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Il carcere fabbrica criminali? Si deve, ABOLIRE!!!

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di Vladimiro Zagrebelsky

La Stampa, 2 luglio 2022

La pandemia ha aggravato una situazione già esplosiva rendendo urgente l’adozione di nuove misure Cambiamenti capaci di soddisfare sia la domanda di giustizia dei cittadini che la dignità del condannato.

Va preso con giudizio un titolo come quello dato, anche in questa sua seconda edizione, al libro di Luigi Manconi, Stefano Anastasia, Valentina Calderone e Federica Resta, Abolire il carcere. Anche perché, non ostante le immediate apparenze, gli stessi autori lo accompagnano unendovi l’indicazione che si tratta di “Una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini”. Le tesi degli autori sono le stesse della edizione precedente, ma questa è sviluppata e aggiornata anche tenendo conto dell’esperienza maturata durante la pandemia da Covid-19 e del ritorno del sovraffollamento.

Il carcere abolito viene sostituito da quale altra reazione pubblica al reato (per evitare quella vendicativa privata)? Storicamente la pena del carcere è stata sviluppata per rinunciare ai supplizi e alla pena di morte ed ottenere l’accettazione da parte di una opinione pubblica spesso feroce e di un ceto politico reticente. Successivamente la progressiva generale umanizzazione e la crescente insofferenza verso la crudeltà e la violenza hanno comportato l’attenuazione della originaria, intenzionale durezza del carcere. Così, almeno in linea di principio, il carcere ha visto la tendenziale sua limitazione alla sola restrizione della libertà. E si pensa che in tal modo il carcere sarebbe pena egualitaria perché egualmente penosa per tutti.

Dovrebbe trattarsi di un’afflittività ridotta al minimo necessario, rispetto alla finalità che si assegna alla sanzione penale. Però il carcere non ha solo una funzione punitiva. Ad essa si aggiunge quella della segregazione, della esclusione dalla società libera. E se l’aspetto punitivo può astrattamente riguardare in modo eguale tutti e ciascuno dei condannati, non così la segretazione. Poiché la pericolosità sociale è diversa, in considerazione sia del tipo di reato commesso e magari reiterato, sia della personalità del reo. Si comprende allora come si sia instaurato un sistema di esecuzione della pena in carcere per circuiti differenziati: diversi essenzialmente per il grado di segregazione imposta al detenuto (rispetto all’esterno e all’interno del carcere).

Il titolo-bandiera, che schiera gli autori su un fronte radicale di abolizione del carcere, vede bene quindi l’aggiunta che vi è unita, con menzione della ragionevolezza e della cura per la sicurezza dei cittadini. Una aggiunta che invita non solo alla lettura, ma anche alla seria considerazione delle alternative proposte.

Si tratta di alternative che possono sostituire il carcere in molta parte del suo odierno utilizzo e così offrire la possibilità di limitare un istituto, quello del carcere, che presenta tanti aspetti di inumanità e di contraddizione rispetto alla finalità che la Costituzione gli assegna di tendere alla rieducazione del condannato (almeno nel senso minimale di contrastare la recidiva). Sulla realizzabilità del tendenziale scopo costituzionale della pena e in modo particolare di quella detentiva in carcere, il volume si dimostra complessivamente più che scettico. La detenzione in carcere infatti appare criminogena. Anziché rieducare predispone alla recidiva, senza rimedio.

A questo proposito, nel suo “Senza sbarre. Storia di un carcere aperto” (Einaudi, Torino, 2022), va in controtendenza l’esperienza che espone Cosima Buccoliero, che ora dirige il carcere di Torino dopo aver diretto quello modello di Bollate. Ma quell’esperienza conferma la necessità di distinguere nell’ambito della popolazione carceraria e considerare che proprio quella che è stata ammessa all’esperienza “aperta” di Bollate ha vissuto un “carcere non carcere” (almeno nel senso che alla parola va data se ci si riferisce alla generalità delle carceri).

Si pone allora la necessità di distinguere: riconoscere la negatività della reclusione in carcere per farne un uso residuale quando ogni altra sanzione penale sia inutilizzabile, essenzialmente in vista dello scopo che lo Stato deve perseguire di assicurare la sicurezza. La ben giustificata reazione che determina la violenza esercitata nei confronti delle donne, mogli o compagne, nei casi in cui essa era preannunciata, indica da un lato l’astrattezza di un programma di abolizione del carcere e dall’altro la sua improponibilità politica e sociale.

L’elenco delle possibili alternative all’attuale previsione della pena della reclusione in carcere è ampio nel libro. Si tratta di soluzioni che non pretendono di essere una novità, poiché da tempo molte di esse sono studiate dagli esperti studiosi del diritto penale e penitenziario. Recentemente diverse di esse (quella pecuniaria, in particolare, da rendere effettiva) sono state proposte dalla Commissione ministeriale presieduta da Giorgio Lattanzi, parzialmente accolte nella legge di riforma del processo penale. Ma si tratta di una legge delega, il cui pieno sviluppo è ora nelle mani del governo che deve attuarla.

 

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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