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Il bandito geloso e innamorato

Nel 1920 le scorribande di Salvatore Boemio, nella zona tra Capua e Cancello Arnone, erano ancora ritenute azioni di briganti.

Nella sua lunga attività criminosa mise in atto anche un tentativo di fuga dal carcere di Poggioreale. Una vita, la sua, che sembrava normale sconvolta, però, dall’incontro con una giovane donna. Una sorta di Bonnie e Clyde degli anni venti, con i torbidi amori e le sevizie da carnefice del suo amante, un bandito geloso della sua donna; le audaci rapine per vendetta nella zona di Cancello Arnone e Capua; i misteriosi omicidi rimasti impuniti e sullo sfondo la storia della bella e crudele

Raffaella, amante del capo-banda.

Donna di fosche avventure, aveva 23 anni ed era vedova di un altro terribile bandito, ucciso in una rissa. Questa è la storia di Raffaella Angelino, una donna, formosa, slanciata, bella, di una bellezza selvaggia, raffinatamente crudele, audacissima che prese a seguire l’amante in tutto le sue gesta brigantesche, alle quali partecipava sempre in abiti maschili.

Ed è la cronistoria di un processo tra i più clamorosi di quell’epoca, che si svolse innanzi la Corte d’Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e che, sia per la singolarità dell’imputato, Salvatore Boemio, che per le caratteristiche dei reati attribuitigli, destò nel pubblico un enorme interesse. Tanto è vero che – come raccontano le cronache di quei tempi – ogni volta l’aula del dibattimento risultava gremita dalla folla più varia o, più o meno morbosamente, appassionata alle vicende del bandito.

L’aspetto del Boemio non era però affatto quello di un bandito classico, maestoso e imponente; egli era bassissimo di statura, mingherlino ed aveva un’aria mite e remissiva. Siamo tra il marzo e l’agosto del 1920, periodo dedicato essenzialmente alle rapine, delle quali alcune commesse in circostanze davvero impressionanti. Tipica fu quella compiuta ai danni di tale Antonio Amitrano, guardiano campestre, nella zona di Capua. Costui, armato di fucile, era in compagnia di due suoi compagni, anch’essi armati: Salvatore Capoluongo e Giovanni Parente.

Il Boemio – si racconta – alla rotonda di Cappella Reale, in tenimento di Cancello e Arnone, li affrontò da solo; tolse loro i fucili, il danaro, gli oggetti, il biroccino trainato da un cavallo, sul quale essi montavano, e infine, dopo aver loro ripetutamente sputato sul viso, si allontanò tranquillamente.

Questa la sua versione dei fatti.

Ma, stranamente, l’indomani i corpi dei tre “mazzonari” vennero trovati mentre galleggiavano sulle acque del Volturno nella zona tra Capua e Cancello Arnone. Tutto ciò per vendetta, essendogli stato riferito che i tre avevano osato mettere in dubbio la sua audacia, vantandosi di essere capaci di ridurlo all’impotenza.

Altre rapine aveva commesso il bandito, dando prova di simile temerarietà. Ma quello che più impressionò l’opinione pubblica dell’epoca furono le gesta della sua amante, la storia più densa di fantastica drammaticità nella vita del criminale, il suo turbolente amore per Raffaella Angelino. Costei, donna di fosche avventure, aveva 23 anni ed era vedova di un altro terribile brigante, ucciso in una rissa, quando conobbe il Boemio e accolse le sue offerte d’amore. Come detto, Raffaella Angelino, una donna, formosa, slanciata, bella di una bellezza selvaggia, raffinatamente crudele, audacissima anche ella, prese a seguire l’amante in tutto le sue gesta brigantesche, alle quali partecipava sempre in abiti maschili. Anzi, colpo di scena, come nelle migliori fiction, il Boemio, in un suo interrogatorio reso all’inizio del periodo istruttorio, assicurò di essere stato indotto a delinquere proprio dalla sua amante, mentre viveva tranquillamento presso sua sorella, di nome Luisa.

Non è del resto da escludere che quella donna terribile abbia vieppiù influito sull’animo perverso del malfattore. Spesso la donna migliora il compagno, ma spessissimo ne è addirittura l’istigatrice. Ella, a dire di lui, infatti, lo avrebbe istigato a commettere quanti più delitti era possibile, per raccogliere in poco tempo tanto denaro che avesse loro permesso di recarsi all’estero, a vivere da signori. Tra l’altro, Raffaella Angelino nutriva per il Boemio una strana passione amorosa, che le rendeva lievi i disagi, le disavventure, i pericoli dell’avventurosa vita brigantesca.

Eppure il brigante, malgrado tante prove di attaccamento, ne ora follemente geloso. Nella notte del 7 maggio 1920, dopo aver passata la giornata in una osteria, presso il passaggio a livello di Capua, in attesa di qualche preda, insieme con lei e con un suo nipote diciannovenne, a nome Gennaro Vallante, il Boemio fu preso da un eccesso di gelosia furente. Soltanto perché il giovane aveva detto – tra un bicchiere e l’altro nell’osteria dove avevano mangiato – che Raffaella era una donna che tutti gli uomini ambivano possedere. Questa frase scatenò l’ira e la gelosia del folle bandito. Allora egli, con la forza, costrinse la donna a seguirlo in aperta campagna e le manifestò il proposito di sfregiarla, affinchè, se egli fosse stato arrestato, ella non avrebbe potuto tradirlo con altri.

Che cosa avvenne effettivamente? Bisogna rifarsi alle dichiarazioni della Angelino. Ella si oppose vivamente contro la selvaggia proposta del suo amante, ma ciò volse ad eccitare maggiormente il furore di lui che, a quanto risulta testualmente dall’atto di accusa, la denudò completamente e le tagliò le trecce, bruciandole insieme con tutti gli indumenti, compresa la camicia; quindi la fece distendere sul terreno, la percosse col calcio del fucile, le morse a lungo le braccia e le cosce, la fustigò a lungo, sui due lati del corpo, con una correggia di cuoio.

Tali sevizie terribili durarono quasi tutta la notte, sottoponendo la donna ad attività sessuali contro natura e orali.

All’alba, infine, il Boemio fece inginocchiare l’amante, le impose, novello Otello, di raccomandarsi l’anima a Dio, e quindi estrasse una pistola per immolarla alla sua spaventosa ferocia. L’istinto della conservazione diede però alla donna la improvvisa forza di sollevarsi e di darsi a fuga disperata attraverso i campi.

Il Boemio la inseguì, sparandole contro tre colpi di rivoltella, che non la uccisero ma la ferirono lievemente ai glutei e, avendola perduta di vista, sguinzagliò contro di lei i suoi cani i quali, seguendo le tracce di sangue lasciate dalla sventurata lungo il cammino, la scovarono in una macchia, la addentarono e la tennero immobile finché il mostro non sopraggiunse.

Costui allora la costrinse nuovamente a sdraiarsi a terra, le pose un piede sul ventre e con la pistola le esplose un colpo a bruciapelo nel basso ventre… quasi in quel posto… La sventurata rimase a contorcersi in orribili spasimi mentre egli la abbandonò al suo destino, credendo di averla uccisa. Accusò poi del delitto e dello stupro un innocente, un componente della sua banda.

Per fortuna, però, alcuni carrettieri che passavano nella zona la raccolsero la mattina e la trasportarono moribonda all’ospedale di Capua, e quivi il pronto ed attento intervento chirurgico valse a salvarle la vita. Ella, però, – da buona amante di un brigante e brigantessa anche lei – a tutte le richieste degli agenti e poi dei magistrati inquirenti rispose sempre evasivamente, eludendo le indagini e, anzi – accusando un innocente, sostenendo la falsa tesi del suo amante – tale Salvatore Orlando, latitante per reati di altro genere commessi.

Per ottanta giorni rimase in ospedale tra la vita e la morte – invocando spesso il nome del suo amante. Quando, infine, i medici le permisero di allontanarsi dal luogo di cura, spinta da una incomprensibile forza di pervertimento, lo stesso giorno riuscì a scovare il suo amante e si unì novellamente con lui nella avventurosa vita brigantesca.

La loro morbosa passione, anzi, diventò più forte di prima e, questa volta, fu la donna che cominciò a essere morsa da una selvaggia gelosia. La gelosia della donna è sempre più terribile di quella maschile e, infatti, quella di Raffaella Angelino fu fatale per l’invincibile bandito, poiché fu la causa della sua cattura.

Ella stessa, nel processo, narrò l’epilogo, non meno drammatico, di questa storia che sembra scaturita dal cervello di un abile romanziere di appendice, ma come ho spesso dimostrato nei miei libri: la realtà supera la fantasia.

Il Boemio, raccontò la donna in una fase successiva, manifestò il proponimento di possedere l’altra sorella della Angelino, la giovane Immacolata, ancora fanciulla, che lavorava in un campo nei pressi di Grazzanise e pretendeva che la sua amante facilitasse l’esecuzione del suo nuovo, turpe disegno.

Stavolta Raffaella insorse ed ebbe con l’amante una tremenda colluttazione, durante la quale egli le scagliò addosso alcune suppellettili e le esplose contro un colpo di rivoltella che, per fortuna, andò a vuoto.

Ella, allora, si diede alla fuga, riuscendo a scappare, ma denunziò l’amante ai carabinieri e li guidò al rifugio dove il bandito aveva stabilito il suo covo.

La cattura fu movimentatissima (il bandito fu scovato nei pressi di Sant’Angelo in Formis, nel bosco di San Vito) e avvenne dopo una aspra battaglia a colpi di fucile e di rivoltella, durante la quale il Boemio riportò parecchie ferite di arma da fuoco e ferì, a sua volta, alcuni militi.

Soltanto quando il suo amante fu rinchiuso in carcere la Angelino passò a nuovi amori e, infine andò a nozze con tale Andrea Caserta, un facoltoso commerciante di legname, signorotto della città di Capua, che adottò anche la figlioletta Giuseppina avuta dalla donna col Boemio.

Assolto per insufficienza di prove dal triplice omicidio venne poi condannato a trenta anni di reclusione per una serie di rapine, per tentato omicidio e per violenza sessuale. Ed inoltre ad una condanna a vari anni di reclusione per il tentativo di evasione dalle carceri di Poggioreale. ( 3 – Continua )

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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