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S. Marcellino. Anno 1957: cronaca di un efferato omicidio perpetrato per ‘liberarsi’ del marito dell’amante

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In San Marcellino, usciti dall’osteria, Emilio Gordon uccise con dieci coltellate Vincenzo Raimondi, marito della sua amante,

 che era una cameriera nella bettola .

Verso le ore 16:30 dell’8 aprile del 1957 i carabinieri di Trentola vennero avvertiti che in San Marcellino si era verificato un fatto di sangue.

Accorsi immediatamente in quella località accertarono che tali Vincenzo Raimondi da San Marcellino e Emilio Gordon da Aversa erano venuti a lite nella via consortile, nei pressi della cantina gestite da Giovanna De Marco e che Raimondi era rimasto ucciso mediante colpi di coltello ed era stato trasportato nella propria abitazione.

Il fatto venne così ricostruito in base alla dichiarazione del contadino Bernardo Verdino.

Il Verdino verso le ore 14:30 si era portato nella cantina della  De Marco per chiamare il Raimondi che doveva accompagnarlo in qualità di mediatore a Villa Literno per contrattare l’acquisto di una mucca, e trovato ivi il predetto intento a giocare, lo aveva sollecitato ad andare con lui.

Dopo pochi minuti era sopraggiunto Raffaele Diomaiuto, fratello del marito della signora De Marco, Salvatore Diomaiuto, e lo stesso, messo a conoscenza dell’accaduto, si era posto alla ricerca del Raimondi.

Successivamente il Verdino era andato anche lui in cerca di Raimondi e giunti nella via Macello lo aveva visto venire insieme a Raffaele Diomaiuto  verso di lui.  Tutti e tre si erano diretti verso l’incrocio che tra via Macello e via Consortile e sia il Verdino che il Diomaiuto strada facendo avevano esortato il Raimondi a non dar peso all’accaduto ed a riappacificarsi con il Gordon.

Intanto, mentre si avvicinavano all’incrocio, si era visto ivi transitare il Gordon diretto alla cantina; il Verdino aveva allungato il passo staccando gli altri due e ciò al fine di evitare l’incontro dei due rivali e di preparare il terreno per una riconciliazione.

Giunto nella via Consortile, il Verdino aveva visto il Gordon che era presso il fabbricato nel quale è la cantina, girarsi, scendere dalla bicicletta, e avviarsi di corsa verso il Raimondi. Il teste aveva tentato di afferra

re il Gordon, ma invano; ed allora aveva preferito andare nella cantina per invocare l’intervento di Salvatore Diomaiuto.

Se non che aveva appena varcato l’ingresso del locale quando si intese un colpo di pistola e uscito di nuovo in strada aveva notato il Gordon ed il Raimondi colluttare a terra tra i binari del tram.

Poi il Gordon si era alzato ed inforcata la bicicletta era fuggito in direzione di Frignano. Il Raimondi era rimasto a terra e presso di lui tale Alfonso Borzacchiello  aveva raccolto un coltello che poi aveva passato al Verdino. Il Verdino consegnò ai verbalizzanti il coltello di cui si è detto (un coltello pieghevole con lama a punta acuminata lungo centimetri 10 e con un manico lungo centimetri 12); precisando di non essere in grado di dire quale fine avesse fatto la pistola in quanto non si era avvicinato al luogo della consultazione.

Il Gordon, costituitosi la sera dello stesso giorno in cui si verificò il fatto, dichiarò che era stato il Raimondi ad aizzargli contro la cagna nella cantina e che per tale fatto egli era venuto con il Raimondi a lite. Dopo di ciò egli era andato in giro per San Marcellino e dopo circa mezz’ora era ritornato nel locale.

Ma era stato estromesso da Salvatore Diomaiuto  e mentre transitava, in via Consortile in bicicletta aveva incontrato nuovamente Raimondi.

Costui alla distanza di circa cinque o sei metri gli aveva esploso un colpo di pistola ed egli allora un colpo di pistola id egli allora, estratto un coltello, gli si era avventato contro (nella colluttazione che era seguita egli peraltro non aveva inferto alcuna coltellata al Raimondi che intanto si era ferito in quanto era andato a finire sul suo coltello che gli era caduto di mano).

Il Gordon, al quale furono  riscontrate escoriazioni e ferite lacero-contuse alla regione anteriore del ginocchio destro, al polso della mano destra, al dito indice della mano destra, alla regione sottopalpebrale dell’occhio destro, alla regione occipitale aggiunse che il Raimondi era stato disarmato della pistola durante la colluttazione dal cantoniere stradale Carmine Ronza.

Raffaela Raimondi aveva sentito uno sparo e visto consegnare ad un altro una pistola ed allontanarsi in bicicletta verso Frignano dicendo: ”Mi sono levata una palla dallo stomaco”. 

Il Ronza  dapprima negò ripetutamente, anche in confronto con il Gordon, di aver presa la pistola del Raimondi ed anzi  perfino di essere stato presente all’omicidio. Successivamente però finì per ammettere che uscendo dalla cantina aveva visto il Gordon e il Raimondi che percorrevano via Consortile l’uno incontro all’altro e precisamente il primo in direzione di Frignano e il secondo in direzione di Trentola, ed entrambi con una mano in tasca; che i due, giunti a breve distanza avevano estratto le armi (e cioè il Raimondi una pistola  e il Gordon probabilmente un coltello) e si erano  afferrati colluttando; che esso Ronza aveva disarmato durante la colluttazione, con l’ausilio di due napoletani, il Raimondi e  per  timore di responsabilità aveva nascosto la pistola sotterrandola in un fondo di una sua sorella. Detta pistola  (a rotazione, calibro 8, carica di quattro colpi e di un quinto colpo rimasto esploso) fu rinvenuta dai carabinieri nel luogo indicato.

E sulle modalità dell’omicidio furono escussi anche Alfonso Borzacchiello, Raffaele Diomaaiuto, e Raffaele Raimondi,  nipote del defunto. Il Borzacchiello dichiarò che, passando su un motociclo davanti alla cantina, aveva sentito commentare l’incidente verificatosi per il morso della cagna ed intuendo che tra i due litiganti che in quel momento percorreva la via Consortile l’uno di fronte all’altro, poteva riaccendersi la lite, si era trattenuto sul posto. Mentre girava il motociclo aveva sentito un colpo di pistola e, volto lo sguardo in direzione di Frignano, aveva visto i due avversari che colluttavano prima in piedi poi a terra. Indi il Gordon si era alzato ed era fuggito; sul posto egli aveva rinvenuto, presso il Raimondi, che era rimasto gravemente ferito,  il coltello che aveva poi consegnato al Verdino.

Raffaele Diomaiuto riferì invece che il Raimondi  aveva estratto la pistola e sparato il colpo quando era giunta 4/5 metri dal Gordon e che poi questi, impugnando il coltello si era lanciato contro il  Raimondi. Raffaela Raimondi affermò a sua volta che, mentre percorreva la via Consortile al ritorno da Parete ove era stata  a vendere ortaggi, aveva sentito uno sparo e visto che a circa 30 metri  due uomini colluttare a terra tra i binari e poi uno di essi alzarsi, consegnare ad un altro una pistola ed allontanarsi in bicicletta verso Frignano dicendo: ”Mi sono levata una palla dallo stomaco”.

Furono sentiti altresì Giovanna De Marco, gestrice della cantina, suo marito Salvatore Diomaiuto; la moglie dell’ucciso Carmela Zaccariello domestica di detto locale e  Michelangelo De Cristofaro.

A detta della De Marco, dopo che il Gordon ed il Raimondi litigarono nella cantina essa fu colta da crisi isterica per cui non ci rese conto di ciò che si verificò in seguito. Secondo  Salvatore Diomaiuto, il Gordon frequentava la cantina perché acquistava da lui partite di vino che egli in qualità di mediatore gli procurava, ma quando il predetto ritornò nel locale poco prima dell’omicidio egli lo aveva mandato via perché aveva appreso incidente avvenuto con il Raimondi.

La  Zaccariello da parte sua dichiarò che durante l’incidente originato dal morso della cagna suo marito si era limitato a rispondere al Gordon, dal quale era stato colpito con pugni e schiaffi, con la frase riferita dal Verdino; che indi si erano allontanati, prima il Gordon e  poi, dopo circa un quarto d’ora, suo marito; che successivamente il Gordon era ritornato alla cantina (allora indossava pantaloni bleu e cioè i pantaloni diversi da quelli lacerati della cagna che erano grigi) ed era stato rimproverato e mandato via da Salvatore Diomaiuto , che pochi istanti dopo, sentendo gridare, essa Zaccariello si era affacciata dalla cantina ed aveva visto il Gordon che si azzuffava con suo marito a terra tra i binari; che indi il Gordon era fuggito e suo marito era stato soccorso e trasportato in fin di vita a casa sua. Il Michelangelo De Cristafaro infine confermò che il Gordon aveva percosso il Raimondo perché era stato addentato dalla cagna del medesimo con la quale entrambi “scherzavano”.

Il processo – la scoperta della relazione clandestina tra l’assassino e la moglie della vittima – La Corte: ” deve respingersi la tesi dei difensori del Gordon che costui commise l’omicidio in stato di legittima difesa”.

Nel corso del dibattimento emerse il vero movente del delitto. Non i fumi dell’alcool, né l’aver aizzato la cagna contro la vittima, né la concorrenza ed il commercio del vino all’ingrosso: era stata una questione di corna! I carabinieri, infatti, avevano informato con regolare rapporto la magistratura che vi era una relazione (allora si diceva illecita) “adulterina” tra la bella e prosperosa Carmela Zaccariello, cameriera della bettola e moglie della vittima e l’assassino. A nulla valse, però il negare da parte del Gordon della sua relazione con la donna.

A seguito di tali risultanze si iniziò il procedimento penale a carico di Emilio Gordon per i reati di  omicidio volontario gravato per la premeditazione e per il motivo futile e di porto di coltello di genere vietato ed  a carico di Carmine Ronza di favoreggiamento personale. L’esame autopsico accertò che il Raimondi aveva riportato  escoriazioni da unghiate al viso e quattro ferite da punta e taglio,  di cui una all’antibraccio sinistro interessante soli i comuni tegumenti ed il sottocutaneo,  e altri tre, penetranti  in cavità, all’emitorace sinistro, e precisamente sul capezzolo, a livello della 10ª costola lungo l’ascellare media e al livello della sesta costola tra l’ascellare media e quella anteriore; che il decesso era stato determinato da emorragia derivata dalla precisione del bulbo aortico; (che al momento in cui furono inferti  i colpì l’uccisero e l’ucciso erano di fronte e verosimilmente  in piedi.

Venne eseguita anche l’ispezione della località ed una perizia ematologica affidata dal giudice istruttore Camillo Grizzuti al prof. Aldo Mele dell’Università di Napoli, che accertava la presenza di sangue sul coltello repertato;  ed una perizia balistica, affidata al tenente colonnello Giuseppe Cateno Brundo, che concluse che la pistola repertata era efficiente e che dalla stessa era stato sparato un colpo al quale si apparteneva il bossolo rinvenuto.  Il Gordon, interrogato con mandato di cattura, ripeteva la versione fornita ai carabinieri e precisava  che tra lui e il Raimondi, entrambi frequentatori della cantina della De Marco, non vi era stato mai alcun litigio  o motivo di dissidio; che non era vero che egli se la intendesse con la Zaccariello; che egli era ritornato dopo il primo incidente nella cantina benché non avesse alcun motivo specifico per ritornarvi; che portava il coltello perché aiutavo sua moglie, che gestisce una cantina in Aversa,  nel suo lavoro; che aveva incontrato di nuovo il Raimondi  in via Consortile mentre andava  a piedi e portava la bicicletta con una mano.

Il fatto di sangue per cui è processo  – chiarirono i magistrati della Corte di Assise – trasse indubbiamente origine dall’incidente verificatosi circa mezz’ora prima nella cantina  di Giovanna De Marco tra l’imputato e la vittima.

Si trattò di un incidente sorto improvvisamente. Mentre Vincenzo Raimondi che teneva con sé una sua cagnetta, si accingeva a lasciare la cantina per recarsi in compagnia del teste Bernardo Verdino a Villa Literno, ove doveva assistere in qualità di mediatore all’acquisto di una mucca da parte del Verdino, fece ingresso nel locale Emilio Gordon.

Ed il Raimondi ed il Gordon presero  entrambi a scherzare con l’animale, il primo aizzandolo a prendere il berretto del secondo  e quest’ultimo allontanandolo con le mani e con i calci, come lasciano intendere il Verdini e gli altri testi che assistettero all’episodio (Carmela Zaccariello e Michelangelo De Cristofaro)

Se non che la cagna dette un morso al Gordon ad una gamba ed il predetto se l’ebbe a male ed attribuendo evidentemente la responsabilità dell’accaduto al Raimondi percosse lo stesso con schiaffi e pugni ferendolo al viso.

Invero il Raimondi si recò a casa sua,  poi si addentrò nella campagna e infine ritornò verso la cantina e tali sue mosse non possono spiegarsi se non con lo scopo di procurarsi la pistola che di lì a poco impugnò nello scontro finale e di porsi alla ricerca del Gordon, dovendo in particolare escludersi che gli avrebbe  avuto bisogno di andare a casa per medicarsi le ferite”.

In definitiva furono  condannati con sentenza del 10 ottobre del 1959 dalla Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere, (Presidente, Eduardo Cilento; giudice a latere consigliere, Guido Tavassi; giudici popolari: Domenico Malorni, Almerinda Fusaro, Giuseppa Colla, Vitaliano Petrillo, Amleto Guerino e Elio Crocco ; pubblico ministero, Nicola Damiani) ad anni 30 il Gordon e ad anni 2 il Ronza. In sede di appello  con la concessione delle attenuanti generiche il Gordon venne condannato a 22 anni ed il Ronza fu assolto “per insufficienza di prove”. Gli avvocati impegnati furono: Ciro Maffuccini, Carlo Cipullo, Guido Cortese, Alberto Gasparrini, Francesco Lugnano, Giuseppe Marrocco e Ettore Botti.

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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