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Intervista al pittore contemporaneo Mario Stefano

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La redazione di BelvedereNews è lieta di proporvi un’intervista all’artista Mario Stefano, che ci parlerà dei suoi frammenti di micronarrazioni sospese: un mosaico figurativo, frutto di un lavoro di rilettura, revisione, composizione e collage, con giochi citazionali ricchi di salti e di incongruenze, in cui cultura pop, citazioni classiche e iconografie appartenenti a mondi oramai inabissati, si contaminano di continuo.

Mario Stefano, classe 1983, casertano di adozione, nasce a Napoli. Consegue la laurea in Scienze dell’Educazione e si dedica per oltre quindici anni alle sue due attività imprenditoriali nel settore fitness, coltivando sporadicamente la sua vocazione artistica. Appassionato di storia dell’arte e di pittura e disegno, studia da autodidatta e apprende sperimentando le diverse tecniche pittoriche.
Causa pandemia, decide di cessare le attività e di dedicarsi completamente alla pittura.

Quando inizia il tuo percorso artistico e come è nata la tua passione?

Il mio percorso artistico nasce in un pomeriggio qualunque a Napoli, verso i quattro anni d’età.
Non avevo tablet, smartphone e videogame e trascorrevo gran parte del mio tempo a disegnare ciò che vedevo in tv. Fino ai miei diciotto anni, non credo sia passato giorno senza che io disegnassi. Poi lo stop forzato, dovuto ad università, lavoro e famiglia. Uno stop durato quasi venti anni. Ho ripreso a maneggiare tele, colori e pennelli ad inizio pandemia, durante il confinamento forzato, rispolverando vecchi studi e disegni.

Qual è il tuo background artistico di studi?

Si può dire che sono un autodidatta. Sono stato sempre appassionato di storia dell’arte ed ho sempre coltivato, seppure sporadicamente, la mia vocazione artistica. Da inizio pandemia ad oggi, ho studiato e sperimentato, per circa quindici ore al giorno, sette giorni su sette, ogni singola tecnica pittorica e ogni tipo di medium. Una full-immersion, che mi ha permesso di raggiungere una discreta maturità artistica.

Quale è stato il tuo primo riconoscimento artistico?

Nel 1996, a tredici anni, durante un evento/concorso, alla Mostra d’Oltremare di Napoli, che prevedeva il ritratto di un personaggio famoso in estemporanea senza reference. Disegnai Totò. Fui accusato di aver ritoccato una stampa visto l’eccessivo realismo ed il poco tempo a disposizione per realizzarlo. Se non fosse stato per un membro della giuria, il quale dichiarò di avermi visto con i suoi occhi mentre realizzavo il ritratto, avrei rischiato la squalifica. Vinsi il primo premio.

Dove si possono ammirare le tue opere da vicino?

Ho chiuso un importante contratto a Milano. Devo molto ad una persona che ha creduto in me. A breve saranno esposte lì.

Cosa vuol dire per te essere artisti oggi?

Diciamo che ho la lucida consapevolezza di essere arrivato tardi, tutti gli artisti contemporanei sono arrivati tardi; è venuto meno il concetto di originalità, perchè tutto è già stato fatto. Non condivido la tendenza di molti artisti a proporre il “nuovo” a tutti i costi, tramite una ricerca spasmodica, tormentuosa e convulsa.
Pertanto, per realizzare le mie opere, ricorro alla memoria, intesa come mezzo per filtrare il ricordo e decodificarlo in modo personale, elaborando il passato attraverso la meditazione su di esso e cercando di attualizzare elementi e concetti presenti nella memoria collettiva.

Quale suggerimento daresti ad un pittore emergente?

Ruba da qualsiasi cosa possa offrire spunti all’ispirazione o accenda l’immaginazione. Divora film vecchi e nuovi, musica, libri, dipinti, fotografie, poesie, sogni, conversazioni occasionali, edifici, ponti, segnali stradali, alberi, nuvole, distese d’acqua, luci e ombre. Scegli di rubare solo dalle cose possano parlare direttamente all’anima. Così facendo, l’opera (e il furto) risulterà autentica. Come diceva Picasso: “L’arte è furto”.

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