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Verso la S. Pasqua. I riti equinoziali di resurrezione illustrati da Guglielmo Di Burra

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L’uomo primitivo sottoposto agli apparenti capricci della natura per spiegarne i motivi li investì di una matrice divina, espressione di benevolenza o collera di un essere superiore.

I RITI EQUINOZIALI DI RESURREZIONE
(di Guglielmo di Burra)

Albercht Durer – “La Resurrezione” (1510)

Col suo evolversi da cacciatore ad agricoltore, le iniziali capacità di osservazione dell’uomo primitivo iniziarono a mettere in relazione il susseguirsi dei periodi di stasi invernale della vegetazione ed il rigoglio estivo con il ciclo periodico dell’astro più luminoso, il sole, e della luna; ne accomunò, quindi, il ritmo preciso ed ineluttabile degli esseri: nascita, crescita e morte, così come la vegetazione, dopo il buio e il freddo invernali, rinasce a nuova vita, così come il sole e la luna ricompaiono all’inizio dei loro cicli in un eterno alternarsi di nascita morte e resurrezione.

Anche la vita dell’uomo fu allora associata a quella del mondo vegetale e, come questa, presentava i suoi momenti con cicli di nascita e morte. La resurrezione risultava attributo limitato solo ad alcuni esseri: gli Iniziati, che venivano identificati negli antichi culti agrari con le Divinità della vegetazione e, come essa, morivano per poi risorgere gloriosamente in una seconda nascita.

Il passaggio dalla concezione primitiva a questa seconda, è tipica delle Società Iniziatiche e rappresenta appunto le tre fasi della vita, della morte e della resurrezione.

Voglio ricordare in particolare, uno per tutti, il rito di iniziazione ai Misteri che si svolgeva nell’Egitto dinastico.

L’aspirante, dopo aver superato le sofferenze legate alle prove della terra, dell’acqua, del vento e del fuoco (i quattro elementi naturali da cui trae origine ogni sostanza di cui è composta la materia), tese a distruggere ogni suo legame con il mondo materiale, veniva immerso in trance profonda tramite cui passava nel mondo astrale a lottare contro la morte ed i poteri delle tenebre.

Per tre giorni restava inerte, spesso deposto nell’incavo di una grande croce di legno, simbolo contemporaneamente di morte e di “porta” alla vita. Portato al mattino del quarto giorno alla porta del tempio, veniva adagiato col viso rivolto verso oriente, così che il primo raggio del sole, simbolo dell’avvenuta illuminazione del suo animo, lo colpisse al viso e lo rianimasse. In tal modo egli risorgeva dalla morte.

Per risvegliare il candidato dalla “morte della materia” occorreva l’intervento di tutto il creato; le forze maschie dovevano essere integrate dalla dolcezza femminea; oltre al potere vivificante, occorreva la persuasione ed il dolore della madre; l’ardore solare doveva essere mitigato dal fioco chiarore lunare; i due opposti dovevano incontrarsi ed annullarsi, perché il nuovo essere che doveva nascere doveva riunirli in sé entrambi, per divenire completo e perfetto.

E’ il susseguirsi delle cerimonie iniziatiche che ha dato origine alle pratiche simboliche commemorate nell’equinozio di primavera: è la storia del progresso dell’animo, del suo trionfo sulla materia, ripetuto in ogni tempo sino a cristallizzarsi in miti concernenti la morte, il seppellimento e la resurrezione al terzo giorno di un giusto, un dio che, pur simboleggiando realtà cosmiche e cicliche, ricevono conferma dalla morte e dalla rinascita nella purezza realizzata nelle cerimonie di iniziazione.
Il tema di un essere divino che muore per risorgere salvifico dell’umanità, è alla base di molte religioni.

Nell’Egitto classico, Osiride è il dio della vegetazione, legato alla fecondità della Madre Terra, incarnazione dello “spirito del grano”, delle spighe che rinascono ogni anno, simbolo della divinità risorta. Ucciso dal malvagio Tifone, il serpente del male, i morti dormono in lui, è giudice delle anime, risuscita dopo tre giorni per sconfiggere l’eterno nemico.

Il babilonese Tammuz divenne in tutto il medio oriente il dio della morte e della resurrezione; chiamato Adon, Signore, penetrò nel mondo ellenico dove era conosciuto anche con il nome di “O Pammegas” (l’universalmente grande) che si trasformò poi in Pan; con il nome di Adone veniva festeggiato il venticinque marzo, ritenuto allora l’equinozio primaverile, giorno in cui si commemorava la sua morte e resurrezione, quando nel grande santuario di Astarte si attendeva che il dio risorgesse a nuova vita per ascendere al cielo alla presenza dei suoi adoratori.

Il mito di Adone, in realtà, esprimeva l’eterno ritorno del sole con la primavera dopo le oscurità invernali, ed il simbolo del sacrificio e resurrezione di Adone alludeva allegoricamente alla perenne ri-creazione del cosmo.

La morte e resurrezione del frigio Attis, figlio di Cibele, veniva celebrata il ventidue marzo: i sacerdoti portavano al santuario un tronco di pino fasciato da bende di lana, cosparso di fiori, a rappresentare le macchie di sangue del dio effigiato come un giovane di bell’aspetto.

Il ventiquattro marzo, il “giorno del sangue”, veniva commemorato il dio resuscitato sotto forma di pino sempreverde, simbolo di immortalità, e Attis divenne il Creatore per eccellenza.

Il culto di Attis, portato dai sacerdoti della Dea Madre Cibele, ebbe un grande impulso a Roma in età imperiale a partire dal regno di Claudio (41 – 54 d.C.) e che durò fino al IV secolo.

Il venticinque marzo, dopo sette giorni di purificazione e dopo tre giorni dalla sua morte, il rito si concludeva sul colle del Vaticano, ove attualmente trovasi la Basilica di S.Pietro, quando il sacerdote, dopo avere aperto la tomba, proclamava che si era levato dai morti ed annunciava la buona novella salvifica della resurrezione di Attis, trionfatore sulla morte.

La festa è interpretabile come un rito agrario in cui Cibele, la dea, rappresenta la terra madre ed Attis il mondo vegetale, la spiga, ed è intesa come celebrante la ri-nascita perenne della luce vincente sulle tenebre del Caos.

Dalle nevi del nord scende il Bello, Balduz, dio giusto e benefico; ucciso dalla freccia del dio delle Tenebre, risorge dopo quaranta giorni per governare la vita oltre la tomba.

Il mito di Balduz si differenzia da quanto prima illustrato, per la durata della sua permanenza nel mondo dei morti, ma egli viene riavvicinato agli altri Salvatori da una considerazione: alle latitudini scandinave (68° di latitudine nord, oltre il circolo polare artico) il sole muore per quaranta giorni, ucciso dalla lunga notte artica, uguale restando il momento della resurrezione all’equinozio di primavera, con un simbolismo analogo a quello di morte e rinascita periodica del mondo vegetale, e che rappresenta la trasposizione celeste di una realtà terrena.

Osiride, Adone, Tammuz, Attis, Balduz, discendono nella tomba, risorgono all’equinozio di primavera, in un’allegoria solare legata alla morte del sole nella stagione invernale ed alla sua rinascita in Ariete, con l’inizio della primavera.

PESAH, Pasqua, è all’origine di questo simbolo cosmico. La sua radice vuol dire salto, transito, cioè passaggio del sole equinoziale nel segno zodiacale dell’Ariete; dall’emisfero meridionale a quello settentrionale; dal regno dell’oscurità a quello della luce; da quello della morte a quello della nuova vita.

Pur partendo dalla stessa radice, abbandonata ogni interpretazione cosmogonica, gli ebrei interpretarono il termine salto in chiave bucolica o commemorativa.

Ad una festa allusiva di una realtà astronomica si sovrappose, senza più capirne l’origine, un rituale bucolico di sacrificio animale, dell’agnello. Era, infatti, arcaica usanza che l’inizio dell’anno nuovo, che coincideva col primo plenilunio dopo il solstizio primaverile, si immolassero prima della partenza per i pascoli estivi gli agnelli neonati; durante tale occasione si festeggiava con danze rituali caratterizzate da salti laterali ritmati, da cui il termine PESAH, saltare oltre.

In realtà il sacrificio dell’agnello, del capro, era destinato in origine a ricordare una realtà astronomica, cioè a indicare come inizio della primavera il momento del passaggio, dall’emisfero meridionale a quello settentrionale, del punto di intersezione fra eclittica solare ed equatore celeste.

Tale momento, nel duemila a.C., passò dal segno zodiacale del Toro a quello dell’Ariete e, appunto, per ingraziarsi la divinità si cominciò allora a sacrificare i primi agnelli nati, i futuri arieti, in segno di riconoscenza per la rinascita della vita.

Al “saltare oltre” si ricollega la celebrazione commemorativa legata alla notte della strage dei primogeniti egizi, quando Yahweh (nome ebraico di Dio) “saltò oltre” le case degli ebrei contrassegnate col sangue dell’agnello sacrificato. Tale festa fu celebrata anche alla vigilia dell’esodo e da allora presa a sinonimo di liberazione.

Da passaggio del sole oltre il punto invernale, la Pesah mutò quindi il suo significato in quello di liberazione del popolo ebraico con il transito attraverso il Mar Rosso, con il passaggio del popolo dalla schiavitù alla libertà, grazie al diretto intervento divino.

Pasqua volle significare, pertanto, il passaggio del Dio che in quella notte di strage mostrò il suo potere e, così come il sangue dell’agnello salvò gli ebrei dalla persecuzione del faraone, così l’avvento della nuova religione, quello del Cristo, novello agnello, salvò il mondo dal dominio terreno, dal Male.

Ne nacque una nuova interpretazione del “salto”, della Pesah: ora il passaggio diviene il passaggio del Signore attraverso la morte, per ricondurre alla vita quanti in esso credono, e la data della sua resurrezione, al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera, vuole riassumere in sé la creazione del mondo e l’incarnazione del Verbo.

La Pasqua cristiana si dimostra perciò una evoluzione ed una diretta filiazione di quella ebraica, della quale, in sostanza, mantiene tutte le caratteristiche storiche e semantiche di passaggio dal mondo delle tenebre a quello della luce, dalla morte alla vita.

Gesù – “Dio salva” è il suo significato – è il nuovo Mosé che, come questi, salva il popolo dalla schiavitù: l’uno da quella materiale, mondana del Principe d’Egitto; l’altro da quella simbolica del “Principe di questo mondo”, mediante l’unzione col sangue versato dell’agnello divino.

D’altronde il popolo ebraico, pur insediatosi stabilmente in Palestina, non cessò mai di essere allevatore e così come identificò il pastore con la divinità, per la sua opera di guida e di protezione, allo stesso modo chiamò il Cristo “agnello”, rappresentando l’agnello sacrificale.

Assumendo inoltre su se stesso i mali del mondo, egli rappresentò anche il “capro espiatorio”, l’agnello su cui venivano scaricati tutti i peccati del genere umano, con un arcaico processo magico di transfert del male su un innocente animale, portato nel deserto a sicura morte. Con lui si estinguono tutte le colpe e i peccati del mondo, con buona pace delle coscienze. Del resto, all’epoca di Cristo, duemila anni fa, il capro, l’agnello, l’ariete si può allontanare e sacrificare: la precessione degli equinozi continua e l’equinozio di primavera sta abbandonando l’Ariete per portarsi nei Pesci.

Fra pochi giorni sarà Pasqua, la solennità cristiana commemorativa della risurrezione di Gesù dai morti, descritta nel Nuovo Testamento, avvenuta il terzo giorno della sua sepoltura, dopo la sua crocifissione da parte dei romani sulla collina del Calvario, intorno al 30 d.C. .

Tale ricorrenza è particolarmente significativa, rappresentando un punto di equilibrio nella eterna tenzone tra Tenebre e Luce ancorché questa sia, ormai, avviata a trionfare nel Solstizio d’Estate.

In questo momento particolare che vede l’umanità sconvolta dai tragici eventi della guerra, auspichiamo che dai contendenti e dai governanti dei Paesi del mondo riaffiori, con il prevalere della Luce dell’Equinozio, il senso di responsabilità e che in ciascuno di essi “risorgano” la Ragione ed il Sentimento, cosicché la ritrovata Saggezza possa riaccendere la Luce della Pace, della Tolleranza, della Fratellanza universale, per sconfiggere le tenebre dell’odio e della guerra.

Con questa viva speranza, auguro a tutti una serena Pasqua.

(Guglielmo di Burra – Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)

 

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