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Antonella Polimeni: “Il potere delle donne è fondato sull’empatia”

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Antonella Polimeni: “Il potere delle donne è fondato sull’empatia”

05 MARZO 2021

La rettrice della Sapienza racconta il suo primo 8 marzo alla guida della più grande università d’Europa e spiega perché la vera rivoluzione ci sarà quando le donne elaboreranno uno stile di leadership diverso da quello maschile

DI SIMONETTA FIORI

“Posso essere sincera? È una festa che ho sempre onorato, ma ogni volta domandandomi perché dovessimo ricordare i diritti delle donne soltanto un giorno all’anno”. Tra i legni antichi del sontuoso edificio d’epoca littoria, simbolo d’un potere accademico millenario, la rettrice Antonella Polimeni anche con la sua figura asciutta e mobilissima sembra scompaginare una scenografia monumentale che si autorappresenta come immutabile. Cinquantotto anni, medico, un ricco cursus honorum portato con noncuranza, moglie di Francesco conosciuto nei banchi del liceo e madre di Lorenzo e Sofia, dopo settecento anni è la prima donna alla guida della Sapienza, la più grande università europea che ha appena riconquistato il primato mondiale delle discipline classiche. Il suo primo 8 marzo da magnifica rettrice sarà dedicato “all’intelletto d’amore” delle donne celebrato da Dante nella Vita Nova. E in fondo c’è un filo diretto tra le parole del poeta e un nuovo modo di declinare il potere al femminile. “Il vero cambiamento culturale sarà quando le donne rinunceranno a scimmiottare modelli maschili, per costruire una nuova leadership fondata sull’empatia e sull’ascolto”.

Questo 8 marzo è diverso dagli altri. Perché?
“Per un insieme di ragioni, che mettono insieme l’enorme difficoltà delle donne – le più sacrificate dalla pandemia sul piano dell’occupazione e le più colpite dalla povertà – e una crescente consapevolezza della forza femminile, che si fa largo anche nella generazioni di uomini più giovani. Confesso che in passato ho provato anche stanchezza per questa festa, ma oggi la sua carica simbolica mi sembra molto forte”.

In Francia s’è molto discusso di un libro di Marcel Gauchet che decreta “la fine del dominio maschile”. Al di là dell’assertività del titolo, il patriarcato sembra godere di buona salute. Ma forse la vera novità è che oggi siamo più consapevoli del suo fallimento.
“È un processo molto lungo e io preferirei parlare di un riequilibrio nei rapporti tra uomini e donne. Non vorrei apparire ingiustificatamente ottimista, ma oggi vedo cadere molti stereotipi nello sguardo maschile. E gli ultimi dati raccolti alla Sapienza ci mostrano un’inversione di tendenza anche nel raggiungimento di alcuni traguardi. Le studentesse sono in numero maggiore rispetto agli studenti, e arrivano all’Università con voti di diploma più alti. Poi riescono a laurearsi in corso più dei maschi, con voti più brillanti. Sono più brave sia in ingresso che alla fine del percorso universitario”.

Però si fermano sulla soglia dei ruoli accademici più alti.
“Sì, le donne hanno minor peso nei ruoli apicali. Questo fenomeno non è una peculiarità della Sapienza, ma riflette una situazione diffusa nel sistema universitario italiano. Anzi da noi va meglio che altrove. Però comincio a vedere dei cambiamenti che mi fanno ben sperare nel futuro. In questi ultimi anni è cresciuto in modo significativo il numero di ricercatrici e di associate: queste ultime sono passate dal 35,59% del 2018 al 50,70% del 2020. Lo squilibrio resta molto forte al livello più alto: nell’ultimo triennio, la quota delle ordinarie reclutate è meno del 30% rispetto al 70% degli ordinari uomini. Ma l’allargamento delle classi precedenti potrebbe dare frutti nei prossimi anni”.

Nelle discipline scientifiche, tecniche, ingegneristiche e matematiche – il cosiddetto Stem – non c’è stata un’analoga progressione.
“Abbiamo registrato un aumento di laureate, ma restano sempre poche. Le ragazze evitano le scienze dure perché non si ritengono all’altezza: è il caso di uno stereotipo di genere coltivato e subìto dalle stesse donne. Per questo, fin dalla scuola media c’è bisogno di un’attività di orientamento della quale deve farsi carico l’università”.

C’è un modo per aiutare le donne nella carriera universitaria?
“Stiamo studiando con la conferenza dei rettori la possibilità di intervenire con politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia: molte donne rinunciano alla carriera per incompatibilità con i carichi famigliari. Mi piacerebbe approfondire la possibilità di meccanismi premiali per i dipartimenti, sempre sulla base del merito: il mio motto continua a essere “pari opportunità per pari capacità”. E sono contraria ai concorsi tagliati per genere: significherebbe calpestare un principio costituzionale”.

Lei crede nelle quote rosa?
“Sono servite per cominciare un percorso. E probabilmente serviranno ancora. Ma la vera rivoluzione culturale sarà quando le donne saranno capaci di elaborare uno stile di leadership femminile diverso da quello maschile. Se una volta arrivate al vertice ci limitiamo a scimmiottare gli uomini, non rendiamo un buon servizio alle donne”.

Mi può aiutare a definire i tratti d’una leadership femminile?
“Noi interpretiamo più letteralmente il ruolo di leadership, che significa guidare stando accanto alle persone, non mettendosi davanti agli altri. Significa accompagnare la crescita di chi lavora con te, senza prevaricare o essere autoritarie”.

In una ricerca sulle donne e l’accademia, uscita pochi anni fa da Mondadori, il sociologo Renato Fontana ha indicato in “maternage” e “spirito di servizio” le caratteristiche del potere declinato al femminile.
“A “maternage” sostituirei “accoglienza”: la leadership femminile è spesso fondata sull’empatia che consente di comprendere meglio chi si ha davanti. Nello “spirito di servizio” mi ritrovo completamente: le donne hanno una maggiore propensione a servire una funzione. Un’opportunità per migliorare le cose: è questa la mia definizione di potere. Poi agisce anche una dose di narcisismo, ma lo definirei “narcisismo buono”:
chissà se uno psicoanalista approverebbe questa distinzione”.

È diverso anche il modo di “fare rete”: più gerarchico tra i maschi, più libero tra donne.
“Sì, gli uomini tendono a far rete tra posizioni di vertice, mentre quella che dovremmo promuovere come modalità femminile è una rete che muove dal basso, più attenta a valorizzare i talenti che a consolidare i ruoli. Una disposizione meno preoccupata di difendere la “cadrega”, come dicono a Milano. Le donne devono imparare a fare squadra con le altre donne: esistono archetipi ancestrali che ancora ostacolano questa alleanza”.

“Donne ch’avete intelletto d’amore”: torniamo alle parole di Dante, con cui festeggerete l’8 marzo alla Sapienza.
“Ospiteremo una lezione di Luca Serianni e un recital di Monica Guerritore. L’intelletto d’amore è una capacità ampia di cogliere il senso delle relazioni”.

Lei ha sempre attribuito grande importanza alla figura di suo padre che un giorno le disse: ce la puoi fare. La nostra è una generazione di donne che ancora ha avuto bisogno del mandato simbolico del padre per andare nel mondo. Cosa è cambiato nelle ragazze di oggi?
“Le giovani donne hanno bisogno del padre e della madre in eguale misura: non c’è più una primazia della figura paterna, ma resta fondamentale l’imprinting del genitore. Purtroppo nel nostro paese le diseguaglianze si ereditano. Le condizioni famigliari di partenza sempre più vincolano il futuro delle nuove generazioni. Il compito di un’università pubblica deve essere dare a tutti i meritevoli – ragazze e ragazzi – la possibilità di andare nel mondo, indipendentemente dal mandato famigliare, dal genere, dalle diverse abilità fisiche. Tutto questo è parte fondamentale del mio lavoro da rettrice”.

FONTE: LA REPUBBLICA



(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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