I pm di Mantova: “Ha evaso…
Cosa è successo? Il diavolo, è noto, si annida nei dettagli. E stavolta all’articolo 6 del decreto, che peraltro con il Pnrr non c’entra nulla. La norma non compariva nelle bozze iniziali né ha fatto capolino nelle interlocuzioni avute con l’Anac. Cosa fa? La materia è complessa ma, in sostanza, rivede l’impianto che oggi stabilisce la redazione del piano di contrasto alla corruzione da parte delle amministrazioni statali.
Funziona così. Oggi l’Anac redige delle linee guida nazionali sulla base delle quali le amministrazioni redigono i piani attraverso un responsabile interno, che si interfaccia con l’Authority cui poi spetta il monitoraggio sia dei piani sia della loro attuazione. Il decreto di venerdì cambia tutto. Prevede che tutte le amministrazioni redigano, entro dicembre, un “Piano integrato di attività e organizzazione”. In quest’ultimo, che ha durata triennale, ci finisce un po’ di tutto, dagli “obiettivi programmatici” delle performance e del reclutamento, ai criteri per le “progressioni di carriera del personale”, dalla lista delle “procedure da semplificare” ai criteri per rispettare la “parità di genere”. Il Piano deve poi contenere anche “gli strumenti e le fasi per giungere alla piena trasparenza dell’attività e dell’organizzazione amministrativa nonché per raggiungere gli obiettivi in materia di anticorruzione”. E qui viene il punto.
In sostanza, in tema di anticorruzione, viene chiesto un doppione di quanto già avviene, solo che stavolta i piani vanno inviati al ministero della Funzione pubblica, a cui spetterà la vigilanza. Il ministero di Brunetta redigerà un “Piano tipo”, che servirà da schema per tutti (se ricorda le “linee guida” dell’Anac non è un caso). Che il sistema oggi controllato dall’Autohrity resti in vita è difficile crederlo, anche perché l’articolo affida poi a un Dpr il compito di eliminare “gli adempimenti assorbiti nel piano integrato”, tipo quelli oggi in capo ad Anac. Anche le sanzioni passano al ministero di Brunetta, che potrà punire i dirigenti inadempienti con gli strumenti tipici della Funzione pubblica, cioè “il divieto di erogazione della retribuzione di risultato”.
“In questo modo si passa dal controllo di un’autorità indipendente a quello di un ministero, che è gerarchicamente subordinato al governo – spiega Busia al Fatto –. Si fa la lotta alla corruzione con la minaccia di non erogare il premio di risultato: è insensato. I controlli li fanno dei dirigenti nominati dal ministro vanificando una normativa oggi apprezzata all’estero. Non abbiamo bisogno di continue modifiche normative, ma di dare forza alle norme in vigore. Abbiamo imprese deboli, a rischio di infiltrazione mafiosa e arriveranno molte risorse: la trasparenza va rafforzata, non indebolita”. L’articolo 6 non è l’unico a preoccupare l’Authority. Dal testo, per dire, è saltato il rafforzamento dell’organico chiesto dall’Anac: 32 persone da selezionare tra chi ha già superato un concorso. Il decreto raddoppia poi al 20% la quota di dirigenti esterni che possono essere assunti a chiamata diretta: “Si tratta di figure scelte dal vertice politico, e questo non aiuta a difendere la trasparenza e il merito nell’operato della P.A.”, conclude Busia. Il governo ieri ha replicato solo attraverso “fonti” anonime: “La norma non pregiudica alcuna competenza dell’Anac su indirizzo gestione e controllo anticorruzione, riunisce solo la maggior parte degli attuali piani, compreso quello anticorruzione”. Si vedrà.
Un giorno, com’è già avvenuto col governo Monti, guarderemo indietro e rideremo di quanto fossero sopravvalutati i “migliori”: almeno quanto erano sottovalutati i “peggiori”. E quel giorno arriverà se e quando Conte, dopo l’accordo di divorzio da Casaleggio, riuscirà a dare forma e contenuti ai nuovi 5Stelle. Che, com’è già avvenuto col Pd di Zinga e con Leu, potranno contaminare in positivo anche gli alleati. Si spera in tempo per correggere la rotta del governo (che intanto sta demolendo pure i controlli anticorruzione affidandoli – non è una barzelletta – a Brunetta). E si spera in tempo per le elezioni, che al momento sono un cappotto assicurato delle destre: Lega e FdI sono in testa ai sondaggi, con tanti saluti a chi raccontava la favoletta che Draghi avrebbe seppellito il “populismo”. Non sappiamo se Conte, che da neofita ha offerto buone prove come premier, sarà all’altezza anche alla guida del M5S: come leader politico è ancora tutto da scoprire. Ma all’orizzonte non si vede nessuno che possa riuscirci meglio di lui. E, se qualche capetto o caperonzolo grillino pensa di presentargli il conto raccattando truppe mastellate per farsi le proprie correntine, non condannerà all’estinzione soltanto se stesso, ma anche i 5Stelle e – ciò che più conta – la speranza di molti italiani di non morire melonian-salviniani. Magari con B., o quel che ne resta, presidente della Repubblica.
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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