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Genova. Crollo del ponte ‘Morandi’: sospetti trasferimenti milionari da parte dell’ex ‘AD’ di Autostrade Giovanni Castellucci

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Ponte Morandi:“Castellucci spostò all’estero 7 milioni di buonuscita Aspi”- La SOS di BankItalia- “due versamenti in Lussemburgo”.

Primavera 2021. Mentre l’inchiesta sul crollo del Ponte Morandi volge alla conclusione, la Procura di Genova nota un certo fermento finanziario da parte dei principali indagati. L’ex amministratore delegato della società concessionaria Autostrade per l’Italia, Giovanni Castellucci comincia a spostare denaro tra Italia e Lussemburgo.

Queste operazioni vengono segnalate dalle autorità antiriciclaggio di Banca d’Italia. E non sono le uniche oggetto di attenzione.

Nel mirino dei magistrati finiscono anche altri movimenti, che in alcuni casi riguardano fedelissimi di Castellucci: c’è chi viene trovato insieme alla moglie da cui in teoria avrebbe divorziato e chi pensa a intestare tutto ai figli.

Il sospetto degli inquirenti è che queste manovre possano nascondere tentativi di mettere al sicuro i capitali da possibili future azioni giudiziarie, nel caso in cui i processi dovessero mettersi male.

Nel disastro di Genova, il 14 agosto del 2018, hanno perso la vita 43 persone. Aspi ha già patteggiato una pena amministrativa da 30 milioni di euro. Ma il processo per quei fatti si annuncia lungo e costosissimo.

I danni alla città sono incalcolabili. All’orizzonte si profilano azioni civili milionarie e un procedimento aperto dalla Corte dei Conti per il danno erariale legato ai costi della macchina dell’emergenza e dei successivi aggravi per le casse pubbliche. Ecco perché l’attivismo patrimoniale di alcuni indagati attira l’attenzione degli inquirenti su un interrogativo: chi pagherà il conto alla fine di questa vicenda

Gli accertamenti nascono da due Segnalazioni di operazioni sospette (Sos) di Bankitalia. Riguardano Castellucci, indagato sia nel filone per i 43 morti di Genova che nel fascicolo bis sulla manutenzione scadente della rete (viadotti, gallerie e barriere fonoassorbenti). In quest’ultimo filone il manager marchigiano è accusato di tentata truffa e frode contrattuale, ipotesi legata a richieste di rimborso per lavori mai avvenuti.

L’uomo che per quindici anni ha deciso i destini della più grande concessionaria autostradale italiana viene costretto a lasciare la guida della holding Atlantia nel settembre del 2019, a seguito delle prime indiscrezioni giudiziarie. Se ne va dalla società dei Benetton con una buonuscita d’oro: 13 milioni di euro, che gli vengono consegnati in diverse tranche.

In concomitanza con i primi pagamenti, rilevano le autorità di vigilanza, nel 2020 Castellucci apre un conto in Lussemburgo, in cui trasferisce dall’Italia 7 milioni di euro, in due diversi versamenti. Questi soldi confluiranno in una polizza del valore di una decina di milioni di euro, al centro dell’attenzione degli investigatori.

Nello stesso anno si abbatte su di lui una nuova tegola giudiziaria: nel novembre del 2020 viene arrestato nell’ambito dell’inchiesta sulle barriere anti-rumore difettose (“attaccate con il Vinavil”). Nell’arco del 2021 uno degli operatori finanziari coinvolti segnala un secondo movimento: quello che per gli investigatori potrebbe preludere a un trasferimento di quei fondi ai familiari.

Per cinque giorni l’operazione viene sospesa, in attesa del vaglio dell’autorità giudiziaria. La Procura, informata dalla Guardia di Finanza, valuta diverse iniziative. Viene escluso il sequestro preventivo: non ci sono illeciti a monte di quelle operazioni finanziarie che potrebbero portare a formulare un’ipotesi di riciclaggio.

La frode in pubbliche forniture, reato di cui è accusato Castellucci nel fascicolo bis, entra a far parte dei reati che possono giustificare un sequestro preventivo in data successiva alle indagini di Genova. Rimane un’altra possibilità, che viene discussa dal pool che indaga sul disastro: un sequestro conservativo, mirato cioè a tutelare la possibilità dello Stato di rivalersi su imputati che dovessero essere condannati.

L’ipotesi, considerata in un vertice in Procura, alla fine viene fatta cadere. In quegli spostamenti di denaro il pm Massimo Terrile non ravvisa reati che possano giustificare un sequestro. A pesare nella valutazione sarebbe il quadro patrimoniale di Castellucci, che ha altri beni intestati. Ma ci sono altri nomi monitorati dalla Finanza, una decina di persone i cui spostamenti finanziari e immobiliari sono stati oggetto di interesse investigativo.

Nell’autunno del 2020 insieme a Castellucci viene arrestato anche un suo fedelissimo, Michele Donferri Mitelli, ex capo delle manutenzioni di Autostrade per l’Italia. Donferri è una figura centrale in tutte le inchieste nate dal collasso del viadotto. Sulla carta si è separato dalla moglie, ma i finanzieri, la mattina del blitz, li trovano nella stessa casa.

Un elemento che fa sospettare gli inquirenti che la separazione possa essere un escamotage per liberarsi delle proprietà in vista della tempesta giudiziaria in arrivo da Genova. In quel periodo, secondo i pm, Donferri, licenziato da Autostrade, ha continuato a lavorare per un fornitore di Aspi, ma in nero, cosa che gli ha consentito di percepire l’indennità di disoccupazione.

Un terzo indagato, Paolo Berti, supervisore di Donferri, spiega le sue intenzioni in una telefonata intercettata con il collega Mirko Nanni: “Ho intestato tutto ai miei figli”. È l’11 gennaio 2019 e Berti, condannato in primo grado a 5 anni per la strage di Avellino (40 morti nell’incidente del bus sul viadotto Acqualonga), è amareggiato per il trattamento ricevuto dai vertici di Autostrade. In un’altra chiamata Donferri prova a rincuorarlo: “40 morti de là e 43 de quàstamo tutti sulla stessa barca…”.

Berti lascia intendere di aver mentito per proteggere Castellucci (imputato e assolto nel processo di Avellino): “Mi deve dare delle risposte, ha capito che non può non darmele perché in appello rischia. Basta una mia parola e può essere coinvolto di nuovo…”.

L’interlocutore in questo caso è ancora Nanni, direttore di tronco di Genova, lo stesso ruolo che Berti ricopriva all’epoca della tragedia di Avellino: “Che lavoro di merda facciamo io e te (…) come dice Gianni, io devo pensarlo… a non intestarmi la casa a me… perché c’ho il terrore che un domani…”.

Contrariamente a Castellucci, Berti e Donferri, Nanni è ancora in Aspi.

Nel fascicolo bis è indagato per omissione d’atti d’ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti, inadempimento di contratto di pubbliche forniture.

 

(DI MARCO GRASSO – Fonti: Fatto Quotidiano – Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

 

 

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