon mattino. Sono da poco passate le 8 quando la uccide. Poi contatta le cinesi in via Riboty, che ancora oggi sono senza nome.

Ne aggredisce una, colpisce l’altra intervenuta in sua difesa e fugge. Torna in via Milazzo, chiama la sorella e le dice che arriverà la donna cubana a prendere per lui dei soldi e dei vestiti puliti. La sorella respinge la visita della donna, si insospettisce e chiama i carabinieri della caserma Monte Mario, i quali girano la segnalazione alla polizia. Gli agenti portano per primo in questura il fratello della cubana fino all’arrivo di lei, che racconta tutto. Nel frattempo ha chiesto al 51enne di andarsene da casa sua. Nelle ore successive De Pau vaga senza meta, allontanato anche da chi gli è stato complice nell’ambiente criminale. Tutti sono ben consapevoli che la sua fuga non può durare e che da un eventuale aiuto a nascondersi avrebbero solo guai. Una conferma, se mai servisse, che i tre delitti non hanno collegamenti con il suo passato malavitoso ma sono il frutto di una azione personale. De Pau si rifugia infine dalla madre, dove viene bloccato nelle stesse ore in cui gli agenti della scientifica fanno irruzione in via Milazzo in cerca di ulteriori prove, dopo le impronte e le tracce di Dna isolate nelle case delle tre vittime. Parcheggiata lì davanti c’è anche una Toyota Yaris a noleggio con evidenti macchie di sangue.

Nell’interrogatorio di 13 ore l’uomo conferma di essere stato a casa delle cinesi ma nega di aver incontrato la colombiana. Una incongruenza che secondo gli inquirenti, forti di solide prove scientifiche, si spiegherebbe col suo stato di alterazione in quelle ore: «Ricordo che una donna cubana è arrivata a casa mia e abbiamo consumato della droga, poi il giorno dopo ho preso un appuntamento a via Riboty. Di quegli istanti ricordo solo tanto sangue», le sue frasi. De Pau avrebbe agito sotto effetto di stupefacenti e mosso forse da turbe che saranno oggetto di perizia anche alla luce di quanto affermato nell’interrogatorio.

Nel suo passato ci sono anche due ricoveri in cliniche psichiatriche, oggetto di verifiche in queste ore anche alla luce del falso certificato che consentì proprio a Senese di lasciare il carcere per una casa di cura dalla quale evase, guadagnandosi l’appellattivo di ‘O Pazz. Sarà quindi difficile ricostruire il vero movente della mattanza, mentre manca ancora l’arma del delitto della quale il killer si è verosimilmente liberato durante la fuga.

Fulvio Fiano e Rinaldo Frignani

La polizia mortuaria davanti lo stabile di via Riboty

Sorella di Luca Monaco la Repubblica

«Siamo distrutti. Mio fratello ha un grave problema con la cocaina. Ci sono persone che la usano e alle quali non succede nulla, lui come fa un tiro va fuori di testa. Non avrebbe dovuto toccarla. Sono anni che sta in cura, ma non c’è niente da fare».

Francesca De Pau, la sorella di Giandavide De Pau, il 51enne ex autista e guardaspalle del boss Michele Senese, fermato ieri con l’accusa omicidio plurimo aggravato, parla sull’uscio dell’appartamento al primo piano in via Esperia Sperani, un lotto popolare alla profonda periferia nord-ovest di Roma.

È stata lei a chiamare i carabinieri e a denunciare suo fratello.

«Ho fatto quello che dovevo fare, non ne voglio parlare, siamo distrutti. Penso a mia madre, a quelle povere ragazze e alle loro famiglie».

Suo fratello non ricordava neppure di essere stato in via Durazzo.

«Era fuori di sé, sono anni che gli sto dietro ma non c’è soluzione. Sono sola, con il mio lavoro da baby sitter, devo badare anche a mia madre che ha 70 anni e ha appena avuto un infarto: a settembre ha perso l’ultima sorella che aveva. È devastata da questa tragedia inimmaginabile».

Pensa che se l’avessero curato meglio tutto questo si sarebbe potuta evitare?

«Che le devo dire, dipende anche dalla volontà di ognuno. Sapete cosa si prova a dover seguire una persona cara per anni, in carcere? Io sì. Sarà durissima».

Cosa le ha detto suo fratello quando è tornato a casa

«Voi giornalisti, se avete un’anima abbiate rispetto del dolore che stiamo vivendo».

Luca Monaco Il Biondo di Andrea Ossino la Repubblica

«Quando me se cambia la testa, capito? Dopo divento freddo, non mi altero più, prendo e faccio in modo che la gente muoia, perché muoiono… muoiono di crepacuore, devono morì, devono pagare… ». Giandavide De Pau un tempo sentenziava vita e morte. Decretava la fine di un creditore e concordava «nuove modalità di raccordo tra i gruppi» della malavita della Capitale. Ma dagli alti ranghi della criminalità romana è sceso fino agli scantinati dei palazzi dove le prostitute vendono i loro corpi per poche decine di euro, uccidendone tre in un paio d’ore, giovedì mattina. Una parabola discendente che coincide con il declino dell’impero malavitoso governato dal boss da sempre al centro delle consorterie romane, Michele Senese o’ Pazzo. Del capo dei capi, De Pau era l’autista, il guardaspalle, uno scagnozzo. Una qualifica ottenuta presentando un curriculum di tutto rispetto, narrato dagli atti delle inchieste e dai numerosi precedenti penali che non sono bastati ad assicurargli un lungo soggiorno nelle patrie galere. Arrestato nel dicembre 2020, il mese dopo era già ai domiciliari grazie ad alcuni permessi. Nato il 25 giugno 1971, nel 2008 l’allora 37enne varca le porte dell’ospedale psichiatrico di Montelupo Fiorentino per un «disturbo antisociale della personalità», un problema rimediato nel corso di una vita trascorsa tra droga, armi, «violazione di domicilio», «ricettazione», «lesioni personali». E anche una «violenza sessuale», un fattaccio avvenuto nel 2006 dalle parti dei Parioli, quando per la prima volta, a 35 anni, mostra la sua rabbia contro le donne che si prostituiscono. «Signora apra, sono un tecnico della caldaia», dice alla 21enne brasiliana che apre la porta prima che De Pau, Beretta in mano, le salti addosso. La donna poi fugge gettandosi dalla finestra e il finto operaio, anche lui seminudo, la insegue invano. Lei finisce in ospedale, lui in carcere, grazie ai carabinieri. Gli investigatori ricordano anche un altro episodio: quando De Pau spara con un fucile a pallettoni all’indirizzo di alcune prostitute che lavoravano in strada. Il secondo ricovero risale al 2011, sempre nella stessa comunità toscana. Ma dura poco. Quindi De Pau scala le gerarchie criminali e da semplice malacarne diventa uomo di fiducia del boss, di Michele Senese, dell’uomo della camorra a Roma.

«Giandavide sarà pure quello che è… però lui non lo fa notare», dice nel 2012 un criminale di lungo corso come Fabio Gaudenzi all’amico fidato, un pescecane del calibrodi Massimo Carminati. «Lui (Senese, ndr) se lo porta che fa l’autista», continua muovendo a compassione il rinomato interlocutore: «Poverello, gli vogliono da’ la sorveglianza ». De Pau in quegli anni è sposato e ufficialmente lavora insieme ad Angelo Carminati, il fratello di Massimo, per la Professional e Partners group, rivelano gli atti dell’inchiesta un tempo nota come “Mafia Capitale”. Ma, secondo l’antimafia, è tra le floride piazze di spaccio di Roma Sud che fa affari.

Il 29 aprile 2013 «incontrava Carminati Massimo presso il distributore Eni di Corso Francia». E il giorno seguente «accompagnava Michele Senese all’incontro avuto con Massimo Carminati e presenziava in parte allo svolgimento dello stesso, nei pressi del bar La Piazzetta », scrivono i pm. «Il 2 luglio 2013, alle ore 18,51, ovvero pochi giorni dopo l’arresto di Michele Senese, nei pressi del tabaccaio adiacente all’esercizio commerciale Blu Marlyn di Corso Francia, veniva documentato un incontro tra Massimo Carminati e Giandavide De Pau». Dovevano «instaurare nuove modalità di raccordo tra i rispettivi gruppi di riferimento alla luce dell’intervenuto arresto del Senese». Con il capo in gabbia, De Pau andava in giro mostrando gradi e violenza: «Gli vuoi bene alla tua famiglia Ti faccio ammazzare a tutti (tuo figlio, ndr) tanto te lo ammazzo, è morto!», diceva a un creditore. E ancora: «Scateno addosso l’inferno… i morti li ho fatti solo io». Poi l’operazione Tulipano, nel dicembre 2020. Quindi l’arresto per aver fatto parte di un’associazione che agiva con metodi mafiosi. E di nuovo la ritrovata libertà tra escort e cocaina. Così tanta da averlo mandato in tilt, dice lui a proposito del triplice omicidio commesso giovedì scorso: «Non ricordo nulla, c’era solo tanto sangue».

Puttane di Patrizio Bati La Stampa

Io la conoscevo bene. Conoscevo l’appartamento, in via Riboty 28. Tra il 2010 e il 2018, penso di esserci stato almeno venti volte.

Conoscevo la donna assassinata, unica presenza fissa in quella casa. Ruotavano invece le altre, l’avvicendamento era costante. Ad accogliermi spesso trovavo una «stretta» (nel gergo delle escort, prostituta con poca esperienza).

La seconda vittima, uccisa dalla stessa lama, potrei quindi non averla mai incontrata. L’immagine della prima donna si è conservata nella mia mente quasi intatta: pelle ambrata, capelli lunghi e neri, incisivi leggermente sporgenti, orientale ma forse non cinese.

Dell’appartamento ricordo un corridoio con almeno quattro porte, l’ultima delle quali, a destra, era quella della camera dove io ho sempre consumato. In una dimensione atemporale: persiane sempre chiuse, ad annullare notte e giorno.

Ricordo anche che, in casa, le ragazze non portavano mai scarpe con i tacchi. Sempre pantofole. Per non turbare la tranquillità del condominio, i passi andavano assolutamente silenziati. Anche quando l’assassino ha vibrato i primi colpi, perfino in quella circostanza, nel cercare di difendersi, nessuna di loro ha urlato. Forse nella speranza di salvarsi senza che i vicini di casa si accorgessero di niente.

Erano in due, in via Riboty, giovedì mattina. Chi riceve i clienti a casa, spesso lavora in coppia. Per dividere le spese di affitto (più eventuale canone «tacita-portiere»), ma soprattutto per scoraggiare eventuali rapinatori o squilibrati. Il cliente, anche se di norma è una sola persona a dargli il benvenuto, deve avere da subito la percezione di una seconda presenza in casa. Basta proporgli un rapporto a tre (come in genere accadeva in via Riboty) o lasciare aperta la porta della stanza in cui si trova l’altra.

Visti i rischi del mestiere, le precauzioni non si limitano a questo. Già al momento del contatto telefonico, alcune escort cercano di coinvolgere il cliente in un dialogo che trascenda la fredda comunicazione di tariffario, prestazioni ed indirizzo. Dialogo che, per quanto breve, è spesso determinante per cogliere – dalle parole usate e dal tono di voce dell’interlocutore – un suo eventuale stato di forte alterazione (alcol o droga).

Murate in sottoveste nel loro appartamento, vita sociale ridotta al tragitto casa-supermercato/supermercato-casa, ombre cinesi proiettate su persiane, alle prostitute orientali – la cui conoscenza della nostra lingua è mediamente scarsa – l’arma della conversazione è, di fatto, preclusa (molte di loro, non riuscendo a pronunciare bene i nomi delle strade, forniscono ai clienti l’indirizzo dell’appartamento tramite sms).

Il telefono, però, un’arma la concede anche a loro: la rubrica. Memorizzare i numeri dei clienti, indicando, in corrispondenza del nome (se te lo chiedono non è perché gli interessi instaurare un contatto più personale con te, infatti poco importa che sia vero o falso… è solo per catalogarti nella rubrica) un voto compreso da 0 a 10, principalmente basato sul grado di affidabilità percepita.

Al primo incontro, se non sei già un numero in rubrica, la escort ti indicherà il civico di fronte a quello in cui realmente riceve, così da poterti – nascosta dietro persiane o tende – osservare per qualche secondo e decidere poi se comunicarti l’indirizzo giusto o se mandarti via con una scusa.

Al momento delle presentazioni c’è un ulteriore aspetto che differenzia le cinesi dalle altre prostitute: domandano il nome al cliente ma, a meno che non sia lui curioso, difficilmente gli dicono il loro. Sono corpi senza identità, coscienti di essere soltanto questo. Schiave di organizzazioni criminali. Bambole riprodotte in serie, tutte con gli occhi a mandorla. Oggetti «Made in China», anche se non sempre si tratta di cinesi.

Un altro omicidio, il primo in ordine cronologico, si è consumato in via Durazzo, a poche centinaia di metri dall’appartamento delle due cinesi. Vittima, questa volta, una prostituta colombiana di 65 anni.

Prati, Piazzale Clodio, San Pietro. Sono quartieri borghesi, epicentro di uffici e studi legali e, proprio per questo, anche di centri massaggi, prostitute ed escort. Molte dell’Est, giovanissime e bellissime (tariffa minima: 150 euro per mezz’ora). Consistente anche la quota di sudamericane e di cinesi (in assoluto le meno costose: mano 20, bocca 30, primo canale 50, secondo canale 80, rapporto a tre 100 euro).

Scorre senza sosta il flusso dei clienti, ignorato da portieri compiacenti. Scorre, silenzioso e variegato. Giacca e cravatta, camicia e jeans, perfino abiti talari. Si aprono e si chiudono, come ali di farfalla, le porte degli appartamenti-alcova. Scorrono, come un Tevere nascosto, rigagnoli di sperma. Da cliente, la percezione di quanto il fenomeno sia esteso ce l’hai a fine rapporto, gettando il preservativo in un cestino già traboccante di fazzoletti e condom.

Fidanzati e sposati, la «parentesi prostituta» se la ricavano quasi sempre in un giorno feriale, la mattina prima di andare al lavoro, in pausa pranzo o la sera appena usciti dall’ufficio. Indispensabile per non far insospettire le compagne è l’accortezza di tenere, nella valigetta o nello zaino del computer, una confezione da viaggio del bagnoschiuma attualmente usato a casa. Una veloce doccia rimuove dai loro corpi ogni traccia del peccato.

Ora che questo triplice omicidio ha conquistato spazio su tv, radio e giornali, cambierà qualcosa a Roma Si acquieteranno i formicai? Smetteranno le porte degli appartamenti di sventolare come sportelli di saloon strapieni? Scarseggeranno mai, nei cestini a bordo letto, i preservativi usati?

All’epoca dei delitti del mostro di Firenze, le consuetudini più radicate erano state stravolte. Per paura che anche i propri figli potessero essere uccisi e mutilati, molti genitori avevano preso l’abitudine di uscire la sera lasciando l’appartamento a disposizione dei ragazzi e garantendo loro un’intimità protetta.

In mancanza di uno spazio al chiuso, per evitare di appartarsi in zone isolate e quindi rischiose, decine di automobilisti si fermavano nelle strade adiacenti al frequentatissimo piazzale Michelangelo, limitandosi a tappezzare i finestrini con fogli di giornale, contando sul fatto che, in quel periodo, nessuno avrebbe contestato loro il reato di atti osceni in luogo pubblico.

Se in seguito a questi tre omicidi qualcosa a Roma dovesse davvero cambiare sarà, al massimo, per pochi giorni. Brevemente interrotto dal blu dei lampeggianti, il brulichìo di auto e di persone ha ripreso a popolare quelle strade. Gli annunci, pubblicati sui siti di escort dalle tre prostitute massacrate, sono già stati rimpiazzati da altre facce sorridenti.

Casa-supermercato/supermercato-casa. Casa-supermercato/supermercato-casa.

Vi hanno portato via dal vostro appartamento, avvolte nei sacchi blu della polizia mortuaria.

Neanche questa volta avete visto Roma.

Patrizio Bati

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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