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Il linguaggio si evolve, ma ‘riciclando’ elementi umani: nel rispetto della famosa ‘teoria di Darwin’

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É facile comprendere che il linguaggio non fossilizza, ovvero la Paleontologia non ha potuto studiare le parti molli che entrano nel funzionamento del linguaggio.

Ma gli studi in questo settore si sono soffermati sull’evoluzione del cervello, nonché su quella della fonazione nel corso dei millenni.

Prima della comparsa del genere Homo lo sviluppo della massa cerebrale è stato lento. Si parla di milioni di anni fa. In particolare, un aumento di tale massa si ha con l’apparizione del genere Neanderthaliensis in Europa e dell’Homo Sapiens in Africa.

L’accrescimento della massa cerebrale ha portato ad uno sviluppo delle capacità cognitive dell’uomo, comprese quelle del linguaggio articolato. La parte dell’encefalo che più è cresciuta è stata il Neocortex, dove risiedono tutte le funzioni del nostro pensiero.

E la crescita si è avuta particolarmente a livello del lobo frontale. Già nel genere Homo Abilis sarebbe stata trovata una impronta endocranica dei resti fossili, corrispondente all’area di Broca,che è il centro del linguaggio articolato nell’uomo. Questa area nei Primati esercitava solo funzioni motorie, mentre nell’uomo anche quelle del linguaggio.

Si ritiene, inoltre, che l’evoluzione del cervello non ha prodotto nuove funzioni ma migliore organizzazione di esse. É quest’ultimo concetto sostenuto da Charles Darwin, secondo cui  l’evoluzione si serve di parti antiche per adattarle a nuove funzioni. Dunque, l’evoluzione del linguaggio non è dovuta ad aggiunta di nuove aree corticali, ma ad un loro migliore coordinamento.

É interessante analizzare le differenze tra l’apparato della fonazione dell’Homo Sapiens rispetto allo scimpanzè. Nel primo la laringe e l’epiglottide sono basse rispetto alla lingua ed al palato molle. Pertanto, si è potuta formare una grande  camera d’aria faringea superiormente alle corde vocali. Ciò ha consentito di emettere un grandissimo numero di suoni, ma non di deglutire e respirare contemporaneamente.

Nelle scimmie questa doppia funzione può svolgersi  nello stesso momento. Da qui la celebre frase: quando si mangia non si deve parlare perché si combatte con la morte. La combinazione laringe bassa e faringe alta si può individuare attraverso le curvature delle ossa della base cranica.

Così le ricerche di Paleontologia condotte sulla specie del genere Australopithecus hanno dimostrato che la loro base cranica non fosse molto flessa, così come nelle scimmie attuali e che porterebbe ad una incapacità di modulare dei suoni articolari.

Comunque, oggi gli studi sull’evoluzione del linguaggio articolato, si sono orientati verso la Biologia molecolare,in particolare sull’analisi delle mutazioni genetiche. Sono state studiate le differenze genetiche che esistono tra le sequenze dei geni umani e quelli di Primati Superiori.

Un gene particolarmente importante per lo sviluppo del linguaggio nell’uomo è il FOXP2.

La modificazione di tale gene porta a disturbi motori del linguaggio che riguardano sia la percezione che l’articolazione delle parole. Nell’Homo Sapiens sono state notate due mutazioni genetiche che hanno avuto come conseguenza la possibilità di perfezionamento della sintassi.

Concludendo, siamo di fronte ad un riciclo di elementi già presenti nel nostro organismo, secondo  la teoria di Darwin, e non ad una struttura biologica ex novo.

(di Bartolomeo Valentino, Morfopsicologo, già Professore di Anatomia Umana alla II Università di Napoli – Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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