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IN EDICOLA/EDITORIALE
di Marco Travaglio | 30 GENNAIO 2021
Avvertenza: quello che segue non ha nulla a che vedere con la nostra vita quotidiana al tempo della pandemia, dei vaccini e del Recovery Fund. Ma riguarda lo stallo politico creato dal leader più irresponsabile mai visto, che ha paralizzato tutto e tutti mentre si dovrebbe correre a razzo. E ha trasformato la crisi di governo in una partita a poker quando è salito al Quirinale e ha fatto il gioco delle tre carte, fornendo tre versioni della posizione di Iv: la più morbida a Mattarella, la più dura in sala stampa, una via di mezzo alle agenzie. Un trucchetto da magliari per trattenere gli italomorenti tentati di mollarlo. Lo scopo era trasferire sul Colle il gioco al massacro e tirarla in lungo per far fuori Conte, spaccare M5S e Pd e separarli, impapocchiare un’ammucchiata con pezzi di partiti sparsi (FI e Lega incluse) e dirottare i fondi del Recovery verso le note lobby. Mattarella, con l’incarico di esplorazione a Fico, dà le carte, i tempi e il via alla partita.Ma le partite a poker si giocano con le regole del poker, almeno per chi vuol vincerle. Si comincia a carte coperte, senza muovere un muscolo facciale, e solo alla fine si va a vedere. Conte accetta la sfida e attende gli eventi in modalità Zen. I 5Stelle, la segreteria Pd, LeU e il nuovo gruppo Europeista stanno al gioco, alcuni con notevoli sacrifici personali dopo gli insulti subìti per due mesi da uno che dà del dittatore e del trumpiano a Conte, poi fa il barbarodurso del tiranno saudita che finanzia il jihad e fa tagliare a pezzi i giornalisti liberi, a cui l’amico Biden ha sospeso le forniture di F-35; dà del giustizialista a Bonafede, poi intasca 80 mila euro dai garantisti di Riyad che mozzano le mani ai ladri, decapitano i tossici, crocifiggono o lapidano gay, infedeli e donne libere (chissà che ne dicono le fantastiche Bellanova, Boschi, Bonetti e Annibali). Tutti sanno che, se e quando siederà al tavolo con gli altri, la sua bulimia di potere grande come il suo ego lo spingerà a sfasciare tutto con le solite pretese irricevibili. Dice bene Di Battista: l’“accoltellatore professionista, sentendosi addirittura più potente di prima, aumenterà le coltellate”. Ma la narrazione dell’Innominabile, avallata da giornaloni e cicisbei da talk, è che sono stati Conte&C. a cacciarlo per sostituirlo coi responsabili, ergo ora devono scusarsi e pregarlo in ginocchio. In questo momento, a inizio partita, chiunque metta un veto su Iv scopre le carte anzitempo e gli consente di tenere compatta la truppa. Sarà lui, a fine partita, seduto al tavolo col suo 2% insieme a tutti gli altri, a calare: cioè a rispettare i rapporti di forza oppure a rompere coi soliti veti. A quel punto i 46 ostaggi italomorenti decideranno se seguirlo fino al macello delle urne, oppure mollarlo e rendersi finalmente utili.
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Non sono di quelli innamorati del #meetoo, il più recente movimento femminista (spero la definizione non sia offensiva). Ne condivido tuttavia molte rivendicazioni, ma non l’interezza, e trovo pessimi i frequenti metodi inquisitori.
Se però fossi una donna non sarei precisamente soddisfatta (oppure soddisfatto, perché non lo sono neanche da uomo) delle scene viste alle consultazioni del Quirinale. È vero, due donne, la mia amata Emma Bonino e Loredana De Pretis di Leu, che ho conosciuto come parlamentare combattiva e preparata, hanno parlato a nome dei loro gruppi, e di donne se ne sono viste parecchie, anche una leader di partito, Giorgia Meloni, e di uno dei partiti più rilevanti. Ma spesso sembravano fungere da alibi. Pure Teresa Bellanova e Elena Bonetti, che accompagnavano Matteo Renzi, sono rimaste zitte a fianco del capo, in replica della conferenza stampa in cui furono annunciate le dimissioni da ministre, ma non avemmo la grazia di sentire la loro voce.
Tantomeno sarei soddisfatto del Pd, che in cent’anni di vita, dalla nascita del Pci a oggi, mai ha avuto un segretario donna e nonostante predichi la parità di genere, anche con accenti accademici, e da Sergio Mattarella è salito con quattro uomini e una donna. Colpa mia, non ricordavo chi fosse.
Poi l’illuminazione: è la presidente del partito, Valentina Cuppi, sindaco di Marzabotto. Molto simbolica la città, per la strage nazista, e parrebbe molto simbolica lei. Mentre scendevano lo scalone per andarsene, i quattro uomini stavano davanti e lei dietro, ultima. Di cedere il posto non se ne parla, ma non cedere neanche il passo la dice lunga.
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