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Giustizia, non è mai troppo tardi* di Vincenzo D’Anna*

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Giustizia, non è mai troppo tardi*

di Vincenzo D’Anna*

Matteo Renzi non è molto simpatico. Credo che l’antipatia gli derivi dal suo comportamento e da qualche solenne promessa non mantenuta. Il soggetto è veloce nella intuizione e nelle scelte, disinvolto e loquace al punto tale da ricordare un poco quei filosofi greci appartenenti alla scuola dei cinici e più in particolare a coloro che erano particolarmente bravi nel sostenere, di ogni argomento, sia la tesi che l’antitesi. Avendolo conosciuto personalmente posso aggiungere che della politica, l’ex sindaco di Firenze ha assorbito la parte meno aulica e più pragmatica: quella, per intenderci, che consente di scalare i gradi della filiera di comando, senza troppo riguardo per la coerenza. Quando si presentò nell’aula del Senato da presidente del Consiglio, dopo aver sottratto, con astuzia, la poltrona di premier al suo allora compagno di partito Enrico Letta, manifestò molta sfrontatezza sia negli atteggiamenti che nei toni del suo discorso. Con la mano infilata in una tasca dei jeans, avverti l’aula di Palazzo Madama che il voto di fiducia ad un governo, sarebbe stato l’ultimo, perché la riforma costituzionale che aveva in mente di approvare col suo governo, avrebbe chiuso per sempre il Senato della Repubblica. Il discorso fu punteggiato di citazioni dei filosofi cattolici francesi (Emanuel Mounier e Jaques Maritain in particolare). Non una sola parola per i pensatori socialisti, cosa ben strana per colui che, in quel frangente, rivestiva la carica di segretario politico del Partito democratico. Un discorso che metteva in chiaro che, con la sua leadership, la sinistra ex comunista e la cultura che la connotava, sarebbe stata messa definitivamente in soffitta. Gli chiesi, nelle mia dichiarazione di voto, di precisare che tipologia di esecutivo presiedesse, ovvero quale modello di società, di economia e di Stato egli volesse propugnare. Cercai di capire se era cambiato solo il nome del presidente del Consiglio dei ministri (Renzi al posto di Letta), oppure il riformismo annunciato avrebbe significato anche un netto cambio di programma e di visione politica. Gli regalai anche un bel libro di Nicola Rossi (“Sudditi”) che trattava appunto di come lo statalismo dei governi che si susseguivano in Italia fosse sempre lo stesso con buona pace del riformismo liberale. Tra l’altro, ironia della sorte, lo stesso Rossi, liberale e riformista, era stato deputato in forza al Pds (antesignano del Pd) per due legislature ed aveva dovuto abbandonare quella parte politica per manifesta incapacità della sinistra italiana di mollare i vecchi schemi che assegnavano allo Stato poteri pervasivi e monopoli di chiaro stampo socialista. L’ex “rottamatore” ringraziò per il dono del libro ma non rispose all’interpello che gli aveva rivolto il sottoscritto, continuando a governare col vecchio sistema di promuovere leggi utilizzando la leva della spesa pubblica a debito crescente. In verità votai la riforma della buona scuola proposta dal suo governo perché, a mio giudizio, conteneva fermenti di cambiamento, di responsabilizzazione dei docenti e di verifica dei saperi dei discenti. Votai anche la riforma costituzionale perché rappresentava un primo segnale di riformismo così come quella sulle unioni civili. Come sia finita quell’avventura è storia recente anche per l’incapacità del giovanotto di Rignano di dare vita ad una nuova formazione moderata e riformista di stampo liberal democratico che ben poteva coagulare quei larghi strati di elettori che stavano abbandonando il cavalier Berlusconi. Un errore fatale ancorché molti tra noi insistessero perché facesse da coagulo di quel 42% che lo avevano votato alle Europee proprio per la sua riforma costituzionale. Insomma Renzi non volle rischiare nulla pensando di dominare la scena politica italiana solo per le doti che possedeva. Vederlo, giovedì sera, a “Porta a Porta”, denunciare le malefatte dei magistrati rei, a detta sua, di averlo perseguitato durante le indagini contestandogli di aver, a loro volta, violato, la legge mi ha colpito non poco. Dal salotto di Bruno Vespa è partita una veemente analisi delle licenze e dei favoritismi dei quali godrebbero certetoghe inquirenti. Con tali dichiarazioni Renzi ha rotto il silenzio complice e prono che il mondo politico da vari lustri mostra nei confronti di una certa magistratura che spesso travalica le norme mantenendo uno status di insindacabilità e di irresponsabilità delle proprie azioni. Sovviene alla mente il tempo nel quale chiedere in Parlamento che si riformasse la giustizia, denunciando abusi, ritardi, privilegi, errori rimasti impuniti, di questi impiegati dello Stato, veniva deprecato e contestato, dai moralisti da quattro soldi. Quello di Renzi è un sussulto, forse interessato ed esasperato da vicende personali, ma intanto rompe un muro di pavida omertà, di cinico uso politico della legge. Non è mai troppo tardi.

 

*già parlamentare

 

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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