Prima di diventare il migliore del mondo,

anche quello norvegese era un sistema penitenziario in cui molti detenuti avevano problemi psichiatrici, nelle celle circolava droga, i detenuti organizzavano proteste ed evasioni, tre guardie penitenziarie furono uccise e il tasso di recidiva era del 70%.

Erano gli anni Ottanta e accadeva quello che più o meno accade ancora oggi nelle nostre prigioni, con la differenza che in Norvegia in questi quarant’anni sono riusciti a rendere possibile la rivoluzione del sistema penitenziario al punto da trasformare Halden e, da struttura di reclusione simile alle nostre grandi prigioni (pensiamo a Poggioreale), portarla ad essere il carcere più umano e vivibile del mondo, mentre da noi ancora si discute di come far arrivare l’acqua potabile in un carcere aperto da metà anni Novanta e con una media di circa mille detenuti (parliamo di Santa Maria Capua Vetere).

Certo, alla base della rivoluzione norvegese ci sono stati investimenti di soldi (il carcere migliore del mondo è costato 250 milioni di dollari nel 2010) ma la spinta più forte ed efficace è arrivata dalla svolta culturale. “Quando sono entrato nel sistema penitenziario, mi è stato detto che non dovevamo parlare con i detenuti dei loro problemi e che il nostro dovere era solo di sorvegliarli, per cui l’interazione degli agenti con i detenuti era minima. Oggi invece gli agenti lavorano e mangiano con i detenuti, fanno sport e passeggiate insieme a loro. Questo è il concetto di sorveglianza dinamica che applichiamo. L’agente è diventato, oltre che una guardia, un operatore sociale”, raccontò il direttore del carcere Are Høidal alla delegazione dell’Helsinki Vommitee, associazione per la difesa dei diritti umani in Romania, durante una visita nel carcere norvegese. È il senso di comunità il punto di forza di questo sistema penitenziario, il principio alla base del concetto di sorveglianza dinamica di cui parlava il direttore Høidal.

Il carcere non è un mondo a parte, come dalle nostre parti. In Norvegia, dal 2008, è in vigore una Carta bianca in base alla quale il sistema della giustizia deve essere incentrato sull’idea di normalità e sulla riabilitazione dei detenuti e per rendere questo possibile c’è un protocollo firmato da cinque ministri: Giustizia, Istruzione, Cultura, Salute e Autonomie locali.

Un altro fattore cruciale è legato all’organizzazione della vita in carcere: i detenuti di Halden non oziano in cella per quasi l’intera giornata (eppure vivono in una stanza di 12 metri quadrati, da noi ce ne sono otto, persino dieci, in molti meno metri quadrati) e le attività trattamentali non sono centellinate fra la popolazione dei reclusi. I detenuti di Halden devono scegliere tra il lavoro e la scuola, possono specializzarsi in uno dei sette corsi di formazione professionale offerti con il rilascio del titolo di studio a fine corso, o imparare a suonare uno strumento in uno dei tre studi di registrazione del carcere.

Purché si tengano impegnati. La struttura resta un luogo di reclusione, ma gli spazi della pena sono concepiti a misura d’uomo e soprattutto rispettando l’uomo in quanto persona in tutti i suoi diritti.

Il concetto seguito è quello per cui la vita in cella non deve essere diversa da quella fuori le mura carcerarie e che la pena non deve privare il detenuto di ciò di cui ha bisogno per vivere in maniera dignitosa.

Sin dal primo giorno di reclusione, il detenuto in Norvegia viene preparato alla sua liberazione intraprendendo un percorso di responsabilizzazione, per cui deve lavorare, pagare le tasse, coltivare gli affetti e trovare una motivazione.

Chi non rispetta le regole viene isolato, ma in genere la convivenza tra i detenuti, e tra loro e gli agenti penitenziari, scorre più serena. E i risultati sono nel tasso di recidiva: solo il 20%.

Non ci sono studi su studi, commissioni su commissioni, proclami su proclami. Si applica nel concreto quello che prevede anche la nostra Costituzione.

(di Viviana LanzaIl Riformista – Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)