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Alife. ‘Benservito’ a don Tescione: fedeli in fermento ma il vescovo non recede nonostante l’appello al Papa

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Sarà ufficializzato dal vescovo che ha fermamene voluto l’ennesimo rimpasto, nella serata di sabato primo settembre, il nome del sacerdote chiamato a sostituire alla guida della principale parrocchia alifana il defenestrato don Cesare Tescione, a quanto è dato sapere, relegato dal prossimo mese al mero ruolo di cappellano ospedaliero e amministratore apostolico presso la parrocchia della contrada Totari.

Anche altri “rimpasti” sacerdotali decisi ancora una volta dal vescovo dovrebbero essere ufficializzati nel corso dell’omelia che lo stesso terrà nel duomo alifano durante la messa vespertina di sabato 2 settembre ma ciò nonostante molte sono le manifestazioni di insoddisfazione per quello che è ritenuto un siluramento decisamente inspiegabile, soprattutto alla luce di quanto enfaticamente riportato dal bollettino diocesano Clarus in occasione del suo insediamento in sostituzione del predecessore don Domenico Lacerra, di seguito riportato quasi integralmente:

Sabato sera l’accoglienza, domenica mattina la prima messa nella nuova parrocchia: don Cesare Tescione ha accolto – senza tentennamenti e affidandosi alla preghiera – la richiesta del Vescovo Valentino

“La presenza di don Cesare in Cattedrale è il segno di un clima nuovo in Diocesi”.

Così Mons. Valentino Di Cerbo durante la messa di sabato sera, quando ha presentato alla comunità alifana il nuovo pastore.

Don Cesare Tescione, è stato l’ultimo sacerdote ordinato nella ex Diocesi di Caiazzo e la sua presenza ormai stabile nell’aera matesina attesta la rottura di confini duri a scomparire anche nel cuore dei fedeli.

“La sua presenza qui stasera è il segno che non esistono più privilegi – ha sottolineato il Vescovo – e che le competenze, la maturità, la preparazione di alcuni sacerdoti conducono naturalmente il Vescovo a scelte come queste.

L’ho ritenuto idoneo per questa parrocchia e lo accompagno qui stasera con la serenità degli anni passati in cui spesse volte ho cercato di valorizzare le sue risorse”.

Al suo arrivo in Diocesi, infatti, Mons. Di Cerbo affidava a don Cesare la parrocchia di Santa Maria Maggiore in Piedmonte e l’Ufficio liturgico diocesano (era stato in precedenza parroco a Squille, Raviscanina, e San Potito, con una breve parentesi a San Michele).

Don Cesare – come molti altri sacerdoti trasferiti negli ultimi tempi – non sarà parroco ma amministratore parrocchiale: le sue responsabilità non sono minori o maggiori con un titolo o l’altro, ma di fatto è il pastore della comunità, il riferimento, il responsabile dell’intera struttura parrocchiale nelle sue funzioni civili e religiose.

Una scelta che il Vescovo ha compiuto e intende portare avanti fino alla conclusione della Visita Pastorale, quando la “lettura” della Diocesi (che manca di fatto da circa 50 anni) sarà più chiara.

L’essere “amministratore” rivela la condizione di servizio che vive la Chiesa e in essa i sacerdoti su mandato dei Vescovi: amministrare, parola di uso giuridico, che di fatto sta ad indicare il custodire, reggere, proteggere e amare per conto di qualcuno che di fatto in parrocchia non c’è, ma quella parrocchia la sente sua e la affida a persone ritenute idonee a farla crescere.

Il Vangelo di domenica, nelle letture proclamate già sabato sera, ha posto la domanda di Gesù ai fedeli presenti in Cattedrale, E voi, chi dite che io sia?

“Il sacerdote, è colui che è mandato a chiedere alla gente chi è Gesù per te? E di conseguenza a farlo conoscere. C

aro don Cesare non lasciarti sorprendere dalle folle presenti alle processioni o ai funerali, ma sforzati di dare di più e pretendere di più”.

Con severità e fermezza Mons. Valentino Di Cerbo ha sminuito il valore delle folle che inseguono gli eventi religiosi, pur riconoscendo nella pietà popolare la domanda di Dio che nasce dalla gente.

Ma se a tanta religiosità (spesso occasionale) poi corrisponde immoralità e illegalità, potranno i battezzati dire chi è Gesù per loro?

“La Cattedrale – ha proseguito il Vescovo – è la prima chiesa della Diocesi non per lo sfarzo di blasoni o prestigio storico.

Essa deve primeggiare per fede, per partecipazione concreta al piano pastorale della Diocesi, per la capacità di mettere in campo, rendere concrete e potenziare esperienze come quella del catecumenato crismale o dei centri di ascolto, ricordando che la Chiesa in uscita non è solo quella che attraversa le strade, ma le attraversa ed entrando nelle case della gente parla agli uomini di Cristo e ricorda che il Figlio di Dio ha messo il mondo nelle nostre mani”.

Dalle parole del Vescovo indicazioni, auspici, ma anche tanta severità nei confronti di una comunità che in alcune sue frange rivela segni di inquietudine o malcontento in maniera anche aggressiva.

Mons. Di Cerbo ha chiesto onestà nei confronti della Chiesa locale non ferendola nella sua essenza, frutto del lavoro pastorale dei tanti Vescovi che si sono avvicendati, e dei tanti sacerdoti che hanno donato a questa terra diocesana tempo, cure amorevoli, segni concreti di carità non per un tornaconto personale per il sogno di un bene comune condiviso e rispettato.

“Così facendo non si farà altro che rendere sempre più impervio il cammino di chi verrà dopo. Io, sono venuto qui con la convinzione che questa chiesa la devo amare e così farò”.

Poi la richiesta del Vescovo di non accostarsi alla Comunione per quanti abbiano mosso il male e il segno forte di saltare lo scambio della pace, gesto tra l’altro non obbligatorio nella liturgia qualora non vi siano le condizioni di pace e comunione tra i fedeli e con se stessi.

Nei prossimi giorni Mons. Di Cerbo accompagnerà don Andrea De Vico, don Emilio Meola, don Pasquale Rubino e don Giuseppe Massa nei loro nuovi impegni pastorali lì dove è stato chiesto loro di offrire l’impegno e il servizio tra la gente.

Per le date degli spostamenti clicca qui https://www.clarusonline.it/2015/09/08/diocesi-di-alife

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