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Magistratura e società

Il quotidiano proseguiva parlando di «una crociata delle toghe rosse contro il certificato verde», del proclamato «dovere di non applicarlo» e di un «appello di Md» contro una misura anticostituzionale.

Contro la verità erano attribuite a Questione Giustizia e a Magistratura democratica, che “promuove” la Rivista, tesi e posizioni espresse nel «documento» di un organismo collettivo, l’Osservatorio permanente per la legalità costituzionale (composto esclusivamente da studiosi esterni al mondo della magistratura) che QG, come organo di informazione, aveva ritenuto di pubblicare per dare conto del confronto aspro, in atto nella nostra società, sul tema della certificazione verde.

Pubblicazione avvenuta senza alcun intervento della Rivista sul titolo o sui contenuti del documento stesso, proprio per rispettarne il carattere di testimonianza del pensiero di un organismo terzo, e che poneva Questione Giustizia sulla stessa lunghezza d’onda dei molti organi di informazione che, per rispecchiare il quadro di posizioni culturali e giuridiche esistenti nella società italiana, hanno scelto di dar conto di critiche nei confronti del c,.d. green pass.

2. La tempestiva smentita

A seguito dell’articolo de Il Giornale, la direzione della Rivista interveniva tempestivamente, inviando al direttore del quotidiano, dott. Augusto Minzolini, una richiesta di rettifica ai sensi della la legge sulla stampa, comunicando alle Agenzie di stampa una smentita e pubblicando, lo stesso giorno, un articolo a firma del direttore di QG intitolato «Questione Giustizia smentisce il Giornale».

In tutti questi interventi si metteva in luce che l’articolo de Il Giornale costituiva una operazione di falsificazione dei fatti, compiuta in totale spregio della verità ed al fine di disinformare, ingannare e denigrare e si sottolineava che, sia prima che dopo la pubblicazione del «documento» dell’Osservatorio, sulla Rivista erano apparsi articoli di segno diverso ed opposto.

In particolare si ricordava che, in un articolo del 5 agosto, intitolato Venerdì 6 agosto 2021. Esordisce la certificazione verde, il direttore di QG, aveva rappresentato le – peraltro elementari – ragioni per cui la Rivista pubblica a volte anche «idee che non condivide» ed aveva ribadito con chiarezza: «Per parte nostra restiamo convinti che la campagna di vaccinazione sia uno strumento di liberazione dai più gravi timori per la salute individuale e collettiva e che la vaccinazione sia al tempo stesso un diritto ed un onere, il cui mancato adempimento può giustificare una serie di calcolate restrizioni e limitazioni adottate nell’interesse collettivo, in vari ambiti della vita sociale».

3. Il rilancio

Il Giornale– in evidente contrasto con il dettato della legge sulla stampa – pubblicava la rettifica solo in un trafiletto relegato nella pagina 35 del quotidiano e, per sovrammercato, il 15 agosto, rilanciava l’opera di grossolana falsificazione iniziata il giorno prima, con un articolo, sempre a firma di Luca Fazzo, recante nell’occhiello «Così le toghe rosse volevano sabotare anche gli altri dpcm» e nel titolo «Così la toga rossa già un anno fa voleva boicottare le misure antivirus».

Nell’articolo si affermava, tra l’altro, che «da tempo il pm Varone sosteneva la tesi della rivolta: «il decreto sulla Fase due ? Niente può limitare il diritto di vivere» e si indicava il pubblico ministero Gennaro Varone come un «esponente di Magistratura democratica», menzionando un suo intervento su YouTube come prova dell’esistenza di un risalente orientamento di rivolta, di «boicottaggio» e di «sabotaggio» esistente in seno a Magistratura democratica e alla Rivista.

Il dott. Varone deciderà per suo conto come reagire alle affermazioni che lo riguardano. Per parte nostra possiamo solo precisare, con il massimo rispetto per lui ed al solo fine di far valere la verità, che egli non è iscritto a Magistratura democratica e non ne è un esponente.

Precisazione, questa, compiuta esclusivamente per mettere ulteriormente in evidenza come anche il “rilancio” de Il Giornale sia infarcito delle stesse arbitrarie invenzioni che caratterizzavano l’articolo del giorno prima.

4. Le critiche sono sempre legittime, le falsità no

Ricordati i fatti, rappresentiamo la nostra posizione e le nostre convinzioni.

La pubblicazione del documento dell’Osservatorio può essere considerata, a seconda dei punti di vista, giusta o sbagliata, condivisibile o criticabile, espressione di un atteggiamento di apertura al confronto intellettuale o frutto di un improvvido scivolone.

Nella dialettica – che vogliamo ad ogni costo libera – delle diverse e confliggenti opinioni, l’alternarsi ed il contrapporsi dei consensi e dei dissensi ci sta tutto e non saremo certo noi a lamentarci per questo.

E se Il Giornale o altri organi di informazione ci avessero criticato per la scelta compiuta non avremmo battuto ciglio, perché queste sono le regole di un gioco che, pubblicando una Rivista, anche noi accettiamo senza remore.

Non è questo, però, ciò che è accaduto.

Il quotidiano ha infatti compiuto, in sequenza, due operazioni di arbitraria falsificazione della realtà.

Dapprima ha attribuito alla Rivista e al gruppo che la promuove la posizione di un altro soggetto collettivo, il cui studio è stato pubblicato con nomi, cognomi e sicura paternità intellettuale.

Poi ha rappresentato – incredibilmente – tale documento come una «crociata», un «appello», un «invito alla rivolta», un «golpe», voluti e messi in atto direttamente dalla Rivista e del gruppo che la promuove.

Il tutto in prima pagina e con enorme risalto, come del resto si conveniva ad un così inquietante “piano eversivo”, meritoriamente svelato dal quotidiano nell’interesse della Repubblica.

Ed il tutto, aggiungiamo, senza darsi minimamente carico di verificare né il tono ed i contenuti dei molti articoli pubblicati sulla Rivista on line nel corso della lunga stagione dell’epidemia (tra cui il menzionato articolo del direttore del 5 agosto, liberamente ed immediatamente consultabile in prima pagina sul sito web di Questione Giustizia) né il numero della Rivista Trimestrale, Il diritto nell’emergenza, interamente dedicato ai temi spinosi del contrasto all’emergenza pandemica.

Sia chiaro: non pretendiamo affatto di essere letti.

Ma riteniamo che chi decide di muoverci accuse gravissime, qualificandoci come “golpisti” e “sabotatori” (accuse peraltro penalmente rilevanti se non fossero comiche) e intende additarci come promotori di crociate e di appelli alla rivolta dovrebbe assolvere all’onere di informarsi nel momento stesso in cui pretende di esercitare il diritto di informare i lettori sulle nostre asserite malefatte.

5. In difesa della libertà di parola e di informazione

Del resto la nostra Rivista non è l’unica realtà della magistratura ad essere investita da “deformazioni” a mezzo stampa che talora sembrano avere preso il posto delle “informazioni” e delle sempre legittime critiche nei confronti di singoli magistrati e delle loro associazioni.

Risale solo a qualche mese fa un episodio che ancora ci riempie di ansia e di preoccupazione per il tono e la qualità del dibattito pubblico sulla giurisdizione nel nostro Paese.

Parliamo delle violente aggressioni verbali dirette a presentare come una “reazione scomposta” e come una “minaccia” la legittima posizione critica – espressa da Giuseppe Santalucia, il mite e fine giurista che oggi è il presidente dell’ANM – sul “metodo” del ricorso ai referendum per affrontare alcune questioni di giustizia.

Come se oggi i magistrati e le loro associazioni non avessero più diritto di parola su temi che riguardano la giustizia né il diritto di discutere e criticare iniziative istituzionali, siano esse legislative o referendarie, che riguardano la sfera del giudiziario e dovessero essere in malo modo zittiti quando hanno l’ardire di manifestare il loro pensiero.

Se poi il fine ultimo della mini-campagna agostana de Il Giornale fosse quello di porci nell’angolo, nella posizione di osservati, o meglio di “falsificati” speciali, ancora di più avremmo il dovere morale e giuridico di reagire.

Se, infatti, nello scrivere o nel decidere di pubblicare scritti o documenti, dovessimo ogni volta paventare l’infinita gamma di possibili alterazioni della verità attuate a partire dalle nostre pubblicazioni, il risultato sarebbe la scelta del silenzio o dell’autocensura.

Prospettive, entrambe, che non ci piacciono affatto e alle quali non abbiamo intenzione di soggiacere.

Di qui la decisione obbligata di agire in giudizio per accertare i fatti e ristabilire la verità.