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12 settembre 1919: Un secolo fa l’epica impresa di Fiume. altri Tempi, altri Uomini, vera Storia

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12 settembre 1919. Altri tempi. Altri uomini, soprattutto altri Uomini. Gabriele d’Annunzio, con circa un centinaio di persone tra legionari e ribelli dell’esercito sabaudo, ma anche artisti e libertari vari, occupa Fiume e la dichiara annessa all’Italia.

Così, infatti, recita la premessa della Carta del Carnaro: “Il Popolo della Libera città di Fiume, in nome delle sue secolari franchigie e dell’inalienabile diritto di autodecisione, riconferma di voler far parte integrante dello Stato Italiano mediante esplicito atto d’annessione; ma poiché l’altrui prepotenza gli vieta per ora il compimento di questa legittima volontà, delibera di darsi una Costituzione per l’ordinamento politico ed amministrativo del territorio (Città, Porto e Distretto) già formante il “corpus separatum” annesso alla corona Asburgica e degli altri territori adriatici che intendone seguirne le sorti.”

Già, la Carta del Carnaro, incredibile manifesto politico-sociale e culturale di quel particolare periodo successivo alla cosiddetta Grande Guerra, che per la maggioranza degli italiani era una vittoria mutilata. La Carta del Carnaro è una dichiarazione costituzionale che pone al centro dei rapporti politici la democrazia diretta, avente per base il lavoro produttivo, riconoscendo autonomie funzionali e locali. La sovranità appartiene a tutti i cittadini senza alcuna distinzione (eco che troverà poi conferma nella vigente Costituzione repubblicana, la quale, è bene evidenziarlo, non è stata scritta solo attingendo a certi filoni politico-culturali, ma a tutti, basti pensare a quel che continua a scrivere a tale proposito il professore Sabino Cassese, nonché giudice emerito della Corte Costituzionale).

La Carta del Carnaro, ideata e scritta da Alceste de Ambris, Filippo Corridoni e Vittorio Picelli, tre indimenticabili sindacalisti, trae spunto dall’interventismo di sinistra e dal Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti, non disdegnando incursioni anche nel campo del filo-bolscevismo. Per tradurre in pratica la democrazia diretta ci si richiama alla democrazia ateniese ed al comune medioevale.

Così celebrò la vittoria dell’entrata in Fiume il poeta pescarese: “Italiani di Fiume! Nel mondo folle e vile, Fiume è oggi il segno della libertà; nel mondo folle e vile vi è una sola verità: e questa è Fiume; vi è un solo amore: e questo è Fiume! Fiume è come un faro luminoso che splende in mezzo ad un mare di abiezione… Io soldato, io volontario, io mutilato di guerra, credo di interpretare la volontà di tutto il sano popolo d’Italia proclamando l’annessione di Fiume.” Ed in una successiva lettera a Mussolini così scrisse: “Se almeno mezza Italia somigliasse ai Fiumani, avremmo il dominio del mondo. Ma Fiume non è se non una cima solitaria dell’eroismo, dove sarà dolce morire ricevendo un ultimo sorso della sua acqua.”

Si può ben dire allora che Gabriele d’Annunzio con l’Impresa di Fiume abbia voluto essere coerente – e già lo era stato in precedenza con il volo su Vienna, costatogli un occhio – con sé stesso, con quello che aveva poetato nel I libro delle sue Laudi:

Tutto fu ambìto
                                                   e tutto fu tentato.
                                                   Quel che non fu fatto
                                                  io lo sognai:

                                                   e tanto era l’ardore
                                                   che il sogno eguagliò l’atto.”

Allora si può ben dire di lui che… l’atto eguagliò il sogno!

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