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Sul mostro di Firenze l’ombra della massoneria deviata

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Cronache

Sul mostro di Firenze l’ombra della massoneria deviata

In un’intervista, l’ex magistrato Giuliano Mignini ci racconta i lavori svolti dalla Commissione parlamentare antimafia sui delitti del mostro di Firenze, dove, come consulente, si è occupato del caso Narducci e di altre vittime “collaterali”

Sul mostro di Firenze l'ombra della massoneria deviata

Pochi argomenti di cronaca nera risultano tanto divisivi per l’opinione pubblica quanto i delitti del mostro di Firenze. Divisivi perché il periodo di terrore durato (ufficialmente) dal 1968 al 1985 ha toccato le corde dell’immaginario collettivo suscitando orrore ma al tempo stesso un fascino perverso. Una scia di sangue lunghissima, una vicenda giudiziaria tortuosa e non priva di polemiche – anche strumentali – sulle indagini, con comparse più o meno secondarie che s’intravedono alle spalle dei protagonisti indiscussi, quei compagni di merende che ormai in tanti dubitano poter essere stati i veri responsabili di quell’eccidio.

E allora, a distanza di quasi quattro decenni dall’ultimo duplice omicidio, cosa resta È ancora possibile mettere un punto fermo a questa storia dell’orrore?

ilGiornale.it ne ha parlato con Giuliano Mignini, ex magistrato perugino, consulente dell’ultima Commissione d’inchiesta parlamentare che, nel corso della sua attività (conclusasi purtroppo in anticipo), si è occupato anche dei delitti del mostro. Nello specifico, Mignini è stato chiamato per la sua competenza non tanto sulle singole vicende che hanno insanguinato le campagne fiorentine, di cui altri in Commissione si sono occupati, quanto piuttosto sul filone perugino della vicenda, quello che vede protagonista indiscusso l’ormai tristemente noto Francesco Narducci, il medico di Perugia, rampollo di una nota famiglia dell’alta borghesia perugina, fortemente legata ad ambienti massonici – nello specifico al Grande Oriente d’Italia -, che l’8 ottobre del 1985 scompare nel nulla, per poi essere ritrovato cadavere. Sul dove e quando non v’è certezza, ci arriviamo.

Mignini si è occupato a lungo del caso, come si è occupato anche di altri fatti di sangue che a vario titolo possono essere compresi in una vicenda che, a partire dai delitti del mostro, si amplia, cresce e allunga i propri tentacoli, suggerendo collegamenti all’apparenza assurdi, ma che a scavare bene sembrano aggiungere tasselli importanti a una storia ancora tutta da scrivere. Lo abbiamo incontrato in un bar del centro di Perugia, in compagnia del proprio avvocato Michele Antognoni, e abbiamo parlato a lungo.

In particolare, siamo rimasti a margine di quegli otto duplici omicidi e ci siamo concentrati su quelle che – magari impropriamente – abbiamo definito le “vittime collaterali” di questa vicenda: un’altra lunga e inquietante scia di morti non direttamente collegati o collegabili al filone del mostro, ma le cui vicende – se messe in fila – vanno a comporre un mosaico sinistro, con modalità omicidiarie delle più orribili. Si va dal pastore e delinquente sardo Francesco Vinci, incaprettato, evirato e bruciato all’interno della sua macchina insieme al proprio servo pastore, a Milva Malatesta, brutalmente massacrata e riposta nella sua automobile data alle fiamme insieme al proprio figlioletto Mirco di quattro anni (a entrambi vennero amputati gli arti e allo scoppio del rogo il bambino era ancora vivo, ndr); si passa per una lunga sequela di strani suicidi (persone impiccate con i piedi che toccano terra: Renato Malatesta e Vincenzo Limongi, rispettivamente padre ed ex marito di Milva), fino alla morte improvvisa di Pietro Pacciani. La lista però non finisce qui: solo per citare altre vittime possiamo ricordare Elisabetta Ciabani, anche lei protagonista di uno strano e cruento “suicidio” che richiama le modalità di attacco del mostro, e la povera Rossella Corazzin, scomparsa nel nulla e oggetto delle attenzioni della Commissione. Al centro di questa ragnatela di misteri fiorentini (escludendo le morti dei Malatesta, del Limongi e del Vinci), in un modo o nell’altro, c’è sempre lui: Francesco Narducci.

“Lo conoscevo bene – ci racconta Mignini – lo conoscevano tutti. Era un personaggio molto noto qui a Perugia. Eravamo quasi coetanei e abbiamo frequentato la stessa scuola. A quell’epoca (ottobre 1985, ndr), io vivevo accanto alla sede della Rai e, tornando a casa, stavo passando per Piazza Partigiani e incontrai Narducci, che stava armeggiando attorno alla sua moto. Ricordo che mi stupì il suo aspetto. Era sofferente, non l’avevo mai visto così. Lo conoscevo come un personaggio che teneva molto all’aspetto fisico e quel giorno lo vidi malissimo. Pensai che stesse male, anzi, devo essere sincero, pensai che soffrisse di un qualche male incurabile. Aveva degli occhiali scuri, ma ricordo che si vedeva sull’occhio destro una ferita, probabilmente alla palpebra, ma che proseguiva anche sotto. Ci salutammo, poi io proseguii e lui restò lì ad armeggiare sulla moto”.

Di lì a pochi giorni, Narducci fa perdere le sue tracce e sin da subito si comincia a parlare – prima sottovoce, poi sempre più apertamente – di un suo coinvolgimento nelle vicende del mostro di Firenze. L’ultimo duplice omicidio, quello avvenuto in località Scopeti a danno dei due turisti francesi Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot, era avvenuto solamente un mese prima, l’8 settembre del 1985. In realtà, già prima della sua misteriosa scomparsa girava voce che il brillante medico perugino fosse in qualche misura coinvolto in quella brutta storia, ma Mignini dice di non averlo saputo se non dopo la sparizione: “A Perugia se ne parlava come di un fatto risaputo. Non era una diceria. Io invece restai molto stupito, sulle prime anzi mi arrabbiavo. Poi dovetti arrendermi di fronte all’evidenza, perché dovunque andassi, specialmente nei primissimi mesi, anche al Palazzo di Giustizia, se ne parlava come di un fatto notorio, assodato”.

Poi – cinque giorni dopo, il 13 ottobre – un corpo viene ripescato dal lago Trasimeno. Immediatamente – anche troppo – circola la voce che si tratti di Francesco Narducci. Il ricordo di Giuliano Mignini, che anni dopo si sarebbe occupato del caso in veste di magistrato, è vivido: “Quella mattina accadde qualcosa di strano e, ancora oggi, non spiegato. Su quel pontile c’erano tutti. A parte i giornalisti (e verrebbe da chiedersi chi li avesse avvertiti con tanto tempismo), c’era il questore di Perugia e c’era la squadra mobile, che non erano titolati ad essere lì. La competenza di svolgere le attività di recupero del cadavere e i primi accertamenti sarebbe spettata ai carabinieri di due stazioni locali. Ma tolto questo, non vennero fatti accertamenti. C’è stata un’omissione di accertamenti di una gravità incredibile, questo va detto. Mai successa in Italia una cosa simile: non è stata fatta l’autopsia, non è stata fatta una visita esterna completa del cadavere, il quale non è stato portato in obitorio: c’è stato l’ordine di una parente, la moglie del fratello, di portarlo nella villa di San Feliciano (località affacciata sul lago Trasimeno, ndr) prima ancora che ci fosse il provvedimento del giudice di consegna ai familiari, che sarebbe intervenuto il giorno prima dei funerali, ossia più di una settimana dopo. Ma giusto per continuare a elencare le stranezze: non fu misurata la temperatura rettale, non sono state fatte le foto. Quelle che abbiamo sono state fatte da un giornalista de La Nazione e sono state molto utili, anche perché le mattonelle del pontile sono rimaste invariate e ciò ha consentito una misurazione abbastanza precisa dell’altezza del cadavere ripescato”.

Ed è questa misurazione – unita ad altri elementi come la misura dei pantaloni indossati dal cadavere (ne parla approfonditamente il giornalista Alvaro Fiorucci nel suo libro 48 Small, interamente dedicato alla vicenda Narducci, ndr) – a far emergere un elemento tanto inquietante, quanto ormai acclarato: quel corpo restituito dalle acque del lago non era di Francesco Narducci. E allora A chi apparteneva

“Forse l’avevamo identificato – ci dice il dottor Mignini – poteva trattarsi di un messicano, un corriere della droga. Certo non era Narducci”.

A questo punto, però, interviene un cortocircuito inquietante. Sulla figura di Narducci l’interesse degli inquirenti si riaccende 15 anni dopo. Nell’ottobre del 2001, infatti, la Procura di Perugia riapre l’inchiesta sulla sua morte dopo che, in diverse intercettazioni telefoniche, era stata affermata da interlocutori anonimi – autodefinitisi appartenenti ad una congrega di tipo satanistico – la natura omicidiaria delle morti di Pacciani e Narducci, da costoro rivendicate poiché entrambi “traditori di satana”. Le indagini passano a Giuliano Mignini, che nel 2002 dispone la riesumazione del cadavere. In quella bara effettivamente c’è il corpo di Narducci, sul quale risultano evidenti i segni di strangolamento: “C’era una frattura del Corno superiore sinistro della cartilagine tiroidea. Dunque questo significa che l’assassino era mancino. E molto forte. Nel 1985, invece, si era parlato di annegamento ‘da probabile episodio sincopale’. Il tutto senza un’autopsia”.

Su chi potesse essere questo assassino e da quali motivazioni fosse mosso, il dott. Mignini mantiene il massimo riserbo e, nonostante le nostre insistenze, l’unica cosa che ci dice è che qualche ipotesi in sede di Commissione è stata fatta.

Sulle tempistiche della morte, a distanza di tanti anni, non si sono raggiunte certezze. Mignini ritiene che sia sopravvenuta in prossimità della sparizione, ma quello che sappiamo è che la Commissione ha indagato anche su una possibile – e vociferata – fuga all’estero di Narducci: “Si parlava di Santo Domingo… e pur non essendoci riscontri, non è un’ipotesi peregrina. Che a disposizione degli appartenenti alla massoneria ci fosse una rete di supporto informale pronta anche a garantire una fuga all’estero ce l’ha confermato un pezzo da novanta della massoneria italiana e internazionale”.

Giuliano Mignini si riferisce a Giuliano Di Bernardo, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia dal 1990 al 1993, famoso per aver rotto con il Goi per una profonda differenza di vedute e per le pesanti ombre che sul Goi si addensavano in quegli anni. Una delle principali novità emerse durante i lavori della Commissione è proprio questa, sebbene la notizia sia passata piuttosto in sordina: Il 14 luglio scorso, Giuliano Di Bernardo è stato sentito dalla Commissione Parlamentare Antimafia in relazione alla vicenda Narducci. L’ex Gran Maestro non solo avrebbe confermato che effettivamente sarebbe stato possibile garantire una fuga all’estero di un fratello massone – su questo specifico punto, siamo curiosi di leggere la relazione finale della Commissione, che dovrebbe uscire a giorni –, ma avrebbe anche confermato che negli stessi ambienti massonici circolasse voce che Narducci fosse coinvolto nella vicenda del mostro di Firenze, ma che lui è venuto a saperlo solamente al principio degli anni Novanta, quando appunto venne eletto Gran Maestro.

Sul punto abbiamo pensato di interpellare telefonicamente lo stesso Di Bernardo, che ci ha dato qualche dettaglio in più: “Di Narducci avevo già sentito parlare nell’85, quando quel corpo venne ripescato dal lago. All’epoca ero affiliato alla loggia Zamboni – De Rolandis di Bologna e in quell’ambiente c’erano alcuni membri che conoscevano il medico perugino. Alcuni erano suoi amici e ricordo che uno di essi, commentando la notizia dell’annegamento, espresse dubbi del tipo “ma come, era un ragazzo sportivo, come ha fatto ad annegare?”. Insomma, la cosa appariva strana, ma poi non ne sentii più parlare. Il caso mi si ripropose quando sono stato eletto Gran Maestro del Grande Oriente. Le informazioni sui casi più scabrosi non mi venivano date in maniera ufficiale, non seguivano l’iter gerarchico. A informarmi era il mio segretario personale. Fu lui, un giorno, a parlarmi delle voci che circolavano intorno alla vicenda Narducci”.

Le voci – ormai in giro da così tanti anni da aver preso consistenza – parlavano di omicidio. Ma non solo: “Il mio segretario mi disse che nella vicenda c’entrava in qualche modo la famiglia, ma non solo. Disse che dovevamo fare attenzione e monitorare la situazione, perché le informazioni che arrivavano da più parti sembravano far trapelare la possibilità che, attraverso il padre di Narducci, fosse coinvolta la loggia di Perugia. Insomma, poteva diventare un problema rilevante non solo a livello locale, ma per tutta la massoneria”.

La morte di un medico perugino ha davvero rischiato di mettere in pericolo la massoneria italiana Così sostiene Di Bernardo. Peccato non poterlo domandare al suo segretario personale, venuto a mancare diversi anni fa. Sarebbe stato interessante approfondire l’origine di quelle informazioni. Ma tant’è. Nella nostra conversazione telefonica, l’ex Gran Maestro Giuliano Di Bernardo ci racconta cosa avvenne dopo la consegna di una tale patata bollente: “Nel 1992 arriva sul Grande Oriente e sulla massoneria in generale la tempesta scatenata dal magistrato Agostino Cordova. Improvvisamente mi trovai a fronteggiare attacchi a tutti i livelli. Quelli sono stati anni tremendi. Non per me, ma per l’Italia. Persi di vista il caso Narducci, nonostante avessi chiesto al mio segretario di approfondire la questione”.

Il pettegolezzo nero che lo vuole nelle vesti del mostro che terrorizza l’Italia, un corpo misterioso ripescato nel Trasimeno e spacciato come il suo, l’ipotetica fuga in Sud America, la scia di morti in cui entra anche lui, con l’osso ioide spezzato. Francesco Narducci è un enigma che nessuno è ancora riuscito a decifrare. La Commissione ci ha provato scavando nella sua rete di relazioni, di amicizie pericolose che affondano le radici anche, sembrerebbe, negli ambienti di estrema destra romani, nello specifico quelli di Avanguardia nazionale, il movimento neofascista fondato da Stefano Delle Chiaie.

“Certi ambienti lo sorvegliavano già dal 1974, all’epoca del primo delitto del mostro (se si esclude quello sui generis del 1968, ndr)”. A quali ambienti si riferisca Mignini non è molto chiaro, ma sembra di capire che il riferimento sia ad apparati d’intelligence. Ma se così fosse, era sorvegliato in quanto sospetto mostro o per altre ragioni, magari collegate alle sue frequentazioni romane?

A metà degli anni Settanta siamo in piena stagione di strategia della tensione. Avanguardia nazionale è senz’altro una parte importante della sceneggiatura e Roma è il set principale. Secondo Mignini, qui Narducci era di casa. Lo dice anche Angelo Izzo, un altro mostro, ma del Circeo.

Sull’attendibilità di Izzo si potrebbero imbastire tavole rotonde con l’unica certezza di non raggiungere alcun risultato, ma Mignini spezza una lancia in suo favore: “Non tutto quello che dice sono bugie, alcune cose dette in Commissione sono state riscontrate”. Quali cose, lo leggeremo nella relazione finale, per ora sappiamo solo che Izzo, che ormai da diversi anni sostiene di aver condiviso con Francesco Narducci l’uccisione nel corso di un rito esoterico/satanico di Rossella Corazzin un anno prima del massacro del Circeo (quindi nel 1974, ndr), avrebbe confermato le sue vecchie dichiarazioni, offrendo appunto dei riscontri a quanto raccontato: “Izzo descrive la villa in cui sarebbe avvenuto questo omicidio rituale. Io ci sono stato, è una villa della famiglia Narducci sul Trasimeno, a San Feliciano. La descrizione è molto precisa, Izzo c’è sicuramente stato”.

Non una novità, insomma. Siamo dunque curiosi di capire se possano esserci altri spunti interessanti – e verificabili – nelle parole di Izzo, ma per questo non possiamo che attendere la relazione finale.

Insomma, di elementi su Narducci, personaggio al crocevia di tante, forse troppe vicende oscure, sembrano essercene in abbondanza per collegarlo alla vicenda del mostro di Firenze. Addirittura Mignini accenna a un possibile ritrovamento, in una delle case del medico sparse tra Umbria e Toscana, di feticci umani. Impossibile non pensare alle parti del corpo asportate dalle vittime femminili del mostro. Sul punto ci parla di testimonianze da parte di uomini delle forze dell’ordine che, al momento di dover confermare quanto affermato in precedenza, si sono tirati indietro, ma sono stati smentiti da altri testimoni che avevano sentito direttamente quelle rivelazioni. E sempre riguardo la presenza di feticci umani in una delle case di Francesco Narducci, Giuliano Mignini ci racconta una storia di cui non avevamo mai sentito parlare prima: “Tempo fa ho avuto modo di parlare con una persona. Questa persona era in rapporti di amicizia con Emanuele Petri”.

Emanuele Petri è il poliziotto ucciso il 2 marzo del 2003 in uno scontro a fuoco con i brigatisti Mario Galesi e Nadia Desdemona Lioce. Cosa c’entra in questa vicenda “La persona in questione sostiene che Petri gli avesse confidato che, pochi giorni prima della scomparsa di Narducci, era entrato in un’abitazione del medico perugino e aveva trovato i famosi feticci. Gli disse anche di aver inseguito il Narducci sulla vecchia strada che collega Arezzo con Perugia, ma che il medico l’aveva seminato con la moto”. La domanda viene spontanea. Se questo inseguimento effettivamente c’è stato, stiamo parlando del 1985. Petri è morto nel 2003, perché – ufficialmente – non è stata trovata traccia di questo evento? Ma soprattutto, è possibile che non si sia trovata traccia ufficiale della presenza del Petri in una casa nella disponibilità di Narducci in cui erano stati rinvenuti da esponenti delle forze dell’ordine dei resti umani, rinvenimento anche questo ricostruito solo attraverso testimonianze? Lo scenario è inquietante.

Lo facciamo presente a Giuliano Mignini, che si stringe nelle spalle: “Beh, non è detto che Petri fosse titolato per fare quelle indagini. Magari si era mosso per sua iniziativa”.

Troppi buchi. Eppure Mignini ha avuto un ulteriore riscontro indiretto a questa confidenza fattagli: “L’anno dopo aver ricevuto questa informazione, vado a sentire l’ex moglie di Francesco Calamandrei, (il farmacista di San Casciano finito nella vicenda del mostro per poi venire assolto da ogni accusa, ndr). La donna era ricoverata presso una clinica, le feci vedere una foto di Narducci. Lei mi disse “ma questa me l’ha fatta vedere Lele”. Per “Lele” intendeva Emanuele Petri. Due persone che non si conoscevano che, a distanza di un anno, mi parlano di un collegamento tra Petri e Narducci. Ne parlai anche con la vedova del poliziotto, lei di questa storia non sapeva nulla. Recentemente, però, durante l’inaugurazione di una caserma a Spoleto, l’ho re-incontrata. Mi è venuta a salutare e, in relazione a questa storia, mi ha detto “Dottore, aveva ragione lei”. Le dissi di venirmi a trovare per approfondire la questione, ma ad oggi non c’è stata ancora occasione”.

Cosa significasse questo interessamento da parte di Petri nei confronti di Narducci – sempre se la cosa sarà confermata – non lo sappiamo. Certo, il quadro non fa che allargarsi a dismisura e, nonostante per quanto riguarda l’omicidio di Narducci a livello giudiziario tutto si sia risolto in un’ordinanza non impugnabile di archiviazione (nonostante il Gip di Perugia De Robertis abbia appurato per certo lo scambio di cadavere e il suo coinvolgimento nei delitti del mostro di Firenze), Giuliano Mignini di una cosa è sicuro: “Quello che è emerso in relazione alla vicenda Narducci, soprattutto, ma anche a quella fiorentina, è che questa storia si sia svolta in un contesto massonico. La vittima (Narducci, ndr) era affiliata al Goi, ma forse anche a qualche altra realtà. Lo vediamo anche nella strategia della tensione: queste realtà vanno di pari passo. Parlo di massoneria e servizi segretistrutture e logge deviate che vanno di pari passo e purtroppo sembra che questo incrocio, questa connessione che è tipica della strategia della tensione, in piccolo si sia verificata anche in questo caso. Soprattutto nel filone perugino, dove Narducci era un personaggio centrale. Tutto questo, purtroppo, è emerso dopo la fine delle indagini”.

A questo punto, attendiamo di leggere la relazione finale della Commissione d’inchiesta. Chissà che non possano emergere ulteriori spunti per far luce almeno su alcune di queste tristi vicende. Una cosa però possiamo dirla: sembra ormai riduttivo, alla luce di tanti elementi di connessione provati e innegabili, parlare di “mostro di Firenze”. Quello che è accaduto nell’arco di anni compresi tra il 1968 e il 1985 ha una portata decisamente più vasta, più oscura, più inquietante. E se anche venisse accertato che l’esecutore materiale dei duplici omicidi fosse un serial killer solitario, in questa storia di mostri ce ne sono stati decisamente troppi.

FONTE: IL GIORNALE .IT

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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