CoronaVirus e febbre ‘Spagnola’ del secolo scorso: ci sono analogie e similitudini?
indossarle è un gesto condiviso da milioni di persone in tutto il mondo, è uno dei modi più facili ed efficaci che abbiamo per prevenire la malattia ma è diventato, in alcuni paesi, l’occasione di un forte scontro politico.
In Italia c’era stata una iniziale confusione, creata dalla comunità scientifica e dalle autorità che le avevano definite inefficaci o addirittura dannose, ma da quando la loro utilità è stata dimostrata non sono mai state più messe in dubbio dalla classe politica (anche se il leader della Lega Matteo Salvini è stato rimproverato più volte per non averle usate correttamente) e sono diventate obbligatorie in alcuni casi da inizio aprile.
In altri paesi però incontrano un certo rifiuto: vale per i paesi del Nord Europa, dove il minor numero di morti non ha comunicato un senso di emergenza, e soprattutto negli Stati Uniti, dove indossarle è diventato un gesto di appartenenza politica: il presidente Donald Trump ne ha lungamente svilito l’uso e si è presentato raramente in pubblico portandone una mentre i Democratici si sono raccolti attorno allo slogan “wear a mask”, diventato un messaggio di responsabilità civile contro l’egoismo e l’incompetenza del presidente e dei Repubblicani. A livello locale sono in corso scontri tra politici Democratici che vorrebbero imporle, e altri Repubblicani che si oppongono.
Cosa fu l’influenza spagnola
A leggere i giornali e i racconti dell’epoca, le misure per contenerla ricordano quelle prese per il coronavirus. In Italia, l’isolamento e la quarantena furono rispettati scrupolosamente solo dalle truppe dell’esercito (era infatti in corso la Prima guerra mondiale, terminata l’11 novembre del 1918). Nell’autunno del 1918 le autorità locali chiusero le scuole, i teatri e i cinema, ordinarono disinfezioni di strade, telefoni pubblici e stazioni ferroviarie; erano sconsigliati abbracci, baci e strette di mano e c’erano campagne che invitavano a non sputare in strada ma a usare fazzoletti di carta o stoffa. Misure simili, tra cui i divieti di adunanze e manifestazioni, vennero prese in molti altri paesi e si diffusero anche le mascherine, come testimoniano molte fotografie del tempo. Erano molto diverse da quelle di oggi ed erano fatte sostanzialmente di strati di garza e cotone.
Misure molto stringenti arrivarono, nell’ottobre del 1918, quando la situazione era diventata drammatica per il numero di morti e contagi, e riguardavano anche l’uso della mascherina. L’Ufficio per la salute pubblica nazionale stampò dei volantini che invitavano tutti a indossarla, volontari della Croce Rossa le cucivano e distribuivano gratuitamente vista la difficoltà a reperirle e i giornali pubblicavano istruzioni su come farle da sé o donarle. Sempre la Croce Rossa consigliava di non frequentare chi aveva tosse e raffreddore, non andare in posti poco ventilati, non condividere bicchieri e asciugamani, non stancarsi e preoccuparsi troppo, restare a casa in caso di raffreddore e indossare una mascherina nei luoghi chiusi.
Intanto a ottobre molti stati e città fecero grosse campagne per convincere i cittadini a indossare le mascherine nei luoghi pubblici o in caso di ritrovo; furono soprattutto gli stati dell’ovest, in particolare la California, lo Utah e Washington. All’inizio era visto come un gesto patriottico e necessario a proteggere i soldati in guerra e venne sostenuto dalla popolazione. Annunci della Croce Rossa, per esempio, sostenevano «che l’uomo, la donna o il bambino che non indossano la mascherina sono pericolosi disertori». Il sindaco di San Francisco, James Rolph, disse che «la coscienza, il patriottismo e la salvaguardia personale richiedono di essere subito e rigidamente realizzate indossando una mascherina» e anche il sindaco di Oakland, John Davie, disse che «è ragionevole e patriottico, indipendentemente dalle convinzioni personali di ognuno, proteggere gli altri cittadini in questo modo».
La comunità medica però era convinta che gli appelli al patriottismo non sarebbero bastati e che sarebbe stato necessario imporre alle persone l’uso della mascherina. Molti consigli comunali cercarono di renderne l’uso obbligatorio, ma spesso si spaccarono sull’approvazione perché era ritenuto «autocratico e anticostituzionale», come disse un funzionario di Portland, in Oregon, rifiutando «categoricamente che mi venga messa la museruola come a un cane idrofobo». Dopo molte discussioni, lo Utah decise per esempio di non rendere le mascherine obbligatorie perché si temeva che indossandole le persone si sarebbero sentite al sicuro e avrebbero fatto meno attenzione.
In altre città le mascherine divennero obbligatorie, come a San Francisco, dove chi non le indossava rischiava multe dai 5 ai 200 dollari e brevi periodi in carcere. Molte dovettero affrontare l’aperta e a volte irrisoria ribellione dei cittadini a portarle. Tutti si lamentavano che erano scomode e fastidiose e molti cercavano degli espedienti per evitarle. A Seattle gli autisti dei tram facevano salire i passeggeri anche senza mascherina, a Denver i negozianti facevano lo stesso con i loro clienti: qui, scriveva un giornale locale, la norma «era quasi del tutto ignorata dalle persone, ed era motivo di grandi risate». Venne modificata e resa obbligatoria solo per gli autisti, che minacciarono allora di scioperare; si parlò di allargare ulteriormente l’obbligo e la popolazione minacciò un nuovo sciopero. Alla fine Denver affrontò l’epidemia senza alcuna misura protettiva.
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