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I veri vincitori di Waterloo (prima parte)

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È stata una casata determinante nel mondo delle finanze, europee prima e mondiali poi. Tedesca, di origine ebraica, si divise in due rami, senza mai separarsi, uno asburgico e l’altro britannico, elevati entrambi alla nobiltà, per il potere finanziario che, dal nulla, riuscirono, nei secoli, a costruire, ad ingigantire ed a mantenere, fino ai nostri giorni.
Con un decreto, denominato “Bloc Continental” e promulgato a Berlino il 27 novembre 1806, Napoleone Bonaparte aveva proibito l’ingresso sul continente a tutte le merci di fabbricazione inglese o, comunque, provenienti dall’Inghilterra. I prezzi del cotone e dei suoi derivati, delle materie coloranti, dello zucchero di canna, del tabacco, dei coloniali in genere, ebbero un’immediata impennata in tutta Europa. Disporre di simili prodotti avrebbe garantito la matematica certezza di guadagni immediati ed altissimi. Quella famiglia tedesca, che dedicava ormai la maggior parte del suo tempo ad imprese di natura finanziaria, pur non avendo del tutto abbandonato le redditizie attività commerciali, non si lasciò sfuggire una siffatta occasione.
Nathan, nato a Francoforte nel 1778, figlio di Meyer Amschel Rothschild (1744-1812), fondatore della stirpe, si era traferito a Manchester nel 1797 ed un anno dopo era divenuto cittadino britannico. Nonostante il blocco continentale dichiarato dal Bonaparte, aveva iniziato ad inviare manufatti inglesi nella sua città natale, perfezionando una remunerativa attività bancaria. Da Londra, si incaricava di spedire le merci rare sul continente, lasciando ai fratelli, rimasti in Germania, il gravoso compito di provvedere alle operazioni di sbarco, di alienazione e di smistamento. Tutti i maggiori porti del nord erano sottoposti ad un rigidissimo controllo e le coste, per quanto possibile, costantemente sorvegliate. Nonostante ciò, molti faccendieri, tra cui i Rothschild, riuscivano spesso a cavarsela, in un modo o nell’altro. Il tentativo primario era quello di eludere la sorveglianza, tentativo che, una volta fallito, si indirizzava, con risultati quasi sempre positivi, alla corruzione dei guardiani. Da parte sua, in tutto ciò, il vecchio Meyer Amschel non rimase di certo inoperoso. Si propose, con argomenti assai più solidi delle proprie notevoli capacità dialettiche, di conquistare i favori di Karl Theodor Dalberg, Arcivescovo di Magonza, nominato, nel 1806 dal Bonaparte in persona, Principe Primate della neonata “Confederazione del Reno”, con sede proprio a Francoforte, che comprendeva un buon numero di stati e staterelli della Germania sud occidentale. Minacce, perquisizioni, arresti, ingenti versamenti di somme di denaro, valsero ben poco. Le autorità francesi finivano, sempre, per trovarsi con un pugno di mosche tra le mani, specialmente quando cercavano prove o merci, dell’illegale traffico dei Rothschild. Costoro, con Dalberg amico e protettore, non avevano nulla da temere. In cambio, solo un “piccolo riconoscimento” per le sue “benemerenze”, un prestito, cioè di 8.000 fiorini, al bassissimo tasso di interesse del 5%. Riconoscimento, che il presule ottenne alla vigilia della sua partenza per Parigi, nel marzo 1811, in occasione del battesimo di Napoleone Francesco Giuseppe Carlo Bonaparte, figlio dell’Imperatore e di Maria Luisa d’Austria, e (già) Re di Roma. Con l’aggiunta di un’estemporanea richiesta, apparentemente modesta: un passaporto, per la Francia, al più giovane dei figli, James Rothschild. Sorprendente la “coincidenza” che, il momento nel quale il diciannovenne banchiere tedesco metteva piede in Francia, dove rimase praticamente fino alla fine dei suoi giorni, seguiva di poco l’emanazione, 5 giugno 1810, di un nuovo decreto, con il quale veniva permesso l’ingresso nell’impero di metalli preziosi, in cambio dell’esportazione di prodotti francesi, sia pure attraverso un sistema di licenze, che permetteva un attento controllo delle transazioni. Gli scambi commerciali, tra Francia ed Inghilterra, si concentrarono, di fatto, tutti nel porto francese di Gravelines, cioè nel punto più stretto del Canale della Manica. E fu in quella località che, nei primi mesi del 1811, fece la sua comparsa James, sconosciuto a tutti, anche se solo per poco, ma non di certo passato inosservato. Questi, secondo una lettera del Ministro del Tesoro, François Nicolas Mollien, a Napoleone, scritta il 26 marzo 1811, “era occupato…..in modo principale a far giungere ghinee dalla costa inglese a Dunkerque…..in un solo mese egli ne ha fatte passare circa 100.000, pari a 2.400.000 franchi. Egli è in rapporto con alcune grosse case bancarie parigine, quali la Mailet, la Charles Davillier e la Hottinguer, che gli trasmettono in cambio tratte su Londra….”.
Il significato reale di tali operazioni era chiaro. Nonostante l’immediata e ritorsiva proibizione, da parte del governo di Sua Maestà britannica di esportare oro, a partire dalle ultime settimane del 1806, un’ingente quantità del prezioso metallo, era fuoriuscito dalla terra di Albione. Nathan Rothschild si era andato, man mano, fortemente interessando ad un tale traffico, soprattutto perché l’allegra compagnia era piuttosto nutrita e non reputava intelligente rimanerne escluso. L’oro veniva spedito a James, che lo riceveva con ogni mezzo, sia a Gravelines, che a Dunkerque, girandolo subito ad alcuni banchieri parigini, per la conversione in titoli di credito su Londra, titoli che poi inviava a Nathan, già negoziati e ad un cambio bassissimo: 17 franchi per una sterlina, quando inizialmente, per l’affare, di franchi ne occorrevano 25. Ne scaturì che numerosi capitalisti francesi, e non solo, volevano rientrare in possesso delle somme già investite oltre Manica, ma erano anche disposti a rimetterci sul cambio, piuttosto che rischiare l’intero capitale. Molto probabilmente, Bonaparte ed i suoi consiglieri, avevano sicuramente pensato di dissanguare, così, l’eterna nemica, assottigliandone le risorse auree, ma di certo i Rothschild, dalle due sponde, non ridussero davvero il loro patrimonio. Anche se qualche storico attribuì a tutto ciò lo smisurato arricchimento della famiglia, di gran lunga più consistenti furono sicuramente i guadagni realizzati, a seguito della fuga, dall’Assia-Kassel, di Guglielmo IX, suo Langravio (titolo, dalle origini medioevali, attribuito direttamente dall’imperatore). In quella regione erano presenti, sia i Rothschild che Carl Friedrich Buderus, loro amico, ma ancora confidente di Guglielmo. Una parte delle di lui ricchezze, titoli, gioielli, pietre preziose, denaro, per una contorta serie di avvenimenti, era caduta nelle mani del senatore francese Joseph-Louis Lagrange, nato Giuseppe Luigi Lagrangia e torinese, il quale tuttavia aveva ritenuto opportuno, contro il corrispettivo di un milione di franchi, entrato nelle sue personali tasche, restituire il tutto a Buderus, piuttosto che versarlo nelle casse napoleoniche. Ma non fu solamente con quella disponibilità di denaro, che Meyer Amschel costruì la sua fortuna e quella dei suoi figli. Vi fu dell’altro. Il vecchio Rothschild ebbe in consegna solo una parte di titoli e di preziosi. Le sue mire andavano ben oltre e riguardavano il grosso del patrimonio del Langravio d’Assia-Kassel, complessivamente di 21 milioni di talleri (circa 30 milioni di fiorini), che era impegnato, per oltre l’80%, in prestiti concessi a varie corti tedesche e, in parte più modesta, all’Inghilterra. Napoleone aveva dichiarato titolare di quella colossale somma, il Ministero delle Finanze, che immediatamente incominciò a minacciare tutti i princìpi ed i potenti, affinché la restituissero allo Stato. Mollien ricorse ad ogni tipo di espediente, dalle intimidazioni alle offerte di più facili condizioni di pagamento e persino di scontare parte dei debiti, nel tentativo di impadronirsene nuovamente, ma furono tutte fatiche sprecate. I giovani Rothschild, Kalmann e Solomon, con le loro veloci carrozze, con un organizzato sistema di comunicazioni e con una fitta rete di conoscenze già vantate, cominciarono a versare il dovuto a Guglielmo IX, il quale, ancora una volta, si era fatto convincere, dal confidente Bulderus, a fidarsi. Risultava tuttavia difficile stabilire la destinazione di tanto denaro. Non solo perché mandarlo in giro per l’Europa era estremamente rischioso, sotto ogni punto di vista, ma anche perché conservarlo presso la corte del Langravio, in esilio a Praga, poteva esserlo ancor più, in caso di nuove vittorie napoleoniche. Lentamente si fece strada una “buona idea”, partita dalla mente di Nathan, ma fatta arrivare alle orecchie del diffidente Gugliemo IX dalla voce dell’insospettabile Buderus. L’unica soluzione possibile, per evitare ogni rischio, era quella di allontanare la somma dal continente ed i Rothschild erano lì per questo.

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