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Caiazzo. Supermercato chiuso d’imperio, per la seconda volta, dal Consiglio di Stato

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Supermercato da chiudere subito, evacuare e intera struttura da abbattere (o acquisire al patrimonio comunale):

è questo in estrema sintesi il duro responso del Consiglio di Stato, per la seconda volta chiamato a pronunciarsi sull’annosa controversia intentata dai titolari del “Golden Market – Despar” contro quelli dello iperstore tuttora attivo nella struttura precedentemente occupata dalla ex concessionaria Fiat “Autovolturno” eretta su un terreno ripetutamente riconosciuto a destinazione agricola semplice.

Spiace ovviamente per i soccombenti e ancor più per gli addetti che l’epilogo dell’annosa controversia sia giunta a ridosso della festività pasquali, quando le aspettative di vendita si moltiplicano, ma la “lex” è dura per definizione e d’altronde già da tempo lo iperstore avrebbe dovuto chiudere i battenti se non fosse stata accolta la richiesta di sospensiva di una precedente sentenza, evidentemente al fine di consentirne un’eventuale delocalizzazione, sempre possibile in zona lecita, senza attendere il verdetto.

Responso ormai inappellabile e già esecutivo, a quanto si evince dalla sentenza del Consiglio di Stato emessa il 18 febbraio, pubblicata il 29 marzo e di seguito riportata previo stralcio dei dati “sensibili”, sebbene siano noti da tempo i contendenti, cui va aggiunto il Comune, pure costituitosi in giudizio, e dal quale è immaginabile che ora ambo le parti invochino risarcimenti forse anche milionari (di euro).

Quello stesso Comune cui tocca, tramite il locale comando di Polizia locale, far osservare la sentenza sul ricorso numero di registro generale 7032 del 2020, proposto da *** contro *** in proprio e in qualità di Socio della *** non costituita in giudizio; nei confronti di: Comune *** in persona del Sindaco in carica; *** per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) *** resa tra le parti, concernente per l’annullamento previa adozione delle opportune misure cautelari:

1) dell’autorizzazione commerciale n. 1 del 10.1.2018 con la quale il responsabile del Settore 5 Commercio assentiva la richiesta della *** finalizzata alla riapertura di una media struttura di vendita, per prodotti alimentari e non, fatta cessare con sentenza del Consiglio di Stato n,. 255 del 17.1.2018;

2) del titolo abilitativo n. 48 del 2.8.2018 rilasciato dal responsabile del Settore 4 Urbanistica su istanza di condono edilizio del 6.7.2018 prot. n. 6374 (pratica n. 37/2018 ***); unitamente all’annessa relazione istruttoria del 25.7.2018 ed al successivo avviso pubblico prof. n. 7146 del 3.8.2018;

3) della nota comunale del 30.7.2018 prot. n. 7022 in uno alla relazione seguita al sopralluogo del 24.7.2018;

4) di ogni altro atto preordinato, connesso e conseguente comunque lesivo ivi compreso: la certificazione di agibilità dei locali n. 7795 del 30.8.2016 ed a quella successiva (se ed in quanto esistente di cui si ignora contenuto ed estremi) nonché la S.C.I.A. sanitaria *** inoltrata presso l’Ufficio S.U.A.P. del Comune e l’autorizzazione sanitaria se ed in quanto rilasciata (di cui si ignora contenuto ed estremi); il permesso di costruire n. 67 del 24.6.2016 (recante: “frazionamento e cambio di destinazione d’uso di una parte del manufatto”) e la S.C.I.A. per l’agibilità prot. n. 7138 del 3.8.2018.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune ***; Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 febbraio 2021 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino.

L’udienza si svolge ai sensi degli artt. 25 del Decreto Legge 137 del 28 ottobre 2020 e 4 comma 1, Decreto Legge 28 del 30 aprile 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Campania l’odierna appellata invocava l’annullamento:
“a) dell’autorizzazione commerciale n.1 del 10.8.2018, con la quale il responsabile del Settore 5 Commercio assentiva la richiesta della Ipervolturno II s.r.l. finalizzata alla (ri)apertura di una media struttura di vendita per prodotti alimentari e non fatta cessare con sentenza del Consiglio di Stato n. 255 del 17.1.2018;

b) del titolo abilitativo n. 48 del 2.8.2018, rilasciato dal responsabile del Settore 4 Urbanistica su istanza di condono edilizio del 6.7.2018, prot. n. 6374 (pratica n. 37/2018 ***); unitamente all’annessa relazione istruttoria del 25.7.2018 ed al successivo avviso pubblico prot. n.7146 del 3.8.2018;

c) della nota comunale del 30.7.2018, prot. n 7022, in uno all’annessa relazione seguita al sopralluogo del 24.7.2018;

d) di ogni altro atto preordinato, collegato, connesso e conseguente, comunque lesivo, ivi compreso:  certificazione di agibilità dei locali n. 7795 del 30.8.2016 e quella successiva (se ed in quanto esistente di cui si ignora contenuto ed estremi) nonchè la S.C.I.A. sanitaria *** inoltrata presso l’Ufficio S.U.A.P. del comune e l’autorizzazione sanitaria se e in quanto rilasciata (di cui si ignora contenuto ed estremi); il permesso di costruire n. 67 del 24.6.2016 (recante: “frazionamento e cambio di destinazione d’uso di una parte del manufatto”) e la S.C.I.A. per l’agibilità prot. n. 7138 del 3.8.2018.

Il giudice di prime cure accoglieva in parte il ricorso e, per l’effetto, annullava il titolo abilitativo in sanatoria n. 48 del 2 agosto 2018 e l’autorizzazione commerciale n. 1 del 10 agosto 2018, entrambi rilasciati dal Comune ***, mentre dichiarava improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse la domanda di annullamento della nota di comunicazione prot. n. 7022 del 30 luglio 2018 del suddetto Comune.

Avverso la pronuncia di prime cure propone appello l’originaria contro-interessata, che ne lamenta l’erroneità per le seguenti ragioni:

a) il TAR avrebbe errato nell’aver ritenuto sussistente la legitimatio ad causam dell’originaria ricorrente, nonostante la stessa avesse fatto valere i motivi di censura a titolo di invalidità derivata, utilizzando il seguente ragionamento.

Il ricorso di prime cure aveva ad oggetto l’impugnazione di nuovi titoli autorizzativi e l’originaria ricorrente era un soggetto giuridico diverso rispetto alle vicende processuali conclusesi con la sentenza n. 255/2018 del Consiglio di Stato.

Pertanto, le cessioni di azienda medio tempore intervenute non rilevavano, così come non conferente era la decisione n. 4980/2019 del TAR Campania, nella parte in cui aveva dichiarato la carenza di legittimazione ***.

In relazione all’odierno contenzioso la legittimazione dell’originaria ricorrente poteva desumersi dall’autorizzazione commerciale rilasciata in suo favore in data 21 giugno 2017 e dalla cessione in suo favore della proprietà del punto vendita in data 13 gennaio 2017 ***.

Sicché il rilascio dell’autorizzazione commerciale n. 1/2018 in favore dell’odierna appellante instaurava un rapporto di concorrenza tra le due imprese.

Questo ragionamento non sarebbe corretto in quanto in data 19 marzo 2013 la *** avrebbe ceduto alla *** l’azienda di commercio al dettaglio di prodotti alimentari e non ***

In pari data la *** avrebbe altresì trasferito alla *** il punto vendita ***. In quest’ultimo atto di cessione non si sarebbe fatto alcun riferimento al trasferimento della posizione attiva nascente dal contenzioso amministrativo che ci occupa.

In data 9.1.2014, e quindi in pendenza dell’appello in CDS definito con la sentenza di annullamento n. 255/2018, la *** avrebbe, infine, dichiarato la propria estinzione ed era cancellata dal registro imprese, perdendo così ogni legittimazione sostanziale e processuale con riferimento al presente contenzioso.

Trattandosi di cancellazione volontaria di una società dal Registro delle Imprese, e non essendo stata fornita alcuna prova dagli ex soci *** di un’intervenuta assegnazione agli stessi, in sede di liquidazione, dei crediti scaturenti dal contenzioso oggetto di delibazione in Consiglio di Stato, richiamato dal giudice di prime cure, dovrebbe ritenersi che il liquidatore avrebbe tacitamente rinunciato alle pretese relative al presunto contenzioso amministrativo, preferendo estinguere la società.

Inoltre, nelle more della fissazione dell’udienza di merito dinanzi al TAR la *** si sarebbe posta volontariamente in liquidazione in data 19.12.2019, con conseguente venir meno di una legitimatio ad causam.

Infine, anche la *** cessionaria della *** non potrebbe ritenersi danneggiata dai provvedimenti impugnati, in quanto l’atto di cessione avrebbe escluso diritti e crediti derivanti dal giudizio conclusosi con la più volte citata sentenza di annullamento del Consiglio di Stato n.255/2018;

b) il primo giudice non avrebbe offerto adeguata prova della presenza di un interesse in capo all’originaria ricorrente, difettando qualsiasi evidenza di un danno in capo alla stessa derivante dal rilascio dei titoli impugnati in prime cure. Infatti, non vi sarebbe stato alcuno sviamento di clientela, mentre il calo dei ricavi degli originari ricorrenti sarebbe riconducibile ad errori imprenditoriali;

c) il TAR avrebbe errato nel non seguire l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4/2009, secondo la quale l’art.35 legge 47/85 consentirebbe al cittadino cui è stato annullato in sede giudiziale un titolo edilizio con riferimento a costruzioni ultimate entro il 1.10.1983, di proporre, senza limiti di tempo, una domanda di sanatoria di tale costruzione nel termine di 120 giorni da quando il provvedimento di annullamento in via giudiziale o amministrativa del pregresso titolo edilizio è divenuto definitivo, ovvero da quando la sentenza che lo dispone è passata in giudicato.

Nella fattispecie solo all’esito del passaggio in giudicato della pronuncia del Consiglio di Stato n. 255/2018 di annullamento dei titoli abilitativi originariamente rilasciati alla *** ovvero a far data dalla pubblicazione della sentenza n. 2681/2019 del 26.4.2019 che ha definito il giudizio di revocazione r.g. 2257/2018 – sarebbero iniziati a decorrere i termini per la presentazione della domanda di sanatoria ex art. 35, comma 2, legge 47/85.

Pertanto, tenuto conto che il Comune *** avrebbe notificato alla parte interessata l’annullamento dei titoli edilizi in data 14.3.2018 (ordinanza n. 12/2018) ed in data 28.3.2018 (ordinanza n.18/2018), anche in applicazione di tale pronuncia, la presentazione della domanda di condono da parte della sig.ra *** in data 6.7.2018, dovrebbe ritenersi presentata nei termini di legge;

d) il primo giudice non avrebbe, infine, tenuto in debito conto che in omaggio a quanto disposto dall’art. 40, l. 47/1985, l’acquirente di un immobile derivante da procedura esecutiva avrebbe diritto alla formulazione di una domanda di cd. “condono differito” allorquando il titolo di credito (e dunque l’obbligazione), che ha originato la procedura esecutiva, sia anteriore alla data di entrata in vigore della L. 47/85, purché ultimato prima dell’entrata in vigore della detta normativa. In questo caso non opererebbero i limiti di volumetria di cui alla l. 724/1994.

Costituitasi in giudizio, l’originaria ricorrente eccepisce l’inammissibilità del gravame atteso che l’appello non conterrebbe censure nei confronti della sentenza di prima cure, nella parte in cui affermava la destinazione agricola dell’area su cui viene svolta l’attività commerciale.

Nel merito l’appellante invoca a conferma della pronuncia di prime, argomentando in ordine all’infondatezza dei motivi di appello.

L’appellata, inoltre, ripropone i motivi di ricorso assorbiti dal TAR.

Costituitosi in giudizio, il Comune *** spiega considerazioni adesive rispetto alle ragioni esternate dalla appellante.

Nelle successive difese le parti insistono nelle proprie argomentazioni, ribattendo alle avverse difese.

In particolare l’appellante sostiene che sarebbe erroneo sostenere che l’area su cui sorge il locale commerciale non sarebbe ricompresa in area PIP, atteso che lo stesso, adottato con atto consiliare n. 184 del 30.9.1981 ed approvato con decreto sindacale del 30.9.1987, sarebbe decaduto sin dal 1997.

Ciò in quanto in mancanza di approvazione espressa da parte della Regione il detto piano adottato ai sensi della l. 219/1981, dovrebbe ritenersi approvato per silenzio assenso.

La risposta alle censure contenute nell’odierno gravame deve necessariamente essere preceduta da una completa ricostruzione delle pregresse vicende procedimentali e processuali rispetto alle quali l’odierno giudizio si presenta come la parte terminale.

7.1. Il provvedimento abilitativo in sanatoria impugnato con il ricorso di primo grado veniva rilasciato all’odierna appellante dal Comune *** in data 2 agosto 2018 in risposta all’istanza di condono edilizio di struttura commerciale presentata in data 6 luglio 2018 dalla Sig.ra *** ai sensi dell’art. 35, secondo comma, della L. n. 47/1985.

La citata iniziativa procedimentale veniva posta in essere all’indomani della pronuncia della IV Sezione del Consiglio di Stato n. 255/2018, che aveva annullato le concessioni edilizie n. 2/9 del 23 agosto 1979 e n. 1/118 del 5 febbraio 1982, in virtù delle quali era stato realizzato il fabbricato oggetto della medesima istanza di condono, nonché la precedente autorizzazione commerciale n. 1 del 26 maggio 2011.

La sentenza n. 255/2018 della IV Sezione in riforma della pronuncia di prime cure accoglieva il ricorso, evidenziando che l’immobile realizzato in forza della concessione edilizia n. 2/9 del 23 agosto 1979 era situato in area a destinazione agricola, risultando irrilevante che l’area in cui ricade l’immobile fosse stata inserita nel piano per gli insediamenti produttivi (cd. P.I.P.) ai sensi dell’art. 28 della legge 14 maggio 1981, n. 219, in forza della delibera consiliare n. 184 del 30 settembre 1981.

Ciò in quanto il P.I.P. era stato approvato solo con il decreto sindacale del 30 settembre 1987, di talché anche la concessione per l’innanzi rilasciata (quella del 1982) risultava priva della necessaria conformità urbanistica secondo la destinazione commerciale, all’epoca non ancora attuale.

L’anzidetto piano, inoltre, era decaduto per mancata attuazione antro il termine del 30 settembre 1997, sicché anche i titoli edilizi successivamente rilasciati per ristrutturazione di locali commerciali e realizzazione di locali tecnici (il permesso di costruire n. 33/2007; e i permessi in variante n. 100/2009 e n. 58/2010) risultavano non conformi alla vigente destinazione urbanistica.

Il Consiglio, inoltre, precisava che l’area in questione non era interessata da alcuna pianificazione integrativa tramite S.I.A.D., giacché quest’ultimo, sia pure approvato con delibere di consiglio comunale n. 24 del 12 giugno 2001, n. 32 del 30 luglio 2001 e n. 52 del 28 dicembre 2001, in esecuzione delle previsioni di cui al decreto legislativo n. 114/1998 e alla legge regionale n. 1/2000, risultava decaduto poiché adottato quale strumento di variante rispetto a un P.R-G. solo adottato (delibera n. 3 del 12 ottobre 1999) ma non approvato.

Tanto premesso in fatto può passarsi all’esame delle doglianze contenute nell’odierno gravame, potendosi tralasciare l’eccezione di inammissibilità paventata dall’originaria ricorrente, stante l’infondatezza dell’appello.

8.1. Priva di fondamento è la doglianza con la quale si lamenta che il TAR avrebbe dovuto affermare il difetto di legitimatio ad causam dell’originaria ricorrente.

Al riguardo deve rilevarsi che l’intera ricostruzione operata dall’appellante risulta meramente suggestiva e inconferente rispetto al giudizio in questione.

L’appellata *** infatti è dotata di legittimazione ad agire in ragione dell’autorizzazione commerciale ottenuta dalla stessa amministrazione comunale in data 21 giugno 2017, sicché le vicende societarie che hanno interessato i soggetti giuridici, ivi comprese le cessioni di azienda, protagonisti del giudizio definito con la sentenza n. 255/2018 di questo Consiglio, risultano del tutto irrilevanti.

L’odierno contenzioso, infatti, non ha ad oggetto l’ottemperanza a quest’ultima pronuncia, ma un differente giudizio di annullamento instaurato da ***.

Pertanto, è evidente che quella sentenza vincola senz’altro l’amministrazione comunale, limitandone la discrezionalità, ma la posizione giuridica fatta valere dall’originaria ricorrente non deve ricercarsi in quella statuizione, bensì nella autorizzazione commerciale del 21 giugno 2017.

Del resto, la pronuncia n. 255/2018 è una pronuncia auto-esecutiva, atteso che comporta ex se la caducazione dei provvedimenti sopra indicati in forza delle illegittimità sopra descritte.

8.2. Del pari non condivisibile è la doglianza con la quale si sostiene che l’originaria ricorrente sarebbe priva dell’interesse ad impugnare.

Questo Consiglio ha già risolto in senso contrario alla pretesa dell’appellante analoga censura proprio nel giudizio conclusosi con la sentenza n. 255/2018 che sebbene riguardasse distinti soggetti giuridici aveva ad oggetto gli stessi immobili, le stesse tipologie di attività commerciale e lo stesso bacino di utenza.

Pertanto, deve ravvisarsi quella vicinitas che rappresenta un valido criterio di differenziazione dell’interesse azionato dall’originario ricorrente, tale da consentire di ritenerlo giuridicamente rilevante.

Né può opporsi la mancata prova di un effettivo sviamento di clientela, dal momento che il danno va apprezzato anche i termini meramente potenziali.

8.3. Infondato si palesa anche il terzo motivo di appello con il quale si lamenta la non corretta applicazione da parte del TAR dell’esegesi contenuta nella sentenza n. 4/2009 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

L’appellante, infatti, erra nel richiamare l’art. 35, l. 47/1985, quest’ultima disposizione al comma 2 stabilisce che: “Per le costruzioni ed altre opere, ultimate entro il 1° ottobre 1983, la cui licenza, concessione od autorizzazione venga annullata, ovvero dichiarata decaduta o inefficace successivamente all’entrata in vigore della presente legge, il decorso del termine di centoventi giorni inizia dal giorno della notificazione o comunicazione alla parte interessata del relativo provvedimento”.

Questa norma va, infatti, letta congiuntamente con quanto dispone l’art. 31 comma 1, lett. b), l. 47/195, secondo il quale: “Possono, su loro richiesta, conseguire la concessione o la autorizzazione in sanatoria i proprietari di costruzioni e di altre opere che risultino essere state ultimate entro la data del 1° ottobre 1983 ed eseguite:..b) in base a licenza o concessione edilizia o autorizzazione annullata, decaduta o comunque divenuta inefficace, ovvero nei cui confronti sia in corso procedimento di annullamento o di declaratoria di decadenza in sede giudiziaria o amministrativa”.

Infatti, se la prima delle norme citate fissa la disciplina del procedimento di sanatoria, la seconda indica i soggetti legittimati e le opere che possono beneficiare della disciplina in materia di condono.

Pertanto, è evidente che in omaggio a quanto statuito dalla sentenza n. 4/2009, dell’Adunanza Plenaria secondo la quale: “il condono edilizio, costruito sulla individuazione di una data precisa entro la quale le opere devono essere ultimate, comporta la probabilità che, alla data individuata, sia in corso il procedimento di annullamento o di declaratoria di decadenza in sede giudiziaria o amministrativa, e quindi vi sia la necessità di stabilire il destino delle opere comunque realizzate e che il venir meno del titolo ha reso abusive”, possono beneficiare del condono solo i proprietari di un titolo che venga annullato in forza di un giudizio in corso al tempo di entrata in vigore della l. 47/1985. Circostanza quest’ultima evidentemente non rinvenibile nella fattispecie.

8.4. Non merita di essere accolta, infine, la doglianza con la quale si prospetta un’erronea interpretazione da parte del primo giudice dell’art. 40, comma 6, l. 47/1985, secondo il quale: “Nell’ipotesi in cui l’immobile rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al capo IV della presente legge e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall’atto di trasferimento dell’immobile purché le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all’entrata in vigore della presente legge”.

La disposizione in esame, infatti, nel suo incipit chiarisce che la norma ivi contenuta si applica al caso in cui l’immobile “rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al capo IV della presente legge” ivi compresi evidentemente gli artt. 31 e 35, l. 47/1985.

Come chiarito da questa Sezione (Cons. St., Sez. VI, n. 5880/2019), infatti, l’art. 40 l. 47/1985 prevede una ipotesi speciale al cospetto della quale può non essere validamente rispettato il termine previsto dal legislatore per la presentazione della domanda di condono.

L’ipotesi è dunque collegata esclusivamente alla circostanza in cui le opere abusive insistono su un immobile che sia stato interessato da un trasferimento, a seguito di espropriazione immobiliare individuale o a seguito di procedura concorsuale, antecedente all’entrata in vigore della legge e ciò al fine di evitare la costruzione “strumentale” di procedure volte ad aggirare il termine decadenziale perché ci si possa giovare del condono edilizio e dunque in frode alla legge, ma non può trasformarsi in una previsione ad efficacia estensiva, stante la sua evidente specialità circoscritta ai soli casi in essa rappresentati.

L’appello in esame merita, quindi, di essere respinto.

Nella complessità in fatto e in diritto delle questioni trattate, si ravvisano eccezionali motivi per compensare le spese dell’odierno grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti dell’odierno giudizio.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 febbraio 2021 con l’intervento dei magistrati:

Sergio Santoro, Presidente: Bernhard Lageder, Consigliere; Vincenzo Lopilato, Consigliere; Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore.

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