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Libri

Sul sito internet dell’Accademia Ligure di Scienze e Lettere presentazione di Voltaire contro Shakespeare di Mara Fazio (Laterza) (ore 17). Matteo Marchesini su Il Foglio: «Nell’esilio londinese, spiega l’autrice, il giovane Voltaire scopre l’effetto che può avere un poeta geniale, “pieno di forza” e “senza la minima scintilla di buon gusto”. Il francese storce il naso davanti al miscuglio shakespeariano di tragico, comico e inverosimile, ma è conquistato dal dinamismo. […] Tornato in patria, Voltaire prova a colare un po’ di sangue shakespeariano negli stampi di Corneille, come si vede tra l’altro in quella Zaïre che deve non poco a Otello. Ma dopo il 1760 l’atteggiamento di mediazione si trasforma in un’ostilità via via più aspra. […] “Sono stato io a mostrare per primo ai francesi qualche perla che avevo trovato nel suo enorme letamaio”, scrive rabbioso di Shakespeare. Ora giudica quel poeta selvaggio peggio di Gille, la maschera da fiera: è robaccia buona per la canaglia. Lo indigna un teatro dove i re si ubriacano con i buffoni. Paragona Corneille e Shakespeare rispettivamente a un signore e a un popolano. […] Nelle questioni di gusto, il profeta della tolleranza religiosa diventa un fanatico. Ma la sua è soprattutto una guerra personale. Perché Voltaire non è solo il pamphlettista anticlericale, il borghese che intuendo il rapporto tra speculazione filosofica e speculazione finanziaria si crea a Ferney un piccolo Stato-azienda indipendente. Voltaire è anche il poeta che vuole avere la migliore reputazione a Parigi, e che perciò dipende dagli umori del mondo aristocratico. Non a caso, pur ammirando le istituzioni inglesi, si guarda bene dal proporle per la Francia. Come ricorda la Fazio, le sue battaglie non sono politiche ma civili. Questa ambivalenza è il ponte che divide e unisce il philosophe anticonformista e il letterato conservatore. Nella poesia Voltaire esige gerarchie e strutture razionali, rifiutando un’oscurità che gli appare come il corrispettivo estetico della superstizione. Aspira a rimanere idealmente nella Parigi del Grand Siècle, che dopo Atene, Roma e Firenze è stata la capitale della classicità; e lotta perché le sue tragedie, figlie di questa capitale, non vengano escluse dal canone maggiore. La battaglia contro Shakespeare è quindi una battaglia in difesa del suo teatro, che oggi nessuno più conosce, ma in cui per sessant’anni cercò quella che considerava la vera gloria, proprio come oggi molti la cercano nel romanzo. La sua ira senile contro Shakespeare […] dipende dalla consapevolezza che una concezione estranea della poesia sta per sconfiggerlo».

Da oggi in libreria

La terra di Caino di Alessandro Rivali (Mondadori). Pangea: «Alessandro Rivali viene da Genova, ama la storia militare: con lui parli della figura del “servo” in Isaia, del delirio veneziano nei gangli di Bisanzio, era il 1204, e di quel 1453 in cui, catastroficamente, cambiò tutto, con la falce ottomana che indirizzò l’Occidente verso il tramonto. Riconosciuto tra i massimi poeti italiani di oggi, l’opera di Rivali si salda in due tappe, La riviera del sangue (2005; 2007) e La caduta di Bisanzio (2010). Da anni Rivali lavora a un’opera, La terra di Caino. […] Chi è il tuo Caino? Perché Caino? “È un Caino un po’ anomalo rispetto all’immaginario consueto. Certo, è l’assassino del fratello, ma è anche l’uomo tormentato, continuamente scavato all’interno da quel delitto. Vorrebbe una seconda possibilità, e sentire vicina, nonostante il sangue versato, la carezza del Padre. Inoltre, è un Caino fasciato dalla nostalgia: del bene possibile, della felicità originaria, di un Eden perduto e irrimediabile. Nelle sequenze di questo poema per frammenti, […] immagino un Caino errante per deserti e solitudini, magari a meditare di fronte al fuoco, la sera, sui racconti, ormai lontani, di Adamo. Sulla gioia incontenibile per la prima donna che camminava a pieni nudi sulla rugiada del Giardino, che poteva confortare in pienezza il cuore di Adamo… Il mio Caino è anche un viator, assillato dal tarlo della memoria. Visita terre segnate dal male (le città annichilite dalle radiazioni: c’è una sezione su Hiroshima), come i grandi cimiteri d’Europa (uno straordinario campionario di narrazioni, su tutti il ‘mio’ Staglieno, a Genova). Caino ritorna ossessivamente sui frammenti di paradiso intravisti. Insegue sempre la bellezza e conosce la sua precarietà. Caino è emblema del nostro tempo, così fragile, così violento”».

Un estratto, da Pangea: «Caino sognava una vita nuova:/ il senso splendeva sul confine./ Attraversò ustioni e deserti,/ poi scelse il respiro dei boschi./ La via della spoliazione,/ la voce di Dio sulle acque./ L’eredità era il silenzio,/ anticipare i desideri degli altri./ Amare le grammatiche del vento. […] Un paradiso in frammenti./ Caino ricordava/ Adamo sulla pietra di Abele./ Disegnava atlanti e ritornava/ alla quiete dei mandorli in fiore./ Ricomponeva il mosaico/ se padri dialogavano con i figli».

Ciò che nel silenzio non tace di Martina Merletti (Einaudi). Miriam Massone su La Stampa: «Martina Merletti ha 23 anni quando nel 2015, durante una visita guidata all’ex carcere Le Nuove di Torino, intercetta l’episodio che diventerà l’incipit del suo romanzo d’esordio Ciò che nel silenzio non tace (Einaudi). […] “Ci raccontarono che proprio lì, nel braccio femminile, nel 1944 suor Giuseppina De Muro prese in braccio il bambino di una prigioniera in transito per Birkenau, lo addormentò con una pezza imbevuta di vino e riuscì a farlo uscire nel carrello della biancheria, salvandolo”. Dunque, il fatto che ispira questo libro “non fiction” è la storia di una religiosa che portò avanti la vita in una condizione estrema. Martina, all’epoca studentessa alla Scuola Holden di Baricco, si commuove “ma di una commozione nuova, mai provata: quel fatto cominciò a risuonarmi, come una campana tibetana che riverbera dentro anche dopo il gong”. È l’inizio di una ricerca storica immensa, che la porterà per anni a viaggiare tra gli archivi della Stampa e del Museo del carcere, delle Figlie di carità, e in quello della deportazione piemontese, a documentarsi e leggere, le lettere delle ex detenute e i trattati sul panopticon, che le toccano corde più profonde: “Cominciai a ragionare sul rimosso, su ciò che non si vuole vedere e che però influenza lo stesso il rapporto con la storia che stiamo vivendo, sul meccanismo di separazione tra quello che avviene in carcere, a due metri da noi, e il resto della città”. Fino a quando, in momenti diversi, prendono vita i personaggi che daranno forma narrativa alla sua indagine, a partire dall’anziana Teresa, così “fenogliana” con il suo dialetto, una donna chiave nella vita di quel bambino scampato alla deportazione: “Emerse dalla nebbia in un piccolo borgo del profondo Piemonte: un giorno l’ho ‘vista’ contare i barattoli di conserva che non avevano tenuto il sottovuoto e ho capito che dal carcere sarei arrivata a lei: non sapevo ancora come, ma sapevo che dovevo farne un libro”. Che ne è stato, del piccolo? Chi se n’è preso cura, una volta uscito dal carcere dentro il carrello della biancheria? […] Nella realtà quel bimbo si chiama Massimo, fu affidato a una famiglia e poi riconsegnato alla mamma, finita la guerra. Nel libro invece è Libero e sarà un’altra donna, Aila, 50 anni dopo, a scoprire che quella vicenda la riguarda da vicino: si metterà così sulle tracce di Libero per dare un senso al (suo) passato».

La tormenta. Le indagini di Selma Falck di Anne Holt (Einaudi). Laura Pezzino su Tuttolibri (La Stampa): «“La più grande forza della democrazia liberale rappresenta anche la nostra maggiore debolezza: dobbiamo tollerare coloro che la vogliono distruggere”. C’è un paradosso – lo stesso che angoscia la maggior parte delle democrazie contemporanee – alla base di La tormenta, l’ultimo romanzo di Anne Holt, che mette in bocca a uno dei suoi protagonisti, un ambiguo politico centenario custode di importantissimi segreti di Stato, queste parole. […] La tormenta, il secondo romanzo del ciclo che ha come protagonista Selma Falck – attualmente Holt sta portando avanti ben tre serie, tutte con protagoniste femminili –, si apre con la donna, investigatrice privata e perfetta antieroina (è un’ex atleta ed ex avvocata di successo che ha rovinato se stessa e la propria famiglia per il gioco d’azzardo), che si risveglia, pestata a sangue e con voragini mnemoniche, in una casa che sta per andare a fuoco e dalla quale riesce miracolosamente a fuggire. La trama prosegue alternando, anche temporalmente, diverse linee narrative che, pian piano, fanno scattare il millimetrico meccanismo del thriller: l’omicidio, nel giorno del loro matrimonio, del marito di Anine, figlia di Selma; la doppia identità del ministro della Giustizia norvegese, che nasconde segreti in un cofanetto appartenente a una misteriosa congrega antisovietica; l’adolescente Mina, che si mette a indagare sul padre-ministro. Lo sfondo nel quale Holt staglia il suo nuovo libro è quello dell’odio suprematista bianco che scorre in rete sfociando sempre più spesso in atti violenti e che, come antivirus, scatena un’opposizione che, da razionale e democratica, potrebbe a sua volta imbracciare le armi. In La tormenta realtà e finzione sono cucite insieme in maniera così sapiente da risultare indistinguibili all’occhio comune, riuscendo, allo stesso tempo, a fornirgli più di uno spunto di riflessione».

Libertà inutile. Profilo ideologico dell’Italia repubblicana di Gianfranco Pasquino (Utet). La Stampa: «Quando scelse la repubblica, il popolo italiano, appena uscito dalle rovine di una dittatura e di una guerra mondiale, affidò all’Assemblea costituente l’impegnativo compito, condiviso da tutti (o quasi), di costruire un Paese migliore. Ma la repubblica che ne è uscita è stata all’altezza di quelle speranze? Se lo chiedeva già Norberto Bobbio nel suo fondamentale Profilo ideologico del Novecento italiano, fermandosi però sulle soglie del 1968, e se lo chiede oggi Gianfranco Pasquino, raccogliendo l’eredità del grande filosofo torinese e provando a impostare nuovamente una riflessione che riesca a cogliere l’accidentato percorso della nostra mutevole e inquieta storia repubblicana. A partire dalle fondamenta costituzionali, Pasquino sismografa gli smottamenti culturali, gli umori e i contrasti che, di decennio in decennio, hanno attraversato la nazione e coinvolto i suoi protagonisti. Così ci immergiamo nelle contraddizioni delle tre grandi culture politiche del Novecento: il liberalismo, fondamentale durante la Resistenza e sminuito nella ricostruzione del dopoguerra; il comunismo, lacerato all’interno dal dibattito fra i desideri di riformismo parlamentare e le pulsioni semi-rivoluzionarie, negli anni caldi delle contestazioni di piazza; l’area democristiana, appesantita dal troppo potere politico, economico e sociale accumulato senza controlli, fino alla resa dei conti di Tangentopoli. E poi ancora i mutamenti delle stagioni recenti: la personalizzazione della politica propiziata dal berlusconismo e l’affermarsi di nuove culture che strizzano l’occhio all’antipolitica e al populismo. Il quadro che ne viene fuori è un’inedita biografia della nazione: un Paese di passioni ideologiche ed enormi contraddizioni, in cui le fortune dei leader durano il tempo di una stagione. E allora, attraversando le riflessioni di Pareto, Calamandrei, Gramsci, Sartori, prende forma il dubbio di Pasquino: la democrazia italiana ha disatteso le promesse costituzionali? Quella conquistata con tanta fatica è stata forse una libertà inutile?».

Presentazione su Circololettori.it (ore 17.30).

Cosa loro, cosa nostra. Come le mafie straniere sono diventate un pezzo d’Italia di Andrea Di Nicola e Giampaolo Musumeci (Utet). «Le triadi cinesi riciclano denaro in tutta Europa (ma in epoca di Covid-19 si danno al cybercrime); i clan ucraini gestiscono il contrabbando di sigarette; i cult nigeriani amministrano il racket della prostituzione e controllano le piazze di spaccio a colpi di machete; i dealers marocchini trasportano l’hashish da Tangeri a Genova; le gang di latinos trasformano i parchetti di quartiere in zone di guerriglia. A poco a poco, le mafie d’importazione hanno guadagnato un loro spazio rispetto alle organizzazioni mafiose “tradizionali”, stravolgendo l’universo del crimine così come lo conoscevamo, dove si alternavano cosche strutturate e piccolo malaffare. Cosa nostra, camorra, ’ndrangheta: nonostante le origini multiculturali, le nuove mafie si rifanno al modello della grande criminalità organizzata made in Italy, con cui a volte guerreggiano ma spesso collaborano, prendendone a prestito i codici e le regole. Eppure, per quanto sia pervasivo nella cronaca nera il racconto di certi loro crimini efferati, continuiamo a sottovalutare la portata della loro infiltrazione, l’estensione delle loro reti, il potere dei loro boss. Lo stesso errore che per decenni fecero negli Stati Uniti occupandosi di Cosa nostra: per combatterla fu necessario ammetterne l’esistenza, studiarla, capire quanto fosse intrinseca al sistema economico e politico della nazione. E così dovremmo fare anche noi, perché le mafie straniere non sono il lato oscuro dell’immigrazione, ma il risultato dei nostri fallimenti politici, dell’incapacità dello Stato italiano di controllare davvero il territorio. Il criminologo Andrea Di Nicola e il giornalista d’inchiesta Giampaolo Musumeci intrecciano atti processuali, fatti di cronaca e testimonianze dirette per ricostruire le dinamiche segrete e i riti di affiliazione di gruppi in apparenza così lontani dalla nostra vita quotidiana. Perché è proprio la volontà di non vedere che rischia di rendere sinistramente presago il titolo: Cosa loro, Cosa nostra» (dalla presentazione).

Uomini e virus. Storia delle grandi battaglie del nostro sistema immunitario di Guido Silvestri (Rizzoli). Un estratto, da Robinson (la Repubblica): «Uno dei tanti misteri fondamentali della virologia riguarda l’origine dei virus. Anche se a questa domanda non si è riusciti ancora a dare un’unica ed esauriente risposta, è lecito immaginare che i diversi tipi di virus siano il risultato di altrettanti meccanismi evolutivi. Una cosa è certa: non si tratta di creature diaboliche create per farci del male, ma di entità che hanno sempre vissuto a stretto contatto con le nostre cellule e il nostro sistema immunitario. […] I virus non sono comunque le particelle più piccole e fragili presenti in natura; nella scala della semplicità troviamo entità ancora più elementari e curiose come i virus satelliti, i viroidi e i prioni. Il più classico dei virus satelliti è l’agente della cosiddetta epatite delta: si tratta di un piccolo frammento circolare di Rna che fornisce le istruzioni per produrre una proteina, e che, pur non essendo di per sé infettivo, può causare infezione e malattia se associato al virus B dell’epatite. I viroidi, responsabili di infezioni delle piante, sono ancora più primitivi: sono costituiti da un frammento di Rna circolare a singola elica con larghi tratti di complementarità, che si aggroviglia su se stesso in una struttura a forma di bastone, simile a quella di certi enzimi costituiti di Rna (anziché di proteine), dotati della singolare capacità di innescare la propria replicazione. Infine, i prioni sono proteine che, pur non avendo materiale genetico proprio, e quindi senza replicarsi, sono capaci di infettare; ne consegue che è impossibile stabilire se siano viventi. Non deve insomma sorprenderci più di tanto sapere che i prioni, una delle cose più assurde della natura, sono la causa della cosiddetta malattia della mucca pazza. Se mai scoppierà un’epidemia di scienziati pazzi, sapremo dove andare a cercarne la causa».

Il lavoro di una vita. Sul diventare madri di Rachel Cusk (Einaudi). Gaetano Moraca su Style (Corriere della Sera): «Con l’opera in tre parti – ResocontoTransiti e Onori – la voce di Rachel Cusk si è affermata come una delle più innovative e importanti del panorama letterario internazionale. Sempre per Einaudi esce a febbraio Il lavoro di una vita. Sul diventare madri, in cui Cusk s’interroga su ciò che succede a una donna – occidentale, emancipata, lavoratrice – quando diventa madre. Partendo dalla sua personale esperienza, dalla scoperta di essere incinta fino al primo anno di vita della figlia, l’autrice si confronta con la dimensione ambivalente e conflittuale che investe ogni donna alle prese con la maternità. Un saggio ricco e profondo, un viaggio ai limiti dell’amore, della solitudine, della notte».

Lucio Dalla di Ernesto Assante e Gino Castaldo (Mondadori). Enrico Casarini su Tv Sorrisi e Canzoni: «Dalla, spentosi il 1° marzo del 2012 a Montreux, in Svizzera, ha vissuto 69 anni a dir poco intensi: li hanno approfonditi due giornalisti, Ernesto Assante e Gino Castaldo. Sorrisi ha letto il libro in anteprima, e queste sono alcune delle curiosità che s’incontrano nelle 372 pagine. I genitori erano Giuseppe, commerciante di oli e direttore del club di tiro a volo di Bologna, e Iole, modista. A 3 anni sfugge ai genitori per cantare una canzone, Op, Carolla, con l’orchestrina del Caffè Centrale, che si affacciava su piazza Maggiore a Bologna. A 6 anni entra nella compagnia di operette “Primavera d’arte” di Bruno Dellos. Il suo soprannome è Briciola. Da ragazzino già suona fisarmonica e clarinetto. Al clarinetto è così bravo che nel marzo 1960 entra nella più famosa jazz band di Bologna, la Rheno Dixieland Band, come secondo clarinettista al fianco di Pupi Avati. Nel 1962 lascia il jazz per il pop. Entra nei Flippers, che per ingaggiarlo salgono da Roma a Bologna. Li manda Ennio Morricone, che ha apprezzato Lucio sentendolo suonare con la Seconda Roman Jazz Band. […] Gino Paoli conosce Dalla durante il Cantagiro del 1963 (i Flippers sono il gruppo che accompagna Edoardo Vianello) e rimane colpito dalla sua energia. Nel 1964 lo porta di forza agli studi Rca di Roma e gli fa incidere la sua prima canzone, Lei (non è per me). Lucio esige di cantare al buio; Paoli scopre che, per trovarsi a suo agio, s’è spogliato e s’è messo le mutande in testa. […] Nel 1950 accompagna la madre a San Giovanni Rotondo: Padre Pio gli dice di non mettere più piede sul palcoscenico. Lucio non ubbidirà, ma rimarrà devoto al santo per tutta la vita. Lo incontra più volte: l’ultima il giorno prima della morte del frate, il 22 settembre 1968. […] Il “caro amico” a cui è scritta la lettera della canzone L’anno che verrà è Giuseppe “Ros” Rossetti, artista bolognese arrestato per errore durante un’inchiesta sull’estremismo politico in città. […] Scrive il testo di Futura in mezz’ora, seduto su una panchina di fronte al Muro di Berlino. Nella panchina di fianco siede Phil Collins, in città per un concerto con i Genesis. Ogni 6 gennaio Lucio organizzava una cena per poveri e senzatetto da Napoleone, una pizzeria nella periferia di Bologna. Per tutta la vita si dedica alla beneficenza, cercando di tenere ogni gesto nel massimo segreto».

Miscellanea

In programma a Roma una serie di iniziative organizzate per celebrare il bicentenario della morte di John Keats (1795-1821). Enrico Franceschini su la Repubblica: «”Qui giace un uomo il cui nome è scritto sull’acqua”, recita la lapide sulla sua tomba, nel cimitero acattolico di Roma. Ma duecento anni dopo la sua morte il nome di John Keats continua a splendere come una delle vette della poesia romantica, di cui è stato fra i più importanti rappresentanti. Lo testimoniano gli eventi organizzati in Inghilterra, ma pure in Italia, dove visse gli ultimi mesi della sua breve vita, in occasione del bicentenario della scomparsa, avvenuta il 23 febbraio 1821. Rappresentazioni teatrali, letture e pubblicazioni che rendono onore a un poeta diventato un classico, nonostante la tubercolosi lo avesse portato via ad appena 25 anni di età. […] Per celebrare l’anniversario la Keats-Shelley Memorial House di Roma, la casa al numero 26 di piazza di Spagna dove Keats visse e dove morì, ha lanciato un videotour condotto dalla rockstar Bob Geldof. “Keats e la sua casa di Roma hanno un grande significato per me”, afferma il cantante, “ed è stato un piacere lavorare a questo progetto per il bicentenario della sua morte”. Il musicista narra anche una videostoria, intitolata The Death of Keats, per il museo romano. La mattina dell’anniversario, inoltre, verranno deposte corone di fiori sulla tomba del poeta durante un reading di poesia. La sera stessa, un Keats virtuale, creato dall’Institute for the Digital Archaeology di Oxford, reciterà il suo poema Bright Star sul sito della keats-shelley.org. Più tardi il dramma Lift Me Up, I Am Dying della poetessa Pele Cox verrà rappresentato su FaceTime da attori in lockdown in diverse località e trasmesso sul canale YouTube della casa di Keats alle 10 di sera, l’ora della morte del poeta».

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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