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Attualità

Il Real Casino di caccia di Licola borgo

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Questa domenica il nostro autore ci porta in un altro borgo valorizzato dai Borbone: il Real Casino di caccia di Licola 

di Lucio Sandon

La Fossa Neronis, nei progetti dell’imperatore Nerone doveva collegare il porto di Pozzuoli a Roma. Il canale avrebbe dovuto servire come percorso sussidiario alla navigazione costiera marittima, sfruttando alcune zone a cavallo tra terra e mare come il Lago di Patria – all’epoca di proprietà della famiglia degli Scipioni – e le paludi di Sessa Aurunca e della foce del Garigliano, fino alle lagune ostiensi, passando per i laghi di Fondi e di Sperlonga.

Svetonio ne parla accennando anche che gli operai sarebbero stati reclutati tra i condannati a morte e che la larghezza del canale avrebbe dovuto consentire il transito di due quadriremi addette al trasporto del grano.

Quando però Nerone si suicidò, la costruzione della Fossa Neronis venne interrotta e il progetto abbandonato, sebbene il successore Domiziano ne sfruttò il tracciato per la costruzione della via Domiziana. I lavori già effettuati avevano però intaccato l’equilibrio ambientale, tanto che le acque non riuscivano a defluire in maniera corretta, formando un acquitrino che continuò a ingrossarsi nel corso dei secoli, fino a essere trasformato in un vero e proprio lago.

Già al tempo di Nerone, la zona paludosa a nord di Cuma era diventata l’habitat ideale di numerose folicolae, poi chiamate folaghe, il che offrì lo spunto per dare un nome al nuovo lago venuto a crearsi: il Lago di Licola.

Al pari del più celebre complesso realizzato da Vanvitelli sulle sponde del Fusaro, anche il Real Casino di Licola si affacciava su di un ampio lago. Era questo uno dei luoghi preferiti dal re Ferdinando IV per la caccia e la pesca, e quanto rimane del complesso residenziale fatto erigere per la gioia e i passatempi preferiti dei regnanti e della corte, si compone di un corpo di fabbrica centrale dove soggiornava il re.

Si tratta di una costruzione in tufo semplice e massiccia, di una colombaia che spicca con il suo torrione in fondo al cortile illuminato da un antico lampione, una chiesetta dove sono ancora visibili i simboli della famiglia reale, e di un edificio che ospitava la servitù, con i ganci originali utilizzati per legare i cavalli e sul davanti anche una bella fontana in ferro.

I grandi giardini che arrivavano fino al mare conservano ancora le alte palme dai ciuffi cascanti, secolari e imponenti. Esistevano anche delle strutture per la macerazione della canapa e del lino, ed è certo che per sanificare la zona siano stati abbattuti resti di necropoli e strade con marciapiedi di epoca romana, probabilmente parti dell’antica strada Domiziana.

Un anfiteatro della stessa epoca, non ancora esattamente localizzato, sembra che sia ancora celato da detriti e dalla vegetazione, cresciuta nell’area dalla forma allungata prima occupata dal lago nato alla morte di Nerone.

La riserva di caccia di Licola, nella quale vivevano numerosi cinghiali, daini, lepri, volpi, tassi, istrici e martore, fu tra le preferite dei sovrani borbonici. Francesco I, che pure non si può dire avesse per la caccia la stessa passione del nonno, la fece recintare nel 1826 con un muro, fossati, argini e palizzate.

Con il decreto reale dell’aprile 1836 la riserva di caccia di Licola fu frazionata e data in eredità ai principi secondogeniti, ma con rescritto reale del 1845, Ferdinando II non solo la ricostituì, ma decise di ampliarla ai limitrofi laghi, boschi e pantani demaniali, ripristinando anche il “miglio di rispetto” che estendeva appunto per un raggio di un miglio di distanza dalla riserva il divieto assoluto di caccia.

La caccia alle folaghe a Licola è testimoniata da una bella opera del francese Claude Joseph Vernet: il dipinto venne commissionato dallo stesso Carlo di Borbone per raffigurare una scena di caccia reale, con un risultato chiaramente celebrativo. La tela è ospitata nel Museo di Capodimonte, dove è stato trasferito nel 1938 dalla reggia di Caserta e prima ancora dal Palazzo Reale di Napoli.

Di tale dipinto esiste anche una copia di dimensioni leggermente maggiori conservata alla reggia di Versailles, e richiesta al pittore dal marchese de L’Hôpital, ambasciatore di Francia a Napoli. L’opera ritrae il re con la sua corte impegnato in una battuta di caccia su barche, probabilmente organizzata in occasione della visita di un ospite di rilievo: tale scena è raffigurata in primo piano, con Carlo ripreso nel momento in cui colpisce una folaga con un colpo di fucile.

Attualmente è possibile ottenere la concessione di valorizzazione con bando pubblico del casino di caccia di Licola: https://www.investinitalyrealestate.com/it/property/casina-reale-caccia/

Segue la descrizione fornita dal Comune di Napoli

L’immobile è situato in località Licola nel Comune di Pozzuoli ricompreso nella Città Metropolitana di Napoli, il più grande dei comuni flegrei a diretto confine con il capoluogo campano, in un territorio che eccelle per le testimonianze archeologiche, per i siti di interesse naturalistico e paesaggistico, per i presidi enogastronomici e per gli attrattori turistico culturali. L’immobile è situato nella periferia nord della città in prossimità della strada provinciale che garantisce l’accessibilità primaria alla zona. La spiaggia con gli stabilimenti balneari si trova ad un chilometro dall’immobile, mentre la stazione ferroviaria “Licola” della Circumfregrea si trova a 500 metri.

Il compendio immobiliare è costituito da diversi fabbricati tra i quali la “Casina Reale”, edificio principale centrale, di forma rettangolare articolato su due piani fuori terra, il Garage officina e magazzino, piccolo corpo di fabbrica a pianta rettangolare su un unico livello, con tetto in parte a due falde ed in parte ad una falda con copertura a tegole alla marsigliese, la Dipendenza della “Casina Reale”, edificio a pianta pressoché quadrata che si eleva per due piani fuori terra, la Colombaia ed una piccola Chiesetta.

Nella descrizione ci si dimentica di specificare che da decenni, a duecento metri di distanza è stato posto il depuratore di Cuma, che tratta i liquami della maggior parte della città di Napoli.

 

Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio.

Notevole è il suo penultimo romanzo, “La Macchina Anatomica”, Graus Editore, un thriller ambientato a Portici, vincitore di “Viaggio Libero” 2019. Ha già pubblicato il romanzo “Il Trentottesimo Elefante”; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: “Animal Garden” e “Vesuvio Felix”, e una raccolta di racconti comici: “Il Libro del Bestiario veterinario”. Il racconto “Cuore di figlio”, tratto dal suo ultimo romanzo “Cuore di ragno”, ha ottenuto il riconoscimento della Giuria intitolato a “Marcello Ilardi” al Premio Nazionale di Narrativa Velletri Libris 2019. Il romanzo “Cuore di ragno” è risultato vincitore ex-aequo al Premio Nazionale Letterario Città di Grosseto Cuori sui generis” 2019.

Sempre nel 2019,  il racconto “Nome e Cognome: Ponzio Pilato” ha meritatola Segnalazione Speciale della Giuria  nella sezione Racconti storici al Premio Letterario Nazionale Città di Ascoli Piceno, mentre il racconto “Cuore di ragno” ha ricevuto la Menzione di Merito nella sezione Racconto breve al Premio Letterario Internazionale Voci – Città di Roma. Inoltre, il racconto “Interrogazione di Storia”  è risultato vincitore per la Sezione Narrativa/Autori al Premio Letizia Isaia 2109.

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