Luciano De Crescenzo cantore della Magna Grecia
Luciano De Crescenzo è stato capace di condensare nei suoi libri un modus vivendi tipico dell’intero Sud, dell’intero ex-Regno delle Due Sicilie. Sì, con poche battute, con sguardi, modi di dire ha esaltato la diversità dell’uomo del Sud, senza mai scadere nella moda folcloristica che, anzi, esalta proprio quel modo di pensare, vivere e fare volgare, in una incessante corsa verso il baratro, come oramai capita da più di qualche decennio.
Ma questa non è solo una moda del Sud, è una moda dell’intero pianeta. Inutile negarlo, siamo in una fase nera. Le masse debordano e fanno scuola, si impongono, soprattutto in televisione, dove la realtà viene continuamente distrutta, direbbe Baudrillard, televisione che fa da apripista alla “società dello spettacolo”, come direbbe Debord, dove per l’appunto la realtà viene divisa e ciò che non è diviso diventa unito, e si fa sempre più pressante ed atroce il potere, anzi il bio-potere, e qui ci soccorre Foucault. E questo proprio per dire che siamo nel kali-yuga, come ci suggeriscono i pensatori indiani, in un periodo oscuro dove, per dirla molto liberamente siamo sempre nel periodo carnascialesco, dove gli opposti si mescolano e si combinano in continuazione. Ma certo noi crediamo nella teoria dei cicli, perché per noi la storia non è una linea retta protesa verso l’infinito, non ha uno sviluppo continuo che ha come meta il paradiso.
Ecco Luciano De Crescenzo rifuggiva da questo andazzo, da questo continuo abbrutimento, da questa persistente omologazione verso il basso. Lui amava la cultura classica, nella quale prendeva a piene mani, di cui sorseggiava ogni goccia di sapienza. E con l’amore che aveva verso il prossimo cercava di trasferire agli altri tutto quel che lui sapeva della classicità. Insomma un moderno cantore di un mondo che non tramonta mai, perché è l’essenza stessa dell’uomo, pur quando, come in questo oscuro periodo, la gran parte perde il filo.
Possiamo dire di lui che è stato uno degli ultimi a tenere viva la concezione del mondo e della vita della Magna Grecia, rappresentata plasticamente e storicamente da Palepoli, dal centro antico di Napoli con le sue mura greche e romane, da Castel dell’Ovo e dal mito di Virgilio, ma in cui viveva e vive l’homo neapolitanus, figlio, per l’appunto, della Magna Grecia.
Luciano De Crescenzo ha esaltato questa identità-diversità napoletana, proprio per affrontare meglio i problemi e le questioni che ognuno di noi si trova a vivere nel quotidiano. E pone alla base di tutto il dubbio, il ‘punto interrogativo’ lui diceva. Il dubbio predispone al ‘bene’, in quanto si riesce sempre a capire il perché l’altro si comporta in quel modo piuttosto che nell’altro modo. Ovviamente questo non significa giustificare, assolvere, ma solo cum-prehendere, cum-prehendere l’altrui posizione. E tutto ciò predispone al dialogo, che non è poca cosa.
Ognuno di noi si ricorda di diversi fotogrammi del film Così parlò Bellavista, tratto dal suo omonimo libro, in cui da piccole cose quotidiane il grande Luciano si incammina piacevolmente e semplicemente a discettare di grandi cose, di grandi idealità che sottendono, dovrebbero sottendere la vita di ognuno di noi. E così gli altri suoi libri – ed ovviamente i relativi film – che sono continue lezioni di filosofia, che rendeva con parole semplici, cariche di una levità sconosciuta ai grandi soloni, che amano trincerarsi dietro paroloni.
Lui si sentiva profondamente, storicamente, filosoficamente napoletano, proprio perché figlio della Magna Grecia. E come spiegava tutto ciò? Come rendeva in modo semplice i grandi temi del dubbio e del lavoro, dell’economia e della libertà? Con un semplicissimo ragionamento. Ci ricordiamo tutti la sua dotta e lieve lezione da buon professore sulla doccia: “La doccia è milanese perché ci si lava meno, consuma meno acqua e fa perdere meno tempo: quindi è produttiva. La vasca è invece un appuntamento con i pensieri, è napoletana.” In questo semplice bozzetto squisitamente leopardiano condensa una grande lezione di vita. Lezione che ci rimanda a Totò e Peppino che giungono nella stazione di Milano tutti bardati ed intabarrati con cappottoni e panni invernali e con l’asserzione categorica di Totò: “A Milano fa freddo!”.
Allora vale più una mezza pagina di Così parlò Bellavista che noiose elucubrazioni intellettualoidi dei tanti, tantissimi professoroni, tutti presi dalla forma più che dalla sostanza (in verità, ad essi sconosciuta!). Luciano De Crescenzo ha cantato un’epoca ed un mondo che al momento è una piccolissima nicchia nel caravanserraglio modernista e progressista, ma che alla lunga riuscirà di nuovo a venire fuori.
Ecco perché ci piace ripetere un’altra sua bella e ricca frase: “A volte penso addirittura che Napoli possa essere ancora l’ultima speranza che resta alla razza umana.” È quella speranza che ha sempre fatto innamorare di Napoli i grandi uomini di cultura come Virgilio duemila anni fa e poi Giacomo Leopardi, che per via Toledo correva a mangiare sorbetti su sorbetti, e per venire ai nostri giorni Pier Paolo Pasolini, che amava ri-conoscere in Napoli e nei Napoletani quel modo di vivere antico e lontano dalle pretese omologanti contemporanee, perché come diceva, dice Luciano: “Il bene è il dubbio”.
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