Il giorno 20 di settembre è una data che praticamente coincide con l’avvento dell’Equinozio di autunno l’abitudine radicata negli uomini di voler scandire il proprio tempo al ritmo del Sole.

Ma in Italia il 20 settembre è anche una data simbolo, ha anche un altro significato: quello di ricordare l’episodio del Risorgimento che sancì l’annessione di Roma al Regno d’Italia e, soprattutto, la fine del potere temporale della Chiesa di Roma, retta allora da papa Pio IX, un avvenimento di valore universale che ha contribuito alla “libertà di pensiero e di coscienza”.

Quando il trono e l’altare si coniugarono non si capì più dove finiva la violenza del potere temporale e dove iniziava quella del terrorismo della fede intransigente.

Ora, tutto quanto avvenuto prima di quel 20 settembre del 1870 è superato dalla separazione tra potere spirituale e potere temporale.

Forse non sarà male ricordare che il principio del laicismo contro la confusione del potere temporale con quello spirituale ha radici molto prima del 1870.

Si può ben dire che quando nello scontro avvenuto con i Farisei, i nemici di Gesù cercarono di metterlo in difficoltà presentandogli, dietro una domanda apparentemente semplice (E’ lecito o no pagare il tributo a Cesare?), una questione complessa sulle tasse da pagare all’imperatore romano, Gesù Cristo rispose con una delle frasi più note di tutto il Vangelo, spesso lodata come modello di laicità e di modernità: “Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio“.

In realtà, questa è una lettura un po’ troppo moderna, troppo vincolata all’espressione di Cavour “Libera Chiesa in libero Stato” che ogni italiano ricorda per la storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia.

Se infatti bisogna dare a Dio quel che è di Dio, e dunque tutto (secondo la Chiesa), ci si chiede che possa restare a Cesare che non appartenga anche al Signore.

Già Tertulliano, il grande scrittore romano considerato il padre della teologia latino-occidentale, nel lontano 200 d.C. si chiedeva:“Quid ergo est Caesari? (Che cosa dunque è di Cesare?)” e, a partire dall’idea che bisogna restituire ciò che era ‘immagine’ di Cesare e di Dio, concludeva che a Cesare spettava la moneta e a Dio l’immagine di Dio che era l’uomo stesso.

A ben vedere, il conflitto tra quei due poteri era già in atto e sviluppato da tempo. In questo, non vi era, nella Roma di quel 1870, alcun anticlericalismo, come si è sempre tentato di far apparire, ma un senso laico gonfio di tensione morale, di cultura, di capacità di difesa dall’ingerenza di chiunque voglia limitare la dignità e la libertà dell’uomo.

Che senso ha oggi, a distanza di più di centocinquant’anni da quell’episodio risorgimentale, ricordarne i fatti?

Difficile darne risposta. I tempi sono decisamente diversi, e così gli uomini di oggi. Il quadro che ci si presenta è quello di un sistema che ha reso la vita invivibile.

Pandemia a parte, non ci si può non indignare di fronte ad un capitalismo senza freni, orgoglioso ed arrogante, che ha occupato ogni spazio sociale, economico, politico, che fa diventare i ricchi sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri, i cui tentacoli hanno addirittura invaso totalmente, a livello mondiale, il comparto della sanità pubblica.

Né ci si può sentire parte di una società che ha elevato a paradigma la logica da trivio, la banalità, la volgarità.

Veniamo dalle spaventose esperienze di due guerre mondiali, di conflitti atomici, di deportazioni, genocidi, esperimenti scientifici sconvolgenti, stragi, conflitti etnici e religiosi che hanno pressoché annientato l’altruismo, la generosità, lo spirito di solidarietà.

Viviamo. dunque, in un mondo caratterizzato dall’edonismo, dal consumismo esagerato, dalla ricerca dell’effimero e dalla sete sfrenata di dominio, non solo politico, ma soprattutto delle coscienze e delle scelte economico-sociali dei popoli.

La libertà e la dignità dell’uomo vengono disinvoltamente calpestate e la mancanza di cultura rende intere popolazioni facile preda di furbi manipolatori dell’opinione pubblica e dell’andamento dei mercati.

Nel nostro Paese, fino a qualche decennio fa c’erano forze politiche che gestivano il potere e forze politiche che pensavano.

Oggi, nella situazione attuale della nostra compagine governativa, tutti ritengono di gestire il potere e non pensa più nessuno, tranne il presidente del Consiglio, Mario Draghi, il solo che sembra che sappia pensare e fare in assoluto silenzio (per lui devono essere i fatti a parlare).

E questo porta conseguenze di deterioramento e di livellamento in basso del costume delle forze sociali e politiche.

Non possiamo, e non dobbiamo, farci sospingere nell’angolo dell’incultura, da nessuno. Dovremmo poter vedere le cose da un piano superiore, avendo lo sguardo panoramico su tutto quanto accade in questo misero mondo in cui viviamo, non limitandoci ad osservare  unicamente il particolare, dimenticando il generale: a furia di guardare il frutto rischiamo di perdere di vista l’albero. Spesso ci lasciamo irretire in questioni di poco conto e perdiamo di vista le questioni generali e fondamentali.

Ora, tra le questioni generali dell’uomo di oggi, vi è quella della sopravvivenza dell’umanità, della sua pace, ma soprattutto del ritrovamento di quei valori che per tanti anni, nel recente passato, abbiamo smarrito e che solo attraverso la cultura possono essere ritrovati.

Nell’attuale situazione drammatica che in ogni parte del globo l’uomo sta vivendo, è oltremodo necessario che il valore essenziale della libertà venga difeso e fatto entrare nella coscienza di tutti, a salvaguardia del reale progresso dell’umanità.

Ricordando quel lontano 20 settembre 1870, di cui dovremmo conservare la memoria e mantenere viva la consapevolezza della laicità dello Stato, non possiamo non sperare in un Paese governato da cittadini, solidamente muniti di “libertà di pensiero e di coscienza”, che abbiano ben presente l’alto senso dello Stato e capaci di rivendicare il potenziale ancora inespresso della Costituzione Italiana.