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Ammazzato in Somalia da Al Shabaab: ‘Mio fratello Hashi, ucciso (forse) per quei 3 milioni’

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Recluso per 17 anni, condannato per l’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin,

fu scagionato dall’inchiesta dell’inviata di “Chi l’ha visto?”.
Aveva fatto costruire un pozzo in un villaggio in Africa, Hashi Omar Hassan. Voleva aiutare gli altri con i soldi ricevuti come risarcimento per l’errore giudiziario che l’aveva costretto in carcere per 17 anni, da innocente. “Gli anziani hanno pianto di gioia quando hanno visto l’acqua affiorare dalla loro terra” aveva confidato agli amici più cari. “Prima dovevano camminare più di 15 ore per trovarla”. E poi, orgoglioso, aveva inviato il video di quella festa gioiosa fatta in suo onore per il nuovo pozzo nel villaggio.

Chissàse gli fa piacere che si racconti questo aneddoto. Perché Hashi era così. Timido. Riservato. Generoso. E buono. Perdonate la retorica, ma Hashi era davvero un gigante buono. Portato in Italia per testimoniare davanti a una commissione di inchiesta su presunti abusi subiti dal nostro esercito in Somalia, nei primi anni ’90, in poche ore il giovane – allora aveva 20 anni – da vittima era diventato carnefice. Accusato ingiustamente, processato e condannato con un’accusa infamante. Aver ucciso i nostri colleghi, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Ma Hashi Omar Hassan era innocente e la prima a credere nella sua innocenza è stata Luciana Alpi, la madre di Ilaria. Lui la chiamava “mamma”. Io ero sua “sorella”.

Quando ieri mattina mi hanno telefonato da Mogadiscio, per dirmi che una bomba nella sua automobile l’aveva ucciso, sono rimasta senza fiato. Poi ho visto le foto dell’attentato, il sacchetto di plastica, le cuffie, il caricatore di un cellulare. Sembrava di tornare indietro di 28 anni: i vetri rotti, il sangue, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin senza vita nel loro pick up. Ma in quell’automobile, ieri, non c’erano Ilaria e Miran. C’era lui, l’uomo accusato di averli uccisi. E pensare che non era nemmeno a Mogadiscio il 20 marzo del 1994.

Nemmeno ieri mattina avrebbe dovuto essere in città. Ci era tornato di fretta, da Gibuti, perché le condizioni di salute di sua madre si erano aggravate, così mi racconta un suo amico. Non c’è ancora nulla di certo nella dinamica dell’attentato. Fonti somale parlano di una bomba posizionata sotto la sua automobile e spiegano che il modello su cui viaggiava Hashi Omar Hassan è di solito utilizzato dagli uomini di governo. “Forse – ci spiegano – i terroristi di al Shabaab pensavano di colpire un esponente di Stato”. Ma è solo un’ipotesi. Così come un’ipotesi è quella avanzata da uno degli avvocati di Hashi Omar Hassan, Antonino Moriconi: “Sono stati i terroristi islamici, lo hanno ammazzato a scopo di estorsione. Sono persone in cerca di soldi per fare gli attentati e se non sei d’accordo ti uccidono. E il denaro lui ce l’aveva per il carcere patito in Italia”.

Tre milioni di euro, il risarcimento per avergli sottratto la vita. Quella vita che dopo l’assoluzione – nel 2016, a 42 anni – Hashi ha cercato di riprendersi. Si è trasferito in Svezia, perché lì viveva parte della sua famiglia, ha conosciuto una donna, l’ha sposata e ha avuto una figlia, Magda. Il nome è quello di una volontaria della casa di accoglienza “Piccoli Passi” di Limena (Padova), una donna che negli ultimi anni di carcere era diventata il suo punto di riferimento. Era il suo modo per dirle grazie. I primi dieci anni Hashi li ha passati in isolamento diurno nelle carceri più dure, prima Rebibbia, poi Sulmona, Biella. Accanto ai mafiosi, senza conoscere – allora – una parola di italiano. Ma non si è mai perso d’animo. Ha letto, ha studiato, guardava i tg e i programmi di approfondimento. Lasciavano davvero senza parole la sua curiosità genuina e la mancanza di odio nei confronti di chi l’aveva tradito. Di chi l’aveva venduto.

Quando l’ho incontrato la prima volta, due settimane dopo l’intervista ad Ahmed Ali Rage detto Gelle (l’uomo che l’ha ingiustamente accusato del duplice omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin) gli era stato dato un permesso premio. Aveva una risata contagiosa. “Come hai resistito, Hashi, tutti questi anni?”. “Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato qualcuno a raccontare la verità – mi ha risposto –, a dire che sono innocente”.

Il resto è cronaca. Il processo di revisione, l’assoluzione, l’abbraccio nell’aula del tribunale di Perugia dopo che il giudice del riesame l’ha assolto per non aver commesso il fatto. Quella stessa sera, il 19 ottobre 2016, è venuto nel nostro studio, a Chi l’ha visto?. E appena ha visto Federica Sciarelli l’ha stretta forte. “Grazie Federica. Grazie” ripeteva. “Non potevo morire in carcere”.

È morto a 48 anni, in un attentato a Mogadiscio, su un’automobile. Proprio come Ilaria e Miran. Ventotto anni dopo.

 

(Chiara Cazzaniga (giornalista Rai Chi l’ha visto? dal 2013)– Fonti: Il Fatto Quotidiano – Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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